DA PARIGI A MILANO, MONET IN ESPOSIZIONE A PALAZZO REALE

DA PARIGI A MILANO, MONET IN ESPOSIZIONE A PALAZZO REALE

Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) è considerato il padre dell’Impressionismo. Il nome stesso di questa corrente artistica è legato alla sua opera: Impressione. Sole nascente.

La passione per l’arte del pittore si manifesta negli anni dell’adolescenza, in cui si dimostra abilissimo con le caricature che vende per poche monete. Diventa però famoso solo al raggiungimento della maturità, dopo aver conosciuto una povertà nera che lo aveva anche spinto a tentare il suicidio lanciandosi nella Senna. Nonostante le difficoltà, l’artista trova la forza di non arrendersi, permettendo così al mondo di ammirare le sue opere. Dipinti in cui la forma si dissolve nei colori, e la natura acquista forma e dinamismo specchiandosi in un lago ornato di ninfee.

Dal 18 settembre al 22 gennaio, è la città di Milano a rendere omaggio al pittore francese con la mostra: “Monet. Dal Musée Marmottan Monet, Parigi”, curata da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi, e proposta da Palazzo Reale con Arthemisia

“Organizzare una mostra così importante per la cultura europea e mondiale, in un momento di ripartenza come quello che stiamo vivendo dopo la pandemia, rinnova la vocazione internazionale di Milano e conferma il suo ruolo di centro culturale europeo – afferma Giuseppe Sala, sindaco di Milano –. Il tema centrale è la pratica della pittura en plein air, dalle origini fino alle ultime opere, che permette di approfondire l’evoluzione artistica del pittore”.

Il percorso espositivo formato da 53 dipinti propone l’intera parabola artistica del Maestro impressionista letta attraverso le opere che l’artista stesso considerava fondamentali, private, tanto da custodirle gelosamente nella sua abitazione di Giverny; quadri che lui stesso non ha mai venduto e che raccontano le più grandi emozioni. La mostra si apre introducendo i visitatori in una sala, allestita con mobili originali del periodo napoleonico, che vuole essere un omaggio a Paul Marmottan, il fondatore del Musée Marmottan Monet da cui provengono le opere di Claude Monet esposte a Palazzo Reale.

Suddivisa in 7 sezioni (Le origini del Musée Marmottan Monet: dallo Stile Impero all’Impressionismo, La pittura en plein air, La luce impressionista, Da Londra al giardino: nuove prospettive, Le grandi decorazioni, Monet e l’astrazione e Le rose), l’esposizione introduce alla scoperta di opere chiave dell’Impressionismo e della produzione artistica di Monet sul tema della riflessione della luce e dei suoi mutamenti nell’opera stessa dell’artista, l’alfa e l’omega del suo approccio artistico.

Dando conto dell’intero excursus artistico del pittore, a partire dai primissimi lavori che raccontano del nuovo modo di dipingere en plein air e da opere di piccolo formato, si passa ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville e delle sue tante dimore. Ma non solo. Verdeggianti salici piangenti, onirici viali di rose e solitari ponticelli giapponesi; monumentali ninfee, glicini dai colori evanescenti e una natura ritratta in ogni suo più sfuggente attimo. Tra le opere esposte si possono ammirare: Sulla spiaggia di Trouville(1870), Passeggiata ad Argenteuil (1875), Charing Cross (1899‐1901), Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905) fino alle splendide Ninfee (1916-1919).  

La mostra è sostenuta anche da Generali Valore Cultura, il programma di Generali Italia per promuovere l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale al mondo dell’arte attraverso l’ingresso agevolato a mostre, spettacoli teatrali, eventi e attività di divulgazione artistico-culturali con lo scopo di creare valore condiviso.

Simone Lucci

GIOVANI E FUTURO. INTERVISTA ALL’AUTRICE DI “ORGOGLIO E SENTIMENTO”

GIOVANI E FUTURO. INTERVISTA ALL’AUTRICE DI “ORGOGLIO E SENTIMENTO”

Orgoglio e Sentimento”, edito da Armando Editore, è stato proposto al Premio Strega 2021.

L’autrice? Benedetta Cosmi, classe 1983, giornalista, e saggista che si è occupata di pianificazione strategica a Milano, dove risiede e vive.

Un viaggio sul Frecciarossa è un po’ la metafora della vita, che scorre veloce. Si è esposti a incontri e cambiamenti inattesi, ai ritardi e alle mancate coincidenze che stravolgono il percorso. Benedetta Cosmi racconta le vicende di quattro amici in viaggio, ponendo all’ascolto un anziano giornalista in pensione che ha considerato la propria generazione con sguardo critico. Un racconto che non segue il cliché del romanzo. È l’analisi socio-politica della generazione fra i trenta e i quarant’anni alle prese con le problematiche attuali e la pandemia. I racconti di Sonia, Giannenrico, Adriana e Olimpia toccheranno temi d’attualità: l’amicizia, i compagni di scuola, l’amore, i sacrifici, la ricerca di occupazione, la salute, il benessere non soltanto materiale, i mutamenti sociali e culturali.

Parli dell’amore fra Sonia e Fabio Almanacco, uno scrittore engagé, “impegnato”, un personaggio del romanzo cui dai anche vita sui social, con un profilo attivo su Twitter. Fabio ama le donne che vogliono cambiare il mondo. Hai creato un personaggio che ama quindi la sua autrice. Sei consapevole di essere una donna nata per cambiare il mondo?

 Un personaggio che, forse, amerebbela sua autrice. Quelle sono le donne che amerei io, così come gli uomini che amerei io sono quelli interessati a cambiare il mondo, quindi impegnati. Sonia e Fabio rispecchiano entrambi due pezzi di me.

Alcuni lettori hanno aperto dei profili social su Twitter, in particolare di Cesare, il giornalista, e c’è anche questo gioco letterario. E poi recentemente sono stati aperti pure quelli di Sonia e di Fabio. Sonia è una dei quattro ragazzi del treno. Sonia il suo contributo lo dà, ed è simile al mio. Fabio Almanacco è uno scrittore, e per certi versi ha il mio stile, condivide le battaglie di Sonia, anche se da schieramenti politici diversi: è un militante della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) e si sono incontrati davanti ai cancelli dell’INSSE, una battaglia che mi ha colpita tantissimo.

Citi Kant con la frase: “Abbiamo sempre bisogno di tre cose semplici nella nostra vita. Qualcosa da fare, qualcuno da amare, qualcosa in cui sperare”. Il tuo qualcosa da fare è chiaro, con la firma di sette libri, l’impegno sui diritti umani sociali ed economici, l’impegno politico; il tuo qualcuno da amare è tua figlia, la piccola Lisa, ma cosa è il tuo qualcosa in cui sperare?

Qualcosa in cui sperare va di pari passo con l’idea di ciò che vogliamo, e quindi sperare di cambiare, sperare di realizzarlo, di averne il coraggio. Certo, quando scompare la speranza si spegne una città, un Paese, una generazione, un’epoca. Quindi è fondamentale avere sempre qualcosa in cui sperare. Io spero di saper fare la mia parte, con la mia scrittura, con il mio impegno, ma anche con la determinazione: su questo devo lavorarci un po’ di più, perché sperare di cambiare le cose presuppone a volte anche il non accontentarsi del già fatto. Il “si è sempre fatto così” può essere fallibile. Io aggiungo sempre “prima di me”, cioè: si è sempre fatto così prima di me. Ecco in cosa sperare: di essere tutti noi apripista negli ambiti che amiamo.

 

Milano è nel tuo cuore. Viene descritta, non solo come una bella fotografia da guardare, ma come una pellicola cinematografica con una storia fatta di uomini che hanno lottato per i diritti sul lavoro. Forse l’ultimo luogo deputato a essere frutto di scambi culturali, “siamo diventati discontinui in qualsiasi cosa della nostra vita”, e “siamo tutti troppo isolati per essere maestri per qualcuno”, inoltre la pandemia ha accentuato questo nostro isolamento. La generazione futura dovrà affrontare un periodo economico disastroso senza “maestri” a cui fare riferimento?

I maestri siamo noi, direi così. C’è stato un bellissimo titolo: “La storia siamo noi”; adesso è il tempo di maestri siamo noi. Anche perché con l’idea che sempre qualcun altro debba esserlo abbiamo creato, accettato e lasciato un vuoto. Credo che ci sia stata una fetta gigante di generazione di 50, 60 e 70 enni che non sono mai diventati maestri per nessuno. Forse perché hanno vissuto quell’epoca in cui ci si contrapponeva all’adulto, e quindi sono rimasti troppo sessantottini, credendo di essere ancora quella generazione che scendeva in piazza. Hanno privato così i più giovani di un percorso costruttivo. Si cresce in due modi: per consegna degli ancoraggi valoriali da parte di un maestro, oppure quando c’è il conflitto, il contrasto, quello a cui contrapporsi. Questo la nuova generazione non l’ha avuto: il giovane contro l’adulto non è di questa epoca, perché oggi manca l’adulto.

 

Hai sempre auspicato la diffusione della cultura. Con biblioteche come luoghi fruibili di giorno e di notte. E poi l’idea del progetto Book in Bike: il delivery della cultura. La “cultura non come ‘evento per l’estate’, ma come base della società per capire e affrontare la quotidianità”. La cultura sarà l’unica strada per il futuro?

La cultura non è solo passato, la cultura è anche presente e sicuramente è anche futuro. È futuro perché crea indotto economico e crea aggregazione. A me, per esempio, mancano tantissimo le correnti culturali, artistiche, letterarie del passato che hanno reso frizzante il loro periodo. Noi, invece, abbiamo talk e talent show in abbondanza. In questo percorso, dalle correnti artistiche letterarie ai talent show, forse ci siamo persi un pezzo di cultura.

 

Spesso i giovani, pur con laurea e master, sono spinti verso una marginalizzazione sociale dovuta alla disoccupazione, alla precarietà del lavoro, e hanno difficoltà anche nella formazione di una propria famiglia. Il rapporto giovani del 2008 indicava un milione e 900 mila persone giovani che non studiavano e non lavoravano; oggi il Corriere intitola: “Neet, all’Italia il record in Europa: 2 milioni di giovani non studiano e non lavorano”. Creiamo acronimi ma non lavorano, sembra proprio che non sia cambiato nulla?

Coloro che non studiano e non lavorano sono i protagonisti delle pagine di chiusura del mio libro “Non siamo figli controfigure”presentato nell’aprile 2010, con l’allora assessora alla cultura Mariolina Moioli, durante l’evento dal titolo “Costruire insieme il palinsesto sociale della nostra città”. Palinsesto, un termine preso in prestito dal mondo televisivo che si riferisce alla completa programmazione delle trasmissioni, mi piaceva per quel suo essere a copertura totale, mentre la tv di una volta a un certo punto interrompeva la messa in onda.

Oggi arrivano i Neet, coloro che né studiano e né lavorano, o studiano a modo loro, perché hanno internet, hanno incontri e lavorano anche a modo loro, magari fanno volontariato, e magari provano nella loro stanzetta a creare una startup. Però a noi adulti manca il crederci. È difficile che il denaro venga investito su un’idea e che quindi poi possa diventare concept e poi realtà. È più facile restare passivi e sperare nel colpo di fortuna che risolva tutto, nella vincita alla lotteria. Lo si è visto persino durante il Covid, con gli scontrini. 

 

“Orgoglio e Sentimento” è una fiction del 2020, che lascerà ai posteri la descrizione di questa generazione di giovani. L’orgoglio di una generazione, di un Paese che vuole riscattarsi, e il sentimento di un Presidente della Repubblica donna nel prossimo futuro.

Stefano Rovelli

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