Naomi Campbell,Cindy Crawford,Linda Evangelista e Christy Turlington sono tra le top model più famose del mondo che hanno segnato la storia della moda provocando anche un forte impatto sulla cultura di massa, prima dei social, prima delle influencer, prima di una società in cui la celebrità è così diffusa e virtuale. Oggi le loro carriere vengono raccontate con un documentario suddiviso in quattro parti e disponibile dal 20 settembre in streaming su Apple TV+.
Il progetto “The Super Models” realizzato da Imagine Documentaries e One Story Up e diretto dal premio Oscar Roger Ross Williams e da Larissa Bills pone lo sguardo sulla vita di queste professioniste, porta gli spettatori dietro la macchina da presa e nel dietro le quinte delle sfilate, svelando come le supermodelle hanno dominato le passerelle e fa luce sulle dinamiche che hanno cambiato la moda. Il documentario riporta gli spettatori agli anni ’80, quando quattro donne provenienti da diverse parti del mondo si ritrovano a New York. Popolarissime singolarmente, raggiungono insieme un potere mediatico che va oltre il settore fashion. Il loro prestigio superava la fama dei marchi che rappresentavano, e i nomi di Naomi, Cindy, Linda e Christy diventano importanti tanto quanto gli stilisti che le vestivano.
Negli anni ’80 e ’90, però, anche Iman, Claudia Schiffer, Helena Christensen, Carla Bruni, Eva Herzigová, Nadège, Jerry Hall, Farida Khelfa, Inès de La Fressange, Elle Macpherson, Carol Alt, Kate Moss conquistano le passerelle e nell’immaginario collettivo creano il canone di bellezza dell’epoca: la donna irraggiungibile, perfetta, dal fisico statuario. Ma non sono solo belle, le top model non indossano semplicemente degli abiti, ma li interpretano con il loro carisma, con la loro identità ed espressione.
Alcune modelle hanno rivoluzionato il mondo della moda a colpi di copertine sulle riviste più prestigiose (Vogue, Elle, Harper’s Bazaar), sfilate spettacolari e contratti milionari. Gli stilisti, infatti, facevano a gara per averle in passerella, offrendo loro dei compensi stratosferici. Per questo fatto è diventata famosa la frase di Linda Evangelista: “Non mi alzo dal letto per meno di 10 mila dollari al giorno”.
Le top model hanno ridefinito il concetto di stile, di bellezza e creato un’era indimenticabile. Con il loro talento e coraggio hanno lasciato un’eredità duratura che continua a influenzare l’industria della moda di oggi e le future modelle di domani.
La sartoria Caraceni è stata fondata a Roma nel 1913 da Domenico Caraceni che rivoluziona l’abito maschile conferendogli libertà di movimento. Nel 1960, Gianni Campagna, innamoratosi del mondo della sartoria guardando i vecchi film di Hollywood, parte dalla sua terra nativa, la Sicilia, e si trasferisce a Milano. Qui, grazie al suo costante impegno e al suo speciale talento, diventa prima allievo e poi assistente nello storico atelier del maestro Domenico Caraceni, di Piazza San Babila, dove si vestivano i più grandi personaggi dell’epoca. Alla morte del suo maestro, Gianni Campagna diventa erede non solo del know-how, ma anche del brand stesso, continuandone il percorso arricchendolo di un sapore internazionale. Oggi alla guida della maison c’è Virginia Campagna che, fatto tesoro degli insegnamenti paterni, ha deciso di portare la Sartoria Domenico Caraceni a uno step successivo ampliandone prodotti e servizi, senza mai tralasciare l’importanza della tradizione, unendola e facendola convivere con l’innovazione.
Negli anni la boutique sartoriale esporta il Made in Italy nel mondo. Veste re e regine, come il Principe del Galles, il Principe Ranieri di Monaco, personaggi di rilievo come Aristotele Onassis, Stavros Niarchos, Gianni Agnelli e star del cinema internazionali quali Tyrone Power, Humphrey Bogart, Gary Cooper, Cary Grant, Sharon Stone e Pierce Brosnan.
Al mondo sartoriale si aggiunge una la fragranza tailor made rivolta al pubblico maschile e femminile, custodita in una boccetta serigrafata con stampa argento a caldo su vetro verniciato.
Petit grain, Geraniu, Bourbon e Artemisia sono le note di testa, Neroli Bigarade, Absolute Rose, Fava Tonka rappresentano il cuore dell’essenza, mentre legno di Guajaco, muschio di Quercia e Frankincense sono le note di fondo, quelle che rimangono più a lungo. È questa la piramide olfattiva di Domenico Caraceni 1913. Il profumo e il packaging sono creati in Italia, da Domenico Caraceni con Fabrizia Marinelli che da anni collabora con i più conosciuti nasi a livello internazionale e ha seguito dall’inizio la creazione della fragranza che consente di rivivere l’eleganza discreta, rigorosa e attuale dello storico brand. Per il lancio della fragranza è stato creato un video emozionale realizzato sotto la regia della direttrice artistica del brand Virginia Campagna e grazie alla collaborazione dell’Hotel Principe di Savoia, uno dei più ricercati salotti milanesi e pilastro dell’hôtellerie meneghina.
Durante la serata di presentazione della fragranza, la Sartoria Domenico Caraceni ha introdotto due importanti novità: la collezione homewear Caraceni Casa e la linea prêt-à-porter menswear Resewing Milano nata a settembre.
La prima linea Caraceni Casa comprende eleganti e morbidissimi set di cuscini e plaid realizzati a mano dai sapienti maestri Caraceni, con pregiati tessuti Made in Italy. Ogni dettaglio del prodotto, dagli occhielli ai ricami, è creato all’interno dello storico atelier nel centro di Milano. I cuscini sono personalizzabili e imbottiti a mano in pura lana vergine inglese antiallergica e rivestiti con tessuto pelle ovo. I set plaid Home with you; Wear your home, invece, sono ideati in cashmere da riporre in una sacchetta en pendant per accompagnare in viaggio o per una coccola a casa. Il plaid è double-face e impreziosito da una tasca sartoriale a due filetti che permette di riporre e custodire, anche in viaggio, gli oggetti più inseparabili.
La sapienza sartoriale che caratterizza da sempre la storia del celebre marchio è riconoscibile anche nella nuova linea prêt-à-porter maschile Resewing Milano. La collezione è un omaggio alla città di Milano, che ha visto vivere ed evolvere il brand artigianale attraverso le epoche e le figure che ne hanno raccontato la bellezza, la dinamicità e l’inconfondibile eleganza di chi la respira. La linea prêt-à-porter propone un’accurata selezione per il guardaroba maschile, declinato in tre mondi: gli Essenziali, abito monopetto e doppiopetto; il Tempo Libero, blazer formali e spostivi, le Occasioni, gli smoking e il mezzo tight. Tutti i capi sono four seasons e realizzati con i migliori tessuti, italiani e inglesi, fino a un titolo di 180s in lana, cashmere e seta, impreziositi da fodere in cupro in tinta o in contrasto, con stampe raffinate, bottoni in corozo o in metallo. La palette di colori va dai grigi, agli azzurri, dai blu al beige safari, nei patterns più iconici del marchio come il Principe di Galles, il gessato e il Solaro.
Anche la linea prêt-à-porter si distingue per le caratteristiche iconiche della sartoria: la spalla scesa, i revers accuratamente misurati e le asole interamente realizzate a mano.
Il rapporto tra arte e moda è profondo. È un insieme di scambi creativi e, in un momento storico confuso come quello che stiamo vivendo, la connessione tra Harim e YKK, nello scenario di Fiumara d’Arte, è particolarmente significativa.
Per chi non la conoscesse, Harim Accademia Euromediterranea, con sede a Catania, è per la rivista Vogue tra i migliori istituti di moda e design italiani, con una storia lunga più di 25 anni, che punta a formare nuovi professionisti in diversi ambiti lavorativi.
Mentre YKK (Yoshida Kogyo KabushikiKaisha) è una multinazionale giapponese nata nel 1934, tra le maggiori produttrici mondiali di accessori da chiusura, cioè di cerniere. L’azienda Made in Tokyo oggi è presente in 73 nazioni ed è un colosso che supera la produzione annua di 2 milioni di km di chiusure lampo.
Gli abiti sono realizzati a mano dallo staff di Harim. Satin, crêpe e chiffon. Tre tessuti e abiti differenti, ma con lo stesso bagno di colore. Comune denominatore: le cerniere.
Alla leggerezza dei tessuti hanno abbinato cerniere metalliche a catena, con inciso a laser nero su oro “Back to dreaming” (ovvero “Torniamo a sognare”), nome della capsule. “L’idea era quella di dettare i canoni dell’alta moda e dello streetwear creando un forte contrasto che mette in risalto le cerniere”, afferma Gabriella Ferrera, fondatrice di Harim e sorella della stilista Marella Ferrera. Una tradizione familiare quella delle sorelle Ferrera, nata grazie ai genitori che aprirono la loro prima boutique a Catania a fine anni ’50.
La partenrship tra Harim e YKK ha dato vita a un videoclip realizzato in occasione dell’edizione 2021 del MADEINMEDI, girato a Fiumara d’Arte, museo a cielo aperto, uno tra i più grandi parchi monumentali di arte contemporanea in Europa, voluto e ideato dal mecenate Antonio Presti. Le riprese sono state effettuate presso le sculture monumentali del parco: “Monumento per un Poeta Morto” di Tano Festa (Comune di Reitano), “Il labirinto di Arianna” di Italo Lanfredini (Comune di Castel di Lucio), “Piramide – 38° Parallelo” di Mauro Staccioli ed “Energia mediterranea” (Comune di Motta d’Affermo). Uno cambio energetico tra opere d’arte e un linguaggio contemporaneo della moda. Creative Director del video Gabriella Ferrera e Producer Marco Aloisi, suo socio nell’Accademia.
Quante volte molti di noi comprando un capo d’abbigliamento, scarpe o accessori, si domandano: “Sto acquistando realmente un prodotto Made in Italy?”
Il gusto, la manifattura, l’artigianalità, la qualità del nostro Paese sono invidiate in tutto il mondo, tanto che i brand italiani sono corteggiati e spesso anche acquisiti da società estere.
Il sentore che qualcosa nel Fashion System stia cambiando e che molte aziende siano adocchiate da realtà estere lo avvertono i buyer andando a comprare per i vari show-room e dialogando con i rappresentanti. E purtroppo in tanti casi è già vero: molte aziende non sono più italiane.
Era il 1967 quando venne fondato il brand Fiorucci, lo stilista Elio che negli anni 70-80 ebbe la sua massima popolarità. Purtroppo non tutto è destinato a durare, infatti, nel 1990, l’azienda Fiorucci venne rilevata dalla Edwin International, società giapponese che possedeva la licenza e la proprietà di diverse aziende, per poi passare alla Società inglese Schaeffer, che finora è a capo del marchio.
Ci sono fondi di investimento, come il francese Kering, un vero e proprio colosso globale del lusso che ha acquistato diverse maison tra cui il brand Gucci, fondato da Guccio Gucci nel 1921 a Firenze. Marchio di fama internazionale e un’icona della Dolce Vita che oggi, sotto la guida dello stilista Alessandro Michele, sta avendo nuovamente un enorme successo. Gli italianissimi Bottega Veneta, Pomellato, Dodo e Brioni sono passati anch’essi al gruppo Kering.
La rinomata e amata Maison Valentino nasce negli anni ’60, quando si afferma la Dolce Vita, e resta italiana fino al 2012, anno in cui il fondo di investimento Mayhoola, con sede in Qatar, acquista l’azienda.
Emilio Pucci, Loro Piana, Fendi e Bulgari sono state acquistate negli anni dal gruppo LMVH, multinazionale francese che conta oltre 70 marchi ed è quotata alla Borsa di Parigi.
Tra i casi che hanno tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace,il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per 2 miliardi di dollari, anche se Donatella Versace, che ha preso le redini dell’azienda dopo la morte del fratello Gianni nel 1995, ha mantenuto assieme al fratello Santo una piccola quota.
Era il 1991, in gran voga il jeans a vita bassa e Miss Sixty, leader di questa tipologia di pantalone. C’era anche Energie, balzato nell’olimpo per la vestibilità più street del jeans. Un destino comune quello delle due aziende che, insieme al marchio Roberta di Camerino, Murphy Nye e RefrigiWear®, vengono cedute nel 2012 a un fondo di investimento panasiatico.
Le aziende vendute a società estere sono tante, ma in tutto questo notiamo anche qualche azione in contro tendenza: nel 2003 l’azienda francese Moncler è stata acquistata dall’imprenditore italiano Remo Ruffini e, nel 2020 StoneIsland entra a far parte di Moncler.
Diesel, dello stilista veneto Renzo Rosso, Dolce & Gabbana, fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, sono altri esempi di brand nati e conservati nel nostro Paese. Poi ancora: Moschino, Max Mara, Salvatore Ferragamo, Etro e Missoni. E Prada (fondata a Milano nel 1913 dai fratelli Mario e Martino Prada con il nome Fratelli Prada, e poi negli anni gestita da Miuccia Prada e dal marito Patrizio Bertelli) è diventata una SPA, alla quale appartengono altri brand, tra cui Miu Miu, Church’s, Car Shoe, Fondazione Prada, e mantiene il domicilio in Italia. E poi c’è lui, re Giorgio (Armani), con la sua azienda fondata insieme a Sergio Galeotti nel 1975.
Una cosa è certa: venduti oppure no, i marchi del Made in Italy hanno una marcia in più.
Durante il boom di “non è la RAI” le sarebbe piaciuto entrare nel mondo dello spettacolo. E invece si laurea in Psicologia, e in seguito frequenta un master in Bocconi. Vive a Milano da 12 anni, ha lavorato per diverse aziende, e da 4 anni è prevalentemente responsabile della selezione di figure manageriali presso una multinazionale. Lei è Eva Bolognesi anche Creator digitale su Istagram col nome di Eva_labolofficial. “Perché Bolognesi è il mio cognome e non volevo utilizzare il mio nome per intero”, spiega. L’abbiamo intervistata per conoscerla meglio e per farci chiarire le differenze tra influencer, blogger, brand ambassador, digital creator.
Eva Bolognesi, possiamo definirti una donna Social?
Sì, sono tanto attiva. Trascorro parecchio tempo a costruire delle relazioni virtuali che possano essere un arricchimento. Mi è capitato di parlare per mesi con persone mai viste, con le quali condividevo delle passioni, poi le ho incontrate e abbiamo attuato anche piccoli progetti insieme. Uso maggiormente Istagram. Poi Facebook, dove ho soprattutto i contatti costruiti negli anni, i vecchi amici… una sfera un po’ più personale.
Nel tuo account Istagram si legge anche press agent Andrea Iannuzzi. Da cosa nasce l’idea di avere un ufficio stampa?
Per circa 3 anni ho fatto tutto da sola su Istagram. Penso però che per essere professionale sia utile il supporto di qualcuno che ti aiuta a creare i contenuti. Ognuno col proprio lavoro, altrimenti si rischia di fare tutto e male.
Sono molto contenta di Andrea perché è super capace e sta mettendo in luce alcuni aspetti meno noti di me. Ed è ciò che mi interessava, anche perché solo con Istagram è difficile venir fuori. Poi io non sono un’influencer da 3 mila seguaci o da un milione, come quelli che lo fanno a tempo pieno, proprio come lavoro.
Blogger, influencer, brand ambassador, digitalcreator, ci chiarisci la differenza tra le varie figure?
La blogger su Istagram ha anche un blog. E un giorno mi piacerebbe averlo…L’influencer punta sulle esperienze condividendole con la community tramite le interazioni, attraverso il network che si crea. Dovrebbe influenzare con il proprio punto di vista.
Influencer e digital creator sono 2 figure vicine.
Il creator è un creatore di contenuti. Deve riuscire a narrare attraverso a uno strorytelling efficace. Cosa che fa anche l’influencer, sono 2 figure che si sovrappongono.
Il brand ambassador, poi, è legato a uno o più brand, ha collaborazioni durature nel tempo e ha una conoscenza approfondita del marchio. Spesso viene pagato con un compenso fisso, la differenza sta anche nel fatto che i suoi post e la sua immagine possono essere divulgati nei canali social dell’azienda. L’influencer, invece, fa delle collaborazioni spot.
Un vero influencer come nasce? E come si accredita verso i propri follower e i propri clienti?
È importante essere sinceri su abiti, prodotti di cosmesi o ristoranti. Se lo fai perché sei stato pagato si vede, si capisce che i messaggi non nascono spontaneamente. L’accordo che spesso faccio con i brand è parlarne in modo sincero: me lo mandi, lo testo, ne parlo. E se non mi piace preferisco non parlarne.
Cosa si aspettano un influencer e un blogger da Istagram?
L’influencer vorrebbe un maggior numero di seguaci, persone interessate e che interagiscono, poi è importante anche la parte economica. Per un blogger forse è più difficile ottenere un riscontro economico.
Qual è stata la chiave per raggiungere un alto numero di followers e di likes, un costante interesse e una buona audience?
Mantenere interessato il pubblico. C’è, ad esempio, una signora di Milano che, secondo me, è molto brava: fa vedere la sua vita in modo simpatico tutti i giorni, lei lavora come direttrice della comunicazione per alcuni brand, quindi è nel settore. Bisogna trovare la chiave per raccontare la quotidianità, in maniera semplice e diretta, cercando di creare contenuti sempre diversi per non annoiare. Prima del lockdown, appena salita in macchina per andare al lavoro, narravo storie velocissime sul mio outfit, coglievo attimi di normalità e quotidianità. Quindi non solo l’outfit figo per la serata! Non la vita sempre a 5 stelle, non solo il viaggio, la piscina, il ristorante.
Come ti poni nei confronti del made in Italy, del nostro artigianato, del fatto a mano?
Abbiamo delle eccellenze, dall’abbigliamento al cibo.
Sono orgogliosa quando, nel mio piccolo, posso dare un aiuto al mio Paese. L’estate scorsa ho trascorso le vacanze all’isola d’Elba e hanno scritto degli articoli su di me; in quell’occasione ho parlato di qualche ristorante e negozio: ho mostrato ciò che fanno, li ho fatti conoscere alla mia community e ai lettori degli articoli. Tra l’altro, all’isola d’Elba ho la casa da anni, sono molto legata al territorio e sono stata contenta di dare una mano. Non c’è stato guadagno economico, ma ci ho guadagnato come persona.
Ho scelto di non sponsorizzare solo i brand ma anche piccoli negozi. Tra questi Maia Fashion Street Stories, un negozio di Milano la cui proprietaria ha molta grinta ed è molto social. Ogni giorno carica stories, ricerca influencer e inventa qualcosa per pubblicizzare il suo shop, è questo il suo modo di reagire alla crisi causata dalle chiusure forzate per via dei vari decreti.
Quali sono le strategie per sviluppare Instagram nel 2021?
Mi aspetto che il digitale venga incrementato maggiormente dalle aziende e che anche chi credeva meno all’influencer marketing cominci a investirci. Ci saranno meno eventi e quindi ancora tanto digitale.
“Non copiare contenuti visti e rivisti, cosa comunque non semplice in un settore piuttosto saturo”, è una tua frase, ma da cosa trai ispirazione?
Per prima cosa devi capire bene chi sei, cosa vuoi trasmettere, cosa ti piace rappresentare e come. L’ispirazione è fondamentale e a volte può arrivare anche da un oggetto, un abito ad esempio. Poi devi prendere ispirazione da chi ammiri. Per esempio a me piace molto come Giulia De Lellis racconta i prodotti legati al mondo del beauty: spiega in modo semplice e carino come truccarsi, e non è mai noiosa. Io cerco nel mio piccolo di postare contenuti creativi. Non si deve fare il copia-incolla di altre persone. Altrimenti si rischia di essere dei cloni. E poi, bisogna tenere in considerazione la propria community e a cosa è interessata.
Foto o video cosa utilizzi maggiormente?
Mi piacciono e mi divertono molto le foto e le giornate di shooting con gli amici fotografi. Mi rendo conto, però, che i messaggi con il buongiorno, con le stories, con un consiglio alla sera vanno molto e bisognerebbe crearli giornalmente.
Stories e dirette, cosa mi dici?
Ho usato poco le dirette ma credo che abbiano un ottimo potenziale. Le ho utilizzate nello scorso lockdown coinvolta ogni settimana nel progetto di una mia amica influencer che si occupa di digital fashion. Poi ne ho girate altre, con altre persone, e mi sono divertita molto. C’è spontaneità, ti fanno domande e si va a braccio. È poi un modo per farsi conoscere maggiormente. Per quanto riguarda le stories, è bene farle tutti i giorni, coinvolgendo la community su cosa si fa, su cosa si pensa. Se non mi vedono per un po’ mi scrivono e chiedono “Che fine hai fatto”?
Per essere un’influencer bisogna amare essere fotografata. Chi ti scatta le foto? Hai un fotografo di fiducia? Preferisci sia sempre lo stesso?
Quasi sempre un mio amico, Andrea Tosi, abbiamo molta complicità e così le cose vengono meglio! Lo conosco da 20 anni, da quando vivevo a Livorno, c’eravamo incontrati lì e avevamo già collaborato. E abbiamo ripreso a lavorare insieme quando ho iniziato l’attività di influencer. Qualche scatto è anche di mia mamma, che a volte mi segue, per esempio in qualche ristorante.
Filtri, foto ritoccate… Cosa ne pensi?
Scattata e buttata lì non è molto professionale, va editata. Questo è quello che mi hanno detto alcuni fotografi. Penso che le foto vadano migliorate, un po’ ritoccate. Appena scattate sono quasi sempre imperfette. Non si tratta di foto che vanno sul nostro album personale ma devono rappresentare qualcosa. Non dico di modificare completamente i connotati del volto, ma togliere i piccoli difetti che sminuirebbero il prodotto stesso.
Quali sono gli ultimi trend di Instagram da quando c’è il problema coronavirus?
Nel primo lockdown erano tutti a casa e tantissimi in diretta. Ho notato che i contenuti erano focalizzati su “come faccio questo a casa”. Io per esempio non ho mai cucinato a pranzo e tutti i giorni mostravo i piatti preparati, e chiedevo consigli. Oppure gli esercizi ginnici e tutto quello che si poteva fare tra le mura domestiche. C’era molta condivisione.
È importante ciò che si scrive sotto una foto?
È molto soggettivo. Se hai una community molto giovane, i testi lunghi possono risultare noiosi, magari neanche li leggono, e piacciono invece le frasi d’effetto. Anche questa è una strategia: scrivere ciò che può interessare la tua community senza mai dimenticare però quello che tu vuoi trasmettere. A me non piacciono le frasi lunghe, preferisco magari fare una story in più. Le Instagram Stories sono testi, foto e brevi video (dalla durata massima di 15 secondi) inseribili nel proprio profilo in una sezione dedicata e restano visibili per 24 ore.
Si possono comprare i followers?
I BOT Instagram sono sistemi automatici che simulano il comportamento che un utente dovrebbe tenere per farsi notare, venivano utilizzati fino a un anno e mezzo fa perché gli algoritmi erano diversi. Con gli algoritmi del 2019 questo è stato impedito e sono stati bloccati tanti profili che ne facevano uso. Oggi ci sono altri sistemi per raggirare questi algoritmi che ogni tanto vengono aggiornati. Oggi crescere è davvero difficile anche perché sono tantissime le persone che intraprendono questo percorso.
I social sono un mondo che non possiamo controllare. Siamo alle dipendenze di un algoritmo che può buttarci nel dimenticatoio da un momento all’altro. Che ne pensi?
Sono d’accordo. Bisogna poi ricordare che il tuo profilo non è tuo, ma di Istagram, che può bloccarlo se non rispetti delle norme, che ti può togliere dei seguaci se ritiene non siano reali. Può penalizzare i tuoi contenuti e farli vedere meno ai followers..
Ci racconti la tua giornata tipo?
Vivendo a Milano è frenetica e spesso piena di impegni. Si parte la mattina intorno alle 8. Trascorro alcuni giorni in ufficio e in altri sono itinerante perché seguo la parte commerciale. Sono spesso in Veneto, nel Nord ovest, Bergamo, Brescia per incontrare clienti e amministratori delegati, per capire quale direzione aziendale vogliono dare e supportarli. Quindi meeting in aziende la mattina, poi torno nel mio ufficio a metà pomeriggio e finisco intorno alle 19,30. In periodi non Coronavirus mi piace andare nei ristoranti. Lo faccio sia per lavoro che per piacere, con i miei amici. Amo il buon cibo e il buon vino e grazie al lavoro di influencer ho realizzato diverse sponsorizzazioni. Mi piace provare ristoranti e condividere questo con la mia community scrivendo delle recensioni.
Il tuo abbigliamento per l’ufficio?
Classico! Sono sobria ma non noiosa. Tubini neri appena sopra il ginocchio, tailleur gonna o pantaloni, blazer e camicie colorati in estate. E tacco sempre abbastanza alto. Gioco con gli accessori: collane vistose e bigiotteria.
Cos’è per te la moda?
Mi piace leggere le riviste di moda, seguire la fashion week e scoprire le ultime tendenze. Ma adatto la moda al mio gusto e alle mie esigenze.