CORSICA: SELVAGGIA E INCONTAMINATA

CORSICA: SELVAGGIA E INCONTAMINATA

La Corsica ha una forte e orgogliosa identità culturale. Amata e celebrata dai viaggiatori, è un’isola dominata dal sole. Le sue scogliere rosse si tuffano nelle acque turchesi, poi piccole calette, spiagge sabbiose, penisole, promontori, montagne, villaggi autentici, frutteti, castagneti e vigneti occupano buona parte del territorio offrendo una ricchezza di materie prime a cui attingere. In questo articolo vi narreremo i luoghi più suggestivi della Corsica del Sud in cerca di una dimensione dell’isola affascinante e godereccia. Perché l’identità a tavola e altrettanto appagante.

Bonifacio

È  una città sulla punta meridionale dell’isola francese. È nota per il suo vivace porticciolo e per la cittadella medievale sulla scogliera calcarea che si tuffa a precipizio sul mare. Magnifici la Escalier du Roi d’Aragon (la Scalinata del Re d’Aragona), composta da 187 antichi scalini scavati nella roccia e la Phare de Pertusato, da dove si può ammirare un meraviglioso panorama. È senza dubbio la città che più delle altre riempie gli occhi con spettacolari immagini. Approfittate per girovagare tra le vie della cittadella e perdersi in quei momenti.

Sartène

È  un antico borgo che custodisce tutto il fascino dei tipici villaggi corsi, le sue case di granito arroccate sui misteriosi vicoli ciechi la rendono muta, senza tempo, e sanno incantare per l’atmosfera medievale. I ritmi sono quelli di un tempo, la tradizione scandisce ogni momento Sartène vi offrirà l’opportunità di osservare da vicino gli aspetti più autentici della Corsica rurale.

Nella zona adiacente visitate il sito preistorico di Cauria, poi proseguite fino a Levie, nella zona montana di Alta Rocca, qui potrete immergervi nell’atmosfera selvaggia dell’isola. Fitte foreste sempreverdi e borghi con case in granito vi lasceranno impresso un ricordo inedito della Corsica.

Porto Vecchio

È un borgo portuale della Corsica. Ricco di spiagge e insenature che competono tra loro per la loro bellezza. Tra la sabbia e le rocce dai colori caldi, le sfumature del mare assumono colori cangianti. È circondato da una vegetazione tipicamente mediterranea. Porto Vecchio è una delle località turistiche più frequentate dell’isola, conosciuta anche come la Cittadella, è circondata dai bastioni e si presenta con case e vicoletti stretti di pietra. Il cuore pulsante è Piazza della Repubblica dove si presentano vivaci spazi abitati con locali movimentati. La Rue U Borgo è la via principale del centro storico dove si trovano negozi più fashion delle grandi firme della moda. La zona del porto, invece, è il centro effervescente della movida notturna grazie alla presenza di molte discoteche, ristoranti, e locali per tutti i gusti.

Tra le rovine più significative spiccano alcune mura, Porta Genoise e il Bastione di Francia.

Arcipelago delle Isole

8 isole. Lavezzu, Cavallo, Ratinu, Piana sono soltanto alcune dell’arcipelago di Lavezzi, classificato come Area Protetta della Riserva Naturale. Rosso cupo e scenari incantevoli vestono piccoli lembi di terra che scoprono una natura bellissima, questo luogo straordinario sorge sul mare di Ajaccio, il tramonto è il momento più bello per ammirare la costa che si tinge del colore scarlatto del sole che cala dietro l’orizzonte. Il panorama è ammaliante e romantico.

La Corsica a Tavola

Charcuterie” sono i classici salumi, preparati con tenere carni. Ci sono il prisutto (prosciutto essiccato per 18 mesi), il figatellu (salsiccia di fegato al vino), il lonzu (filetto di maiale conservato sotto uno strato di grasso).

Il brocciu, invece, è un formaggio fresco per certi versi simile alla ricotta: bianco e tenero. Viene utilizzato in una infinità di piatti come zuppe, omelette, lasagne. Non manca mai nella charcuterie.

Il Civet de sanglier è un altro dei grandi cavalli di battaglia della cucina della Corsica. Il cinghiale selvatico è preparato in casseruola con carote, castagne, finocchio, aglio, cipolle.

La grigliata di pesce è un’istituzione. Spesso comprende pesce spada, tonno, gamberi, gamberoni, molluschi.

La bouillarbasse è una zuppa di pesce che preparata in questo modo non l’assaggerete in nessun’altra parte del mondo. Scorfano, triglie, grongo e gallinella sono alla base della ricetta. Viene servita accompagnata con la rouille, una salsa a base di pangrattato, olio d’oliva, zafferano e peperoncino.

Veau aux olive, l’agnello alle olive che viene preparato in ogni parte della Corsica. È cotto lentamente, in modo da esaltarne il sapore. E per finire? Fiadone un dolce sformato di brocciu e limone.

Isabella Scuderi

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UNA VILLA ROMANA TRA NATURA E ARCHEOLOGIA

UNA VILLA ROMANA TRA NATURA E ARCHEOLOGIA

In Sicilia, a Realmonte, nell’Agrigentino ci sono i resti archeologici della villa romana di Durrueli, con mosaici e terme, risalenti al primo secolo dopo Cristo. La villa si affaccia sul mare e si trova alla foce del fiume Cottone, nella baia tra Punta Piccola e Punta Grande, ed è solo a poche centinaia di metri dalla Scala dei turchi. Il recupero e la manutenzione della villa maritima sono stati curati e finanziati dal Parco archeologico Valle dei Templi. Dal 1 giugno al 30 settembre sarà possibile ammirare la struttura. Una volta alla settimana, saranno disponibili le visite didattiche condotte dagli archeologi di CoopCulture (2, 9, 16, 23 e 30 giugno), con tre turni alle 10, alle 11 e alle 12, per 25 persone a volta e un ticket di 5 euro. ogni percorso, di circa un’ora, permetterà di scoprire un contesto archeologico unico nel suo genere, tra cortili colonnati, pavimenti musivi e strutture termali costruite in riva al mare.

“Questa riapertura è di importanza fondamentale per la provincia di Agrigento proprio perché arricchisce e avvalora il percorso che abbiamo posto in essere per dare lustro a un territorio che offre perle rare – afferma Francesco Paolo, Scarpinato Assessore ai Beni culturali – . Oggi abbiamo restituito questa meravigliosa villa di età imperiale agli agrigentini, rendendola fruibile ai visitatori, per dare un ulteriore impulso al turismo e ai beni culturali e cercare di migliorare sempre di più un’offerta che renda Agrigento pronta a essere Capitale della cultura. Con il governo Schifani stiamo lavorando alla costituzione di un protocollo d’intesa che possa rendere fruibili ai visitatori contestualmente sia la villa romana di Realmonte che la Scala dei turchi, utilizzando un biglietto integrato”. Prossimo obiettivo, quindi, sarà formalizzare la convenzione fra il Parco di Agrigento e il Comune di Realmonte, istituendo un percorso di visita unico che comprende sia la villa di Durrueli che l’incantevole Scala dei turchi, inaccessibile al pubblico per rischio crolli ed erosioni dal febbraio 2020. L’accesso sarà contingentato e con visita guidata, in maniera tale da proteggere il delicato ecosistema del luogo.

“Non gestiremo in toto la Scala dei Turchi, ci occuperemo solamente dell’area demaniale (circa 1.800 metri quadrati) confinante con il mare, che è quindi di demanio pubblico e non privato, affidata da luglio scorso, in concessione decennale al Comune, con possibilità di rinnovo per ulteriori dieci anni – precisa Scarpinato -. Questo significa rispetto delle norme, delle regole e ovviamente delle proprietà altrui, passando per la tutela, valorizzazione e fruizione dei nostri beni paesaggistici. L’iter dovrà consentire un uso ragionevole del sito, una messa in sicurezza dei luoghi, dei visitatori e dei lavoratori, in assoluta condivisione tra l’amministrazione comunale, il Parco e la Regione Siciliana, per ottenere l’utilizzo dell’area di grande interesse culturale e paesaggistico”. 

Alla riapertura al pubblico della villa romana tra natura e archeologia,  erano presenti l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato; l’archeologa del Parco, Maria Serena Rizzo; il sindaco di Realmonte, Santina Lattuca; il presidente del consiglio del Parco, Giovanni Crisostomo Nucera e il direttore del parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi, Roberto Sciarratta.

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Ph Andrea Vanadia – CoopCulture

 

 

TAPPO A VITE E ‘SVITATI’

TAPPO A VITE E ‘SVITATI’

Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. Cos’hanno in comune queste 5 cantine e relativi produttori? Nel giro di pochi anni tutti i loro vini saranno “tappati a vite”. Per questo si sono chiamati “Gli Svitati” e il 6 marzo hanno organizzato un evento a Villa Sorio di Gambellara (Vicenza) per raccontare e sostenere la loro scelta del tappo a vite. con una chiusura come il tappo a vite si rischiano meno “incidenti di percorso” rispetto a una chiusura naturale come il sughero. Questo è sicuramente un aspetto innegabile sul quale è chiaro che tutti i player del sughero stanno da tempo lavorando per ridurre il più possibile i rischi di “contaminazione” di varia natura.

“Se vogliamo vini protetti da ogni interferenza esterna con chiusure capaci di tutelare al meglio tutti i grandi sforzi che facciamo in vigna e in cantina, la scelta deve cadere inevitabilmente sui tappi a vite, senza nessun dubbio” è il concetto che in modo accorato hanno sottolineato.
Una scelta estrema dettata dall’aver visto troppe volte il loro lavoro attento e preciso per ottenere grandi vini penalizzato da un tappo naturale che ha “contaminato” il loro prodotto, vanificando così tutti i loro sforzi. “Ricordo che qualche anno fa, in un noto ristorante, i clienti seduti a un tavolo vicino al nostro ordinarono una preziosa bottiglia di Barolo di Sandrone. Conoscevo bene quel vino, perchè era uno dei miei preferiti. Vedo che lo assaggiano e iniziano a parlarne male. Rimango stupefatta e quindi chiedo al sommelier, che conoscevo bene, se poteva farmi avere un bicchiere di quel vino. Assaggiandolo, mi rendo conto che era una bottiglia con difetti derivanti dal tappo di sughero. Chiedo allora di portare loro un’altra bottiglia, sempre di quell’annata, dicendogli che l’avrei offerta io. La degustano con piacere e i commenti si trasformano completamente in molto positivi. Anche quella volta mi resi conto di come in pochi minuti si può vedere naufragare, delegittimare, anni di lavoro e di impegno”, racconta Maria Luisa Manna moglie di Franz Haas.

Secondo gli “Svitati”, oltre a eliminare i rischi di “contaminazione da tappo”, il tappo a vite rappresenta anche la scelta migliore sotto il profilo della sostenibilità essendo realizzato in alluminio, materiale ad alta riciclabilità, molto più rispettoso dell’ambiente rispetto allo stagno.

Cinque vini degli “Svitati” sono stati degustati nella versione con tappo a vite e in quella con tappo di sughero. Il confronto è risultato decisamente interessante e utile perché ha evidenziato due modelli di vini profondamente diversi tra di loro. Se fosse stata una degustazione alla cieca, per essere chiari, nessuno probabilmente si sarebbe accorto che si stavano degustando due vini della stessa tipologia e annata ma semplicemente con un tappo diverso. Prendendo come esempio la degustazione del Vintage Tunina di Jermann (annata 2013), la versione “a vite” era profondamente diversa da quella tappata con il sughero. La prima più fresca e fruttata ma anche molto meno ampia e complessa, intrigante rispetto alla versione con il sughero. Non esiste una chiusura ideale per tutte le tipologie di vino e di gusti dei consumatori. Non vi è dubbio, infatti, che alcuni vini possano venire privilegiati nell’evoluzione da chiusure più “naturali” rispetto ad altri.

All’incontro è intervenuto anche Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Mach di San Michele all’Adige presentando i risultati delle ricerche dell’Australian Wine Research Institute, che nel 1999 ha avviato delle sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure di vino, compreso il tappo a vite. “Lo scopo della sperimentazione era quello di condurre una valutazione indipendente delle prestazioni della chiusura per fornire ai produttori di vino dati solidi su cui basare le proprie decisioni in merito alle chiusure – spiega Mattivi –. Sebbene si prevedesse che la sperimentazione sarebbe durata dieci anni è stata interrotta dopo 3 anni perché i risultati erano chiari e perché il mix di chiusure disponibili sul mercato è cambiato notevolmente in un breve lasso di tempo, in parte a causa dei risultati della sperimentazione. Complessivamente, i risultati delle ricerche presentate dal prof. Mattivi hanno evidenziato risultati positivi per le chiusure con tappo a vite che, anche a distanza di anni, hanno consentito un mantenimento delle caratteristiche organolettiche adeguato e, in taluni casi, anche migliore rispetto a chiusure con tappi di sughero.

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LA MOKA DAL DESIGN GLAMOUR

LA MOKA DAL DESIGN GLAMOUR

La storia d’amore tra gli italiani e il caffè è una delle più longeve.

Per molte persone, infatti, la giornata non può iniziare senza l’aroma classico e inconfondibile di una tazzina di caffè. Gustare questa bevanda è un momento irrinunciabile e rappresenta il modo ideale per ritrovare la carica e la voglia di fare. In Italia, inoltre, è sempre ora del caffè: di mattina presto, a metà mattina, dopo pranzo, di pomeriggio, di sera.

Puoi non sapere che ora sia, ma nessuno ti guarderà male se proponi un caffè.

Per celebrare la bellezza del rito del caffè italiano, le due icone del made in Italy Bialetti e Dolce&Gabbana hanno ideato Moka Express Bialetti Dolce&Gabbana, una caffettiera dal design colorato e ricco di simboli che esalta l’arte della maestria artigianale. Il motivo decorativo della moka rievoca il Carretto Siciliano, un elemento del folklore di un luogo che, con le sue tradizioni, è da sempre al cuore dell’estetica della maison di moda.

Nel cuore di Bialetti, invece, c’è la passione per il caffè che dura da più di un secolo. L’azienda è nata nel 1919 a Crusinallo, una piccola frazione piemontese di Omegna, dove Alfonso Bialetti apre un’officina per la produzione di semilavorati in alluminio. In breve tempo, l’azienda cresce e si trasforma nella Alfonso Bialetti & C. Fonderia in Conchiglia: un atelier per lo studio, la progettazione e la realizzazione di prodotti finiti pronti per il mercato. È proprio dal genio di Alfonso Bialetti che nel 1933 prende vita la Moka Express, una caffetteria a base ottagonale che ha rivoluzionato il modo di preparare il caffè a casa e facendo dell’azienda uno dei principali produttori italiani. Il nome? Deriva dalla città di Mokha nello Yemen, una delle più rinomate aree di produzione del caffè.

Con il tempo, la notorietà del marchio si consolida grazie anche degli investimenti pubblicitari nella trasmissione tv Carosello e della comunicazione incentrata sull’immagine dell’Omino con i baffi, il profilo stilizzato di Renato Bialetti. Nato nel 1953 dalla matita di Paul Campani, diviene il simbolo dell’azienda e tutt’oggi è presente sul marchio del Gruppo Bialetti Industrie e applicato sui prodotti del brand. Lo slogan “Eh sì sì sì… sembra facile (fare un buon caffè)!” diventa un tormentone.

La vocazione alla qualità e la costante spinta innovativa permettono, nel 1998, la fusione delle aziende Alfonso Bialetti & C. e Rondine Italia di Coccaglio, produttrice di pentole in alluminio, mentre negli anni duemila nasce il progetto Bialetti Store, con l’apertura dei primi negozi al dettaglio monomarca in Italia. Il 27 luglio 2007 rappresenta una data storica perché Bialetti Industrie diventa una società quotata sul mercato telematico azionario della Borsa Italiana.

La lunga e profonda esperienza del caffè permette anche la nascita delle macchine espresso. Con le capsule parte un viaggio sensoriale attraverso le eccellenze del caffè espresso all’italiana, esaltando le differenze di abitudini e di gusto da Nord a Sud. L’offerta di macchine espresso Bialetti si arricchisce con “Gioia”, elegante e con uno sguardo all’ambiente perché le capsule sono in alluminio riciclabile.

Delicato, morbido, deciso o intenso, il caffè è un ingrediente dalle mille personalità, sfumature, ma rappresenta soprattutto un vero simbolo di ospitalità, piacere, convivialità, relax, energia e soprattutto dell’italianità.

Simone Lucci

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