ANTIBIOTICI E TEST DELLA PROTEINA C-REATTIVA (PCR) NEL SANGUE

ANTIBIOTICI E TEST DELLA PROTEINA C-REATTIVA (PCR) NEL SANGUE

Gli antibiotici sono tra i farmaci più importanti al mondo e preservarne l’efficacia è fondamentale per mantenere le persone in salute. Una quota consistente di antibiotici viene utilizzata a livello territoriale da persone con sintomi di infezioni del tratto respiratorio. Tuttavia, si stima che un’ampia percentuale di queste prescrizioni non sia efficace, perché le infezioni sono virali o batteriche autolimitanti. Ciò facilita lo sviluppo di batteri “resistenti” e riduce l’efficacia di questi farmaci, portando all’antibiotico-resistenza che ogni giorno causa la morte di circa 100 persone in Europa. Una problematica che riguarda da vicino l’Italia, dove la resistenza antimicrobica (AMR) rimane tra  le più alte in Europa, con 11 mila morti all’anno. Si impone, quindi, un cambiamento culturale a cui istituzioni, medici, pazienti e cittadini devono contribuire per proteggere la nostra salute e il nostro futuro.

“È dimostrata una relazione stretta tra l’utilizzo di antibiotici in una popolazione e il tasso di batteri resistenti in quella popolazione – sottolinea Ivan Gentile, Professore Ordinario di Malattie Infettive, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e membro dell’ENASPOC -. In pratica gli antibiotici oltre ad avere un effetto sul singolo individuo hanno anche un’azione sull’ecologia dei batteri nella società. L’Italia è uno dei Paesi con il più alto consumo di antibiotici. Nel nostro Paese, la maggior parte degli antibiotici viene utilizzata a livello territoriale, dove sono assenti strumenti di precisione diagnostica, con un gradiente di utilizzo che aumenta da Nord a Sud, collocandoci al quinto posto tra i Paesi ad alto reddito più a rischio e con un consumo altissimo degli antibiotici ad ampio spettro, gravati da un maggior impatto sulle resistenze, rispetto altri paesi europei. Uno degli interventi di più immediata attuazione, semplici ed economici che possiamo mettere in atto è l’utilizzo a livello di cure primarie di test PCR rapidi (i cui risultati siano disponibili al momento della visita) in grado di orientare una più appropriata prescrizione”.

Un utilizzo eccessivo di antibiotici li rende meno efficaci, aumentando il rischio di non essere più in grado di trattare infezioni che oggi possono essere curate. Un rischio che riguarda anche la popolazione pediatrica. In Italia, circa 4 bambini su 10 ricevono almeno una prescrizione di antibiotici all’anno. “Il ricorso eccessivo agli antibiotici è prevalente tra i bambini piccoli, soprattutto dai 2 ai 6 anni, anche se può portare a conseguenze negative per la salute, riducendo la diversità del microbiomaspiega Annamaria Staiano, Professore di Pediatria all’Università di Napoli Federico II, Direttore dell’UOC di Pediatria del Policlinico Federico II, Presidente Società Italiana di Pediatria (SIP) e membro ENASPOC -. Oggi, infatti, sentiamo parlare spesso di disbiosi e microbioma. L’instabilità intestinale nei primi anni di vita è dovuto a un utilizzo eccessivo di antibiotici in età pediatrica, che possono mettere a rischio anche la salute futura del bambino. È fondamentale, quindi, sensibilizzare le famiglie e i medici a un uso più appropriato di questi farmaci. Questo significa che i genitori dovrebbero evitare di ricorrere automaticamente agli antibiotici non appena il bambino manifesti un’alterazione febbrile. L’indicazione del test rapido della proteina C reattiva (PCR o CRP, in inglese) può essere un esame utile per capire se usare o no l’antibiotico. È un semplice test che comporta una punturina sul dito del bambino. Con un risultato inferiore a 20 si escludono le affezioni di tipo batterico. Se è superiore a 20 bisognerà osservare il bambino.

Il problema è grave anche tra gli adulti, soprattutto nel Sud Italia, con la Campania che è la regione con il più alto tasso di consumo di antibiotici pro capite. “L’uso eccessivo è la causa principale della drammatica situazione in cui si trova l’Italia in termini di resistenza agli antibiotici afferma Silvestro Scotti, Segretario Generale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) -. I test rapidi possono aiutare i medici ad arrivare a una diagnosi accurata e a un’azione più rapida contro le malattie infettive che non possono essere identificate solo dai sintomi”.

L’uso dei test PCR rapidi è stato oggetto della Consensus Conference ENASPOC, tenutasi a Bruxelles, che ha riunito clinici specializzati in malattie infettive e antibiotico-resistenza e stakeholder della sanità pubblica provenienti da tutta Europa per discutere soluzioni per facilitare una più ampia adozione di queste soluzioni diagnostiche contro l’uso eccessivo di antibiotici.

ENASPOCEuropean Network for Antibiotic Stewardship at the Point of Care, è un’iniziativa creata con il supporto di Abbott, una rete multidisciplinare europea istituita nel 2022 con l’obiettivo di valutare e implementare soluzioni comprovate per combattere la resistenza antimicrobica.

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Il PIANETA ANZIANO

Il PIANETA ANZIANO

Era il 1967 quando Domenico Modugno intonava il famoso ritornello “il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa, Mi dispiace, ma non c’è posto. Non c’è posto, per carità”. Di tempo ne è trascorso e il problema dell’anziano è stato in parte risolto. In passato lo assistevano soltanto la famiglia, i vicini di casa. Oggi, la situazione sta cambiando. Introduce così il suo discorso il dottor Gaetano Roberto Valastro, direttore F.R. Lungodegenza Fondazione Internazionale Pallesch per l’Aiuto all’Anziano.

“Si sente spesso parlare di paziente fragile – afferma Valastro –, ma un anziano con una discreta situazione economica e di salute, con un supporto familiare o di amici che possano fornirgli assistenza nel momento del bisogno, non ci sentiamo di chiamarlo fragile. Non avremmo chiamato fragile un paziente come Giovanni Agnelli, seppure con tutte le sue malattie.

Comorbilità, cioè una pluripatologia, il rischio di aggravare la propria situazione, il rischio di non poter ottemperare alla terapia in modo specifico, non avere un supporto familiare, non prodigarsi per una situazione terapeutica ottimale, è questa la vera fragilità dell’anziano.

È necessaria un’integrazione tra ospedale e territorio, improntata non solo sull’importanza del medico ospedaliero, ma anche con il supporto dell’infermiere, di collaboratori socio-sanitari che possano prestare assistenza sia nell’ambito ospedaliero che in quello territoriale, e del medico di medicina generale (medico di famiglia). È necessario che tutte queste figure abbiano nozioni di geriatria. Si deve partire dal principio che l’anziano ha diritto alle stesse cure di uno giovane”.

 

Il tema dei problemi chirurgici dell’anziano è stato affrontato da Nicola Costa, dirigente medico UOC di chirurgia Ospedale Santa Marta e S. Venera di Acireale.

“L’ospedale deve uniformarsi alle nuove esigenze, deve modificarsi l’approccio, l’atteggiamento di noi medici. Dobbiamo sensibilizzare gli enti preposti alla creazione delle strutture, è necessaria un’attenzione per evitare le cadute, per esempio il letto deve avere le sponde e deve esserci la presenza di una luce. Sarebbe bene ci fosse un reparto specifico di geriatria. La figura del geriatra è importante perché gli anziani hanno la tendenza ad alcune patologie specifiche: l’ipertrofia prostatica, il cancro della prostata, le malattie reumatiche, l’osteoporosi. Ed è necessario che anche il personale socio sanitario sia formato per prevenire le complicazioni legate al ricovero, come per esempio le piaghe da decubito. Finito il trattamento ospedaliero il paziente deve essere indirizzato all’assistenza domiciliare o presso le RSA, facendo capo al medico di famiglia”.

 

Con il dottor Giuseppe Squillaci, dirigente medico, responsabile UVP area metropolitana, Catania, si è parlato del rapporto del paziente anziano con il territorio. “Fino a poco tempo fa prima che il paziente venisse dimesso, la UVM (Unità Valutativa Multidimensionale) era chiamata a fare una valutazione multidimensionale in ospedale, il che comportava tempo e organizzazione. Da quest’anno la situazione è cambiata: si attiva, in via sperimentale, via internet una modalità di dimissioni protetta con il coinvolgimento del Medico del Reparto – continua Giuseppe Squillaci – e dell’UVM, l’unità del distretto che funziona da catalizzatore di tutti i problemi sanitari, si occupa dell’assistenza dell’ADI, delle cure palliative, dei ricoveri in RSA, e decide se dare assistenza a casa, in RSA o ADI o cure palliative. Successivamente va fatto un progetto in cui si coinvolge il medico di medicina generale. Il progetto assistenziale consiste nel considerare tutti i bisogni del paziente e fornire le dovute soluzioni Se per esempio il paziente ha delle lesioni da decubito si deve individuarne la causa (se è da troppo tempo allettato, malnutrizione, ecc.) e si fa assistenza educativa al caregiver per evitare recidive, si danno i presidi per la medicazione e per la prevenzione. Si inizia subito un’assistenza infermieristica. Per l’assistenza riabilitativa si fa un progetto per capire quali sono le possibilità di recupero e per attivare un sistema di assistenza domiciliare e riabilitativa.

Il paziente verrà visto in ospedale e sarà poi condotto a casa.

Il problema dell’ADI consiste nelle numerose richieste di fisioterapia che spesso non sono soddisfatte in breve tempo per la carenza dei professionisti”.

 

Con il dottor Salvatore Scala, direttore del Dipartimento dell’Ospedalità Pubblica e Privata ASP di Catania, si è accennato all’importanza dell’Unità operativa nell’Ospedale Generale.

“L’anamnesi è fondamentale in ogni paziente e ancor di più nell’anziano perché noi dobbiamo venire a conoscenza delle problematiche di patologie correlate all’evento acuto che lo ha portato al ricovero.

È necessario un esame clinico scrupoloso, bisogna avere informazioni sugli eventuali interventi chirurgici pregressi. Per far questo può essere utile avvalersi della collaborazione dei parenti, perché a volte il paziente anziano non riesce a relazionarsi da solo con il medico in maniera ottimale. Fenomeni di disidratazione o/e anemia, ipoalbuminemia, obesità devono essere valutati perché possono creare complicanze non indifferenti. Così come i fattori di rischio: terapie con anticoagulanti o problematiche cardiovascolari, endocrine, respiratorie”.

Clementina Speranza

Disegno: Alessandro Marano

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GESTIRE IL DIABETE DURANTE LE FESTE

GESTIRE IL DIABETE DURANTE LE FESTE

Dal ponte dell’Immacolata all’epifania, da Pasqua a Pasquetta c’è chi non vede l’ora di trasferirsi dai parenti per ritrovare i piatti della tradizione. Lunghe maratone che tengono “bloccati” a tavola. Un piacere che, per chi ha il diabete, può trasformarsi in una preoccupazione. La diabetologa Claudia ArnaldiResponsabile dell’Unità Operativa Semplice (UOS) di Diabetologia pediatrica dell’ASL di Viterbo e Ilaria Bertinellichef blogger e mamma di due ragazzi con diabete hanno preparato un decalogo e commentano i vantaggi di una tecnologia che permette una gestione più affidabile e consapevole alle prese con le tentazioni culinarie.

“Di fronte a un periodo prolungato di pranzi e cene, suggerisco sempre ai miei pazienti con diabete poche regole ma molto precise – afferma Claudia Arnaldi –. Innanzitutto cercare di mantenere un’alimentazione sana e una regolarità dei pasti quando possibile concedendosi le eccezioni nei ‘giorni clou’, in cui la tavola rappresenta un momento di condivisione con familiari e amici, ma anche di affidarsi alle nuove tecnologie che contribuiscono sempre di più a gestire una patologia così complessa come il diabete di tipo 1”.

Far festa a tavola significa anche concedersi piatti più elaborati, più gustosi e anche più grassi di quelli che mangiamo normalmente. Per chi ha il diabete è importante avere soluzioni semplici e che contribuiscano ad aumentare la consapevolezza e quindi la gestione della malattia.
“Un prezioso alleato per gestire un’alimentazione più elaborata possono essere le verdure che non devono mai mancare in una pianificazione consapevole di quello che la tavola imbandita offre. Le verdure ricche in fibra infatti modulano l’assorbimento dei carboidrati contribuendo a ridurre il picco glicemico postprandiale. Un suggerimento che mi sento di estendere a tutti, ma in modo particolare ai miei pazienti con diabete. Un altro aspetto importante – continua Claudia Arnaldi – è la possibilità per i bambini e ragazzi con diabete di tipo 1 di godere di questi momenti speciali con pareti e amici senza sentirsi diversi, potendo assaporare come tutti gli altri la buona tavola della nostra tradizione e gestendo nel contempo al meglio le loro glicemie. Spiego loro che per raggiungere questo obiettivo è necessario avere la capacità di fare scelte corrette nella gestione della terapia insulinica e nel controllo della glicemia e che ora, grazie al prezioso contributo della tecnologia, entrambe possono essere gestite e controllate in modo più adeguato e sicuro”.

Vista la frequenza e la durata dei pasti, la tecnologia si conferma una preziosa soluzione nella gestione del diabete grazie a sistemi intelligenti, piccoli e senza fili che evitano scomode punture e iniezioni. Lo fanno monitorando ogni 5 minuti di tutti i valori della glicemia (annunciando con anticipo e senza stress per il paziente quando è necessario intervenire sulla terapia) e somministrando l’insulina attraverso microinfusori patch (nell’ordine Dexcom G6 e Omnipod).

“Per una persona con diabete di tipo 1 non è semplice gestire in modo corretto la terapia insulinica in contesti particolari come questi, caratterizzati da pasti molto elaborati, prolungati nel tempo, che si ripetono più volte in poco meno di 3 settimane – precisa Arnaldi -. Gli utilizzatori di device sono particolarmente favoriti perché la tecnologia li supporta nell’adattamento del dosaggio dell’insulina anche a pasti così complessi, contribuendo a prevenire le iperglicemie che, a causa dell’esubero di grassi e proteine, spesso possono essere anche tardive e difficilmente prevenibili. La tecnologia si conferma lo strumento più idoneo per evitare escursioni glicemiche eccessive sia grazie al monitoraggio in continuo del glucosio e alla possibilità di avere in anticipo informazioni su come evolverà la glicemia, sia grazie alle pompe d’insulina che permettono di adattare meglio la somministrazione dell’insulina”.

DIECI REGOLE A TAVOLA, PRIMA, DURANTE E DOPO LE FESTE

“Sono ormai 10 anni che regalo sul web i trucchi per cucinare e organizzare la dispensa per chi ha il diabete come i miei figli – afferma Ilaria Bertinelli, chef blogger e mamma di due ragazzi con diabete –. Amo cucinare e mi piace sfidare quelli che molti definiscono i limiti del diabete. Ho imparato a farlo e sono convinta che chiunque possa cimentarsi dietro ai fornelli tenendo d’occhio i parametri che la malattia impone. Anche se le metto in pratica tutti i giorni ora che si stanno avvicinando le feste, serve sicuramente fare un po’ più di attenzione, magari seguendo dieci semplici regole”.

1.     PIANIFICA il calendario delle cene e dei pranzi. Ricorda che non si tratta di una sola giornata ma di un periodo prolungato

2.     MANTIENI regolarmente i pasti. Evita di fare digiuni prolungati o pasti troppo abbondanti

3.     NON SOTTOVALUTARE i ripieni. Calcola il diverso contributo nutrizionale dei primi piatti e/o di carni se fatti con il ripieno

4.     INSERISCI sempre una porzione di verdure a ogni pasto. Non fare a meno dei tuoi preziosi alleati

5.     RINUNCIA al pane. Abituati a non mangiarlo se hai già previsto primi piatti e dolci

6.     CONCEDITI un dolce a fine pasto con moderazione. Premiati con una porzione di dolce, ma di un tipo solo

7.     NON SOTTOVALUTARE la frutta secca con o senza guscio (noci, pistacchi, datteri, etc). Ricorda che non sono semplici spuntini, ma sono da considerare all’interno del pasto

8.     FAI MOVIMENTO tra un pasto e l’altro. Riservati del tempo per una passeggiata che aiuta l’assorbimento degli zuccheri

9.     RIDUCI le bibite zuccherate. Fai attenzione anche a quello che bevi

10. NON USARE SCUSE quando sei fuori casa. Puoi bilanciare i pasti in qualsiasi contesto (casa di amici e di parenti e ristoranti)

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ESERCIZI KEGEL E IL PARERE DELLA GINECOLOGA

ESERCIZI KEGEL E IL PARERE DELLA GINECOLOGA

Gli esercizi di Kegel consistono in semplici contrazioni volontarie e ripetute dei muscoli che fanno parte del pavimento pelvico; l’area pelvica è la parte del corpo compresa fra le ossa del bacino e racchiude i muscoli e i legamenti che delimitano e sostengono gli organi dell’apparato urinario e riproduttivo 

Gli esercizi sono utili per rafforzare i muscoli del pavimento pelvico, che sostiene l’utero, la vescica e l’intestino, e che spesso sono associati alle neo-mamme o alle over-50.  Sono utili per ridurre l’incontinenza urinaria negli uomini e nelle donne soprattutto dopo il parto. Negli uomini a provare a ridurre la severità dei disturbi di eiaculazione precoce e secondo alcuni alcune fonti per aumentare la dimensione e l’intensità delle erezioni. Gli esercizi devono essere eseguiti più volte ogni giorno, per un periodo di almeno tre mesi per iniziare a ottenere un effetto. L’esperta Manuela Farris, ginecologa per INTIMINA (azienda svedese che con i suoi prodotti accompagna le donne dalle mestruazioni alla menopausa) commenta le scuse che spesso le donne usano per evitare una nuova routine ancora poco considerata, ma che potremmo inserire nei buoni propositi dell’anno. È consigliabile consultare uno specialista e sottoporsi a un esame del pavimento pelvico prima di eseguire gli esercizi.

Spesso le pazienti riferiscono di esser troppo giovani per i kegel. “Prima iniziano, prima ne sentiranno i benefici. Gli esercizi regolari per il pavimento pelvico sono più vantaggiosi per il 50% delle donne con vescica debole – precisa Farris –. Ma anche se non si soffre di incontinenza, oppure non si ha avuto un bambino o non si ha intenzione di averne uno, è importante prendere confidenza con gli esercizi – precisa Farris –. Tutti gli esercizi richiedono perseveranza e il rafforzamento del pavimento pelvico non fa eccezione. Pianificare regolarmente il tempo di pratica renderà più probabile che si stia al passo con la routine e si completi correttamente ogni contrazione. Prendete 5 minuti al giorno per allenarvi. Molte donne iniziano a fare esercizi di Kegel, aspettandosi risultati immediati. Tuttavia, come con qualsiasi attività, possono essere necessarie alcune settimane per notare i risultati, ma ogni sessione di allenamento ti avvicina alla perfetta salute pelvica. Ci vogliono circa 12 settimane per notare un vero cambiamento – aggiunge Farris –. Una volta che inizi a vedere la differenza, però, cambia la vita, quindi non arrenderti. 

Inserire i Kegel nella tua routine è facile perché, a differenza di un tipico allenamento in palestra, non hai bisogno di un abbigliamento speciale o di un abbonamento. Puoi farlo seduta, in piedi o sdraiata. Uno dei metodi più popolari per esercitare i Kegel è il metodo “ascensore”. Immagina la tua vagina come un pozzo dell’ascensore, con l’apertura come il piano terra. Contrai lentamente i muscoli pelvici – continua Farris – sollevando l’ascensore verso l’ombelico. Pausa in alto. Quindi abbassa lentamente l’ascensore. Ripeti cinque volte. Continua a respirare normalmente e cerca di non contrarre i glutei o i muscoli dello stomaco. Esistono anche dispositivi intelligenti come i pesi vaginali (LASELLE) o gadget fem-tech (KEGELSMART) che aiutano a guidare meglio gli esercizi di Kegel”.

PERCHÈ FARE GLI ESERCIZI SE NON SI AVVERTE NESSUN DISTURBO? 
“Gli esercizi di Kegel aiutano a essere più consapevoli dell’eventuale contrazione della muscolatura che circonda la vagina, una delle cause del dolore prima e durante il rapporto sessuale. Allo stesso modo aiutano a rilassare la muscolatura rendendo la penetrazione più confortevole. Possono anche migliorare la lubrificazione vaginale, consentendo un maggiore afflusso di sangue ai genitali, aumentare l’eccitazione sessuale e rendere più facile il raggiungimento dell’orgasmo. Sono inoltre suggeriti per migliorare la sessualità nel dopo parto, in caso di incontinenza urinaria e per prevenire il prolasso uterino. Alcune donne – conclude Farris – riferiscono che fare i Kegel aiuta la loro vita sessuale, in parte perché un muscolo più forte potrebbe essere più facile da contrarre durante l’orgasmo e perché questo esercizio favorisce l’afflusso di sangue alla zona pelvica. C’è inoltre l’effetto psicologico positivo: poiché fare i Kegel è qualcosa che la donna può gestire, questo la aiuterà a sentirsi maggiormente attiva nella sessualità e quindi può migliorare la soddisfazione sessuale”.

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IL SORRISO DEGLI ITALIANI E IL PARERE DELLA PSICOTERAPEUTA

IL SORRISO DEGLI ITALIANI E IL PARERE DELLA PSICOTERAPEUTA

“Il sorriso dura un istante. Il suo ricordo può durare tutta la vita”, recita così un proverbio cinese.

In occasione della Giornata mondiale del Sorriso ecco svelati i dati dell’indagine effettuata con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) condotta su circa 1200 italiani di età compresa tra i 20 e i 50 anni, attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community dedicate. Lo studio “Italiani e sorriso” è stato commissionato da Straumann Group, azienda di implantologia e nelle soluzioni ortodontiche. Rivela emozioni e abitudini degli italiani. A spiegare interpretazioni e significati è la dottoressa Katia Vignolipsicoterapeuta e docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia e alla Scuola di Naturopatia dell’Istituto Riza. Con il supporto di Federico MandelliDottore in odontoiatria, specialista in chirurgia orale e autore di pubblicazioni scientifiche.

“Nell’immaginario universale la bocca è il ponte di passaggio tra il mondo interiore e il mondo esterno: è dotata di un numero straordinario di terminazioni nervose e forse non è così noto che larga parte della nostra corteccia sensoriale sia dedicata alle sue numerose attività”, afferma Vignoli. Secondo l’indagine, sono molteplici anche gli stati d’animo che le persone manifestano attraverso la bocca, ad esempio felicità (67%), sorpresa/stupore (59%), perplessità (56%),disaccordo (41%) e tristezza (45%). “La bocca può esprimere tutto e il contrario di tutto, è il simbolo delle ambiguità. Essa disegna nelle sue due curve la compresenza di due direzioni opposte, che riassumono le due nature dell’essere umano: quella superiore corrisponde al mondo dell’alto, della coscienza; quella inferiore al mondo del basso, degli istinti, spiega Vignoli.

Il ruolo chiave della bocca è reso ancora più evidente da ulteriori dati dello studio. Secondo il 37% degli italiani coinvolti nel sondaggio rappresenterebbe una delle parti più intime del proprio corpo, per il 29% uno strumento indispensabile per comunicare e per il 21% una parte del viso da curare all’esterno e all’interno. Innumerevoli, inoltre, le sue funzioni: parlare (30%), mangiare (25%), baciare (20%), trasmettere uno stato d’animo (19%).

La bocca è la traduttrice simultanea più versatile dei nostri stati d’animo ed è indubbio che, nel ventaglio delle sue possibilità espressive, il sorriso occupi il primo posto. Sono molte le sfaccettature che un sorriso può mostrare: innanzitutto, l’indagine rivela che il 61% degli italiani sorride a bocca chiusa, mentre soltanto il 39% lo fa a bocca aperta. “Il sorriso a bocca chiusa si carica di significati come tacere, nascondere, rifiutare, assentarsi, mantenere la distanza, custodire nel silenzio, auto-proteggersi… Mettiamo istintivamente la mano sulla bocca quando abbiamo paura: tenere la bocca chiusa è sbarrare l’accesso al mondo, e mima un grande ‘No’ alla vita – commenta la pscicoterapeuta -. Aprire la bocca, invece, non è solo respirare, mangiare, parlare, ma anche farsi sentire, rompere il tabù; e poi sperimentare, avviare lo scambio con l’altro, essere disponibili, curiosi, entrare nel gioco. Apriamo la bocca davanti a meraviglia, bellezza, inaspettato: la vita chiama e le labbra si schiudono; la vita offre e la bocca si apre; la vita sorprende e la bocca si spalanca. Insomma, aprire la bocca è un grande ‘Sì’ alla vita: significa permettere alla vita di entrare dentro di noi, consentire a noi stessi di uscire arricchiti o trasformati da questo scambio”.

CURARE IL SORRISO

Lo studio ha indagato anche le ragioni per cui gli italiani, quando sorridono, non mostrano i denti: insicurezza legata all’aspetto fisico (67%), disabitudine legata all’uso della mascherina (63%), timidezza (60%) e poca cura della cavità orale (56%). Proprio quest’ultimo è un aspetto che potrebbe essere migliorato e che, secondo l’indagine, induce emozioni negative nelle persone consapevoli di non avere un sorriso curato, quali insicurezza (59%), imbarazzo (43%), vergogna (39%) e malumore (33%). D’altro canto, una bocca curata fa sentire il 67% del campione più belli, più sicuri con gli interlocutori (55%) e in salute (51%), oltre a migliorare l’autostima (47%).

Una bocca e un sorriso curati e sani sono cruciali anche per la salute generale delle persone – precisa Federico MandelliDottore in odontoiatria, specialista in chirurgia orale e autore di pubblicazioni scientifiche -. Se la bocca funziona male, è il corpo intero a subire ripercussioni. Basta pensare all’alimentazione: il processo di digestione degli alimenti inizia proprio dalla bocca e, se non curata, può incidere sull’assimilazione corretta dei nutrienti.  È importante, quindi, seguire un’igiene orale adeguata: innanzitutto, è bene impostare un’accurata e corretta routine, privilegiando la qualità alla quantità. In secondo luogo, bisognerebbe fare attenzione ad alimenti e bibite troppo acide: dopo averle consumate, senza eccessi, è meglio aspettare 30 minuti prima di lavarsi i denti; questo perchè, spazzolando subito, si rischia di intaccare la superficie dello smalto momentaneamente indebolita dalle sostanze acide. In questo modo, la saliva avrà invece il tempo di svolgere la sua funzione e stabilizzare il corretto pH della bocca. Infine, non dimenticare il filo interdentale: se non è possibile utilizzarlo due volte al giorno, un trucco potrebbe essere quello di passarlo la mattina sull’arcata superiore e la sera sull’arcata inferiore, così da non avere la sensazione di perdere troppo tempo, instaurando allo stesso tempo un’abitudine da seguire e intensificare giorno dopo giorno”.

COME RICOMINCIARE A SORRIDERE

Per il 31% delle persone, la mancata cura della propria bocca è strettamente correlata al periodo pandemico e all’uso negli ultimi anni della mascherina; il 27% attribuisce invece le ragioni al costo delle visite dentistiche oppure a problemi economici, il 20% ad una minor frequenza con cui ci si rapporta alle persone, mentre il 15% ad un’attenzione bassa per l’igiene. D’altra parte, l’indagine rivela che il trend negativo è ora a un punto di svolta: il 61% degli italiani si prenderà maggiore cura della propria bocca, per via della diminuzione delle misure restrittive – ad esempio l’uso meno frequente delle mascherine e l’aumento degli incontri in presenza – con un conseguente probabile incremento dei sorrisi.

“Tra gli effetti psicologici del post-pandemia, pare che molte persone abbiano momentaneamente perso l’attitudine al sorriso che, specialmente a bocca aperta, sembra sempre più raro – spiega Vignoli -. Dobbiamo allora reimparare a sorridere? E se sì, come riuscirci, visto che il sorriso autentico è quello spontaneo? Può venirci in soccorso il suggerimento di un grande psichiatra e psicoterapeuta, Roberto Assaggioli, con la tecnica del ‘Come se’. Questa consiste nell’agire come se uno effettivamente possedesse lo stato interiore desiderato, non certo obbligandosi a fingere di esser felice se in realtà è triste, ma comportandosi su un piano corporeo come se fosse allegro e fiducioso. Bisogna rasserenare la fronte, alzare la testa, pronunciare parole di ottimismo e gioia, e soprattutto sorridere. Secondo Assaggioli, e le sue ricerche lo confermano, assetto corporeo della felicità e sorriso, con un allenamento costante migliorano il nostro stato emotivo. Riprendiamoci allora il nostro diritto al sorriso aperto; ricominciamo a sorridere senza aspettare che siano le circostanze esterne a indurci a farlo, così da riacquistare una naturalezza che contagerà anche gli altri, riaprendoci alla speranza e alla fiducia”.

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