Lui è Antonio Vella, ha sempre amato la lettura. Gli piace la saggistica storica, soprattutto del ’900: prima e seconda guerra mondiale. Della narrativa apprezza i romanzi noir che lasciano col fiato sospeso fino all’ultima pagina.
Dice che lo definiscono un folle. “Perché chi opera oggi nel mondo dell’editoria, specialmente in Italia, trova enormi difficoltà, poi però ampiamente compensate dall’unicità di questa professione che ti porta un arricchimento culturale”, spiega Vella, che da tanti anni svolge, con enorme passione, la professione di editore. È titolare della casa editrice Luoghinteriori fondata nel 2013, in realtà emanazione di un progetto editoriale nato nella sua famiglia nel 1989.
È lui che ha ideato il “Premio Letterario Città di Castello”, per opere inedite di Narrativa (Romanzi o Racconti), Poesia e Saggistica.
Il premio è riservato ad autori e autrici di ogni fascia di età, e di ogni parte del mondo, a condizione che scrivano in lingua italiana. “L’obiettivo è promuovere e incentivare la scrittura e la lettura – riferisce Vella -. Ed è anche un modo per scovare dei talenti che a volte restano ingabbiati nelle grandi strutture editoriali o che non riescono a trovare uno spazio. Nel 2007 abbiamo lanciato la prima edizione di questo concorso e per 3 anni consecutivi il premio ha ricevuto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, il più alto riconoscimento che una manifestazione culturale possa ottenere”.
Ci racconta un po’ l’iter del premio, dall’arrivo dei libri in poi?
L’attività del premio letterario parte più o meno a inizio gennaio con la conferenza stampa di presentazione, in cui si lancia ufficialmente il bando, promuovendolo attraverso vari canali: gli enti patrocinatori (ad es. la Società Dante Alighieri che ha 500 comitati sparsi in tutto il mondo), gli istituti di cultura italiani all’estero, le ambasciate, le università, le librerie, le biblioteche, le fiere dei libri, le reti di scrittori e di giornalisti italiani. Le opere devono esser presentate entro il 30 giugno di ogni anno. E dal primo luglio inizia il lavoro di valutazione delle centinaia di testi che arrivano in casa editrice. Tutte le opere, fino alla cerimonia di premiazione, sono rese anonime e contrassegnate da un numero. Nessuno viene valutato in base a curriculum e conoscenze, ma unicamente per la qualità dell’opera, questo lo rende un premio democratico.
Un team di lettori fa una prima valutazione. Alla giuria vengono consegnati i migliori 20 di ogni sezione. La giuria fa poi la sua valutazione e stabilisce la classifica definitiva che non viene ufficializzata. Si stabiliscono così per ogni sezione dieci finalisti, che vengono invitati a partecipare alla cerimonia finale che si svolge l’ultimo sabato di ottobre.
Come sceglie di anno in anno i componenti della giuria tecnica?
“Svolgendo la professione di editore, partecipando a eventi, fiere, iniziative, ho la fortuna di venire a contatto con personalità del mondo della cultura, del giornalismo, del cinema tra le quali è possibile scegliere. Ma capita anche che illustri personalità si propongano, del resto è un premio longevo e già collaudato.
Per l’edizione 2023 entrerà a far parte della commissione il giornalista RAI Marino Bartoletti, scrittore, conduttore e autore televisivo”.
Negli anni, Luoghinteriori ha pubblicato tanti libri e assegnato tanti premi. Le chiedo 3 nomi, uno per categoria.
“Per la categoria poesia, ricordo ancora una ragazza di 18 anni che ha presentato una raccolta strepitosa.
Per la narrativa: il premio vinto quest’anno, con Aggrappati alle nuvole, da Emma Cremaschini, una ragazza di Brescia al suo terzo romanzo, un vero talento letterario”.
Per la saggistica, il libro scritto da Francesco Vernier, Il tempo del cambiamento.
“Le quote di iscrizione di solito vengono devolute in beneficienza – precisa Antonio Vella -. Nel corso degli anni abbiamo dato una mano con donazioni ad associazioni che operano nel territorio in ambito sociale. Importanti donazioni negli ultimi anni sono state devolute all’ “AIRC Associazione Altotevere per la Ricerca sul Cancro”, a “Matty& Co. Progetto d’Amore”, alla “AISLA Associazione per la Ricerca sulla SLA”, alla “Associazione Camera 7 V Piano Comitato Federico Padovani”, all’ associazione dei bambini malati di artrite, per citarne alcune. Nell’edizione appena conclusa abbiamo assegnato un premio speciale, a una raccolta poetica scritta da 17 detenuti nelle carceri di Spoleto e Perugia. Ne farò una pubblicazione e cercherò di portare la poesia nelle carceri italiane, perché queste siano posti di recupero e non di punizione, e per diffondere cultura.
Tutti i proventi della raccolta poetica andranno a favore delle carceri e delle loro attività volte alla rieducazione”.
Clementina Speranza
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Cosa manca in periodo di costrizioni pandemiche? Viaggiare! Anche il solo desiderare o immaginare un viaggio, organizzarlo, programmarlo sembra esercizio lontano e complicato. Chi per lavoro, in questi mesi ha comunque potuto o dovuto muoversi sa quante difficoltà, regole, vincoli e limitazioni ha dovuto affrontare per trovarsi poi a cercare gratificazione nelle piccole differenze dei contenimenti imposti. Ma il “viaggio” quello che fino a poco più di un anno fa potevamo organizzare senza tante complicazioni nel giro di una mezz’ora davanti al computer, quello che ci prometteva libertà, curiosità e sorprese, quello ce lo sogniamo. Leggendo Da Parigi a Londra, storia e storie degli Europei di calcio di Paolo Valenti, invece torniamo a viaggiare, anche nel tempo, seguendo la cadenza quadriennale di un torneo, gli Europei per nazioni, che non avrà l’aura del mondiale, ma che accompagna i ricordi di tutti gli appassionati dello sport più amato dagli italiani.
La bravura di Paolo Valenti è stata proprio quella d’inquadrare il periodo in cui si sono svolte le gare nel contesto storico dell’epoca stimolando così il ricordo dell’evoluzione avvenuta nel calcio e, in particolar modo, nella società di tutto il continente. Così, i vari capitoli di Da Parigi a Londra ci portano dall’Europa bloccata e divisa del 1960, quando proprio l’Unione Sovietica trionfava esaltando il blocco anticapitalista, fino all’ultimo successo del Portogallo nel 2016, primo trionfo del movimento lusitano non ricchissimo ma con il calciatore più famoso e “capitalista”. Un viaggio da oriente a occidente del vecchio continente, un viaggio nella storia, dai blocchi alla caduta del muro, dalla guerra jugoslava al trattato di Schengen, una storia di campioni, da Lev Jasin a Cristiano Ronaldo, un viaggio da nord a sud con le favole di Danimarca e Grecia. Dall’atmosfera rivoluzionaria del 1968 fino al terrorismo di matrice islamica passando per gli anni di piombo, ogni edizione viene inserita nell’ambito socio-culturale al quale appartiene con riferimenti che vanno poi a sfociare negli eventi del torneo.
Risultati, statistiche, tattiche, resoconto delle finali, le particolari evidenze specifiche di ogni torneo arricchiscono le pagine. Ma a esaltare i ricordi contribuiscono curiosità, aneddoti e retroscena capaci di catturare l’attenzione degli amanti del calcio: dalla storia della monetina che aprì le porte della finale del 1968 all’Italia al “cucchiaio” di Totti, dalle magie di Platini al pullman nel quale gli azzurri allenati da Zoff si rilassavano vedendo “Febbre da cavallo”. Dettagli che, in molti casi, vengono raccontati proprio dai diretti protagonisti scesi in campo per difendere la maglia azzurra.
L’extended play con le “voci” dei giocatori restituisce il sapore di quei momenti in maniera dinamica e coinvolgente. Ci sono le interviste inedite a Dino Zoff, Marco Tardelli, Franco Baresi, Gigi Casiraghi, Ruggiero Rizzitelli e altri. E quella a Michel Platini, ricostruita raccogliendo varie dichiarazioni rilasciate in passato dal protagonista principale degli Europei del 1984 in merito allo svolgimento della competizione.
Scoprirete così il primo gol del campionato europeo di calcio. Chi era il giocatore più forte della Nazionale1968 secondo Zoff. Chi rese famoso il rigore a cucchiaio prima ancora di Francesco Totti. A quale concerto assistettero i giocatori olandesi prima di disputare la finale contro l’Unione Sovietica nel 1988. E un aneddoto non conosciuto della spedizione rassazzurra 2008 raccontato da Amelia che conclude dicendo: “… Quando si andava in aeroporto, dopo le partite, ci si riuniva in cerchio e si cantava. Cantavamo l’inno di Mameli. L’inno d’Italia”.
“Da Parigi a Londra, storia e storie degli europei di calcio” è edito da Ultra Edizioni, con la prefazione scritta da Stefano Meloccaro, giornalista di Sky Sport e voce di Radio Capital.
Paolo Valenti è un giornalista, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che ama raccontare e praticare. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo in trasmissioni radiofoniche e televisive. Nel 2018 ha pubblicato con Ultra “Ci vorrebbe un Mondiale”.
Fabio Conte
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Conosciamo la parola “notte”, ma chi vive nel mondo occidentale, soprattutto nelle grandi città, è raro si sia immerso in una notte dove le stelle hanno la forza di bucare la coperta nera del cielo.
S’intitola “Cieli neri” e l’autrice è Irene Borgna antropologa e scrittrice. Qui lei racconta di un viaggio in camper col suo compagno alla ricerca di quei luoghi dove si vedono ancora le stelle perché le luci non sono accese.
“Abituati a bivaccare nelle valli di Cuneo, a pane e toma nello zaino, siamo rimasti esterrefatti realizzando che l’80% della popolazione mondiale e il 99% della popolazione statunitense ed europea conosce solo una notte a metà, un’oscurità monca, viziata da un invadente chiarore artificiale che nasconde la maggior parte delle stelle”.
La luce elettrica, una grande invenzione che ha aperto la porta a migliaia di nuove esperienze, ha inesorabilmente occupato tutto il buio impedendoci di vivere l’altra faccia del giorno, con tutti i suoi doni: le stelle, la Via Lattea, il ritmo sonno/veglia, la poesia dell’oscurità.
“… In Italia la notte non è più quella di una volta: non esiste più un cielo che possa dirsi completamente libero dalla luce artificiale, non sopravvive angolo dello stivale dove l’unica dotazione luminosa sia quella naturale di luna e stelle. Alcuni strappi nella soffocante cappa luminosa promettono ancora scampoli di oscurità sopra l’Isola di Montecristo, su Alicudi e Filicudi, sulla Sardegna orientale intorno al golfo di Orosei, e in alcune zone dell’Alto Adige vicine al confine con l’Austria, come la Valle Aurina e la Val Senales”…
L’autrice ha compiuto un viaggio per tornare a vivere quelle tenebre che furono divise dalla luce all’inizio del mondo, per capire cosa voglia dire inquinare la notte, per raccontarci gli aspetti economici, antropologici, sociali, poetici e simbolici di quello che potremmo chiamare “uno stato d’animo in via d’estinzione”.
Accanto alle emozioni del viaggio, Irene illustra che cosa voglia dire vivere in un paese sommerso dall’inquinamento luminoso. E dunque cosa significa questo a livello economico, simbolico (pensa alla dicotomia luce/tenebre), biologico, medico, poetico, estetico, antropologico, sociale.
“Il romanzo di Irene Borgna “Cieli Neri. Come l’inquinamento ci sta rubando la notte” è il decimo della collana che impegna il Club alpino italiano e la casa editrice Ponte alle Grazie. Una sfida per allargare la platea dei lettori del libro di montagna – afferma Alessandro Pastore, presidente del Centro operativo editoriale del Cai -. Sono stati pubblicati racconti di viaggio, colloqui intensi con chi ha vissuto a contatto con le Terre alte, esplorazioni nella natura ‘selvaggia’. Un bilancio positivo di critica e di pubblico che si arricchirà presto con nuove proposte che intercettano autori di fama nel panorama culturale del nostro paese”.
L’AUTRICE
Irene Borgna, un dottorato di ricerca in antropologia alpina con Marco Aime, ha fatto della montagna la sua passione e il suo mestiere. Nata a Savona nel 1984, si è trasferita in Val Gesso per amore dei lupi (lavora al progetto di reinserimento del lupo sulle Alpi marittime), si occupa di divulgazione ambientale e fa la guida naturalistica portando a spasso gli escursionisti fra cime e rifugi. Nel Pastore di stambecchi ha raccolto la testimonianza di Louis Oreiller, rispettando le sue straordinarie doti di narratore e il suo parlato antico (Ponte alle Grazie, 2018, menzione speciale al Premio Rigoni Stern).
Guarda il booktrailer (filming and editing Gabriele Canu)
“La donna cannone” inizialmente non doveva essere pubblicata, “Sempre e per sempre” ha portato al licenziamento di una ragazza, “Un gelato al limon” di Paolo Conte doveva far parte di “Viva l’Italia”, “Buonanotte fiorellino” non parla di un incidente aereo, “Bufalo Bill” aveva una strofa in più…“Rimmel” è una canzone milanese, “La storia” l’ha cantata per primo Gianni Morandi, “Il cuoco di Salò” era una filastrocca per bambini…
Queste e tante altre notizie, aneddoti, rivelazioni inedite, curiosità si trovano in “Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni” a cura di Enrico Deregibus (Giunti editore). È un volume di oltre 700 pagine, un’opera imponente, decisamente anomala nel panorama italiano. Il giornalista piemontese Enrico Deregibus si sofferma su più di 200 canzoni, che De Gregori ha inserito nei suoi dischi. Ampie e dettagliate schede riservano molte sorprese anche a chi conosce bene l’artista romano. Ad accompagnarle, i testi di tutte le canzoni scritte da De Gregori, che li ha controllati e certificati in prima persona per evitare errori e refusi. “Il libro non nasce però con lo scopo di spiegare i testi e di interpretarli, ma con la volontà di indagare le canzoni in tutte le loro componenti: parole, musica, arrangiamenti, interpretazione – spiga Enrico Deregibus –. E di raccontarne la nascita, le fonti, l’ispirazione, la scrittura, quello che è successo dopo l’uscita, le tante versioni del loro autore e quelle di altri. Il tutto con centinaia e centinaia di dichiarazioni dello stesso De Gregori, tratte da interviste rilasciate dall’inizio degli anni Settanta a oggi e con complessivamente oltre mille documenti consultati”.
Questo volume è la seconda parte di “Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi”, la corposa biografia del cantautore che Deregibus ha pubblicato nel 2015, sempre per Giunti.
Enrico Deregibus, piemontese trapianato a Roma, è giornalista, saggista e consulente o direttore artistico di svariati festival ed eventi musicali, alcuni dei quali lo vedono anche come conduttore. È considerato da molti il biografo di De Gregori, per il quale nel 2016 ha anche realizzato il volume inserito nel cofanetto “Backpack” (Sonymusic), che racchiude in cd trentadue dischi del cantautore romano. Deregibus è inoltre ideatore e curatore del “Dizionario completo della canzone italiana” (Giunti, 2006) e, con Enrico de Angelis e Sergio Secondiano Sacchi, di “Il mio posto nel mondo. Luigi Tenco, cantautore. Ricordi, appunti, frammenti” (BUR, 2007). Del 2013 è “Chi se ne frega della musica?”, una raccolta antologica di suoi scritti usciti su varie testate (NdAPress).
Ph Alberto Dal Bello
EMME22
Ricordate La Sirenetta? Attenzione, non parlo della principessa Disney con i capelli rossi, ma di quella creata da Hans Christian Andersen, che per amore si trasforma in spuma del mare, senza riuscire a ottenere il tanto desiderato “e vissero felici e contenti” con il principe.
Vi siete mai chiesti da dove lo scrittore danese potrebbe aver tratto l’idea per creare questa fiaba dal fascino immortale? In quel caso Morte di una sirena di Thomas Rydhal e A. J. Kazinski, edito da Neri Pozza nella traduzione dal danese di Eva Kampmann e in libreria dal 15 ottobre, è il romanzo che fa per voi. Personalmente, da amante della Sirenetta, non sono riuscita a resistere alla tentazione di immergermi in questa lettura cupa e coinvolgente, da cui è difficile separarsi.
Morte di una sirena parte da un presupposto interessante: per quasi tutti i giorni della sua vita adulta, dal 1825 al 1875, anno della sua morte, Andersen scrisse un diario. L’unico vuoto dura un anno e mezzo ed è l’estate del 1834, il periodo immediatamente successivo il viaggio dello scrittore in Italia, dal quale ritorna sul lastrico. Nessuno conosce le motivazioni di questo buco, e Morte di una sirena cerca di colmarlo prendendo le mosse proprio dal punto in cui il diario s’interrompe.
La storia si svolge in una Copenaghen che non ci aspettiamo, violenta e minacciosa, una vera e propria “fabbrica che produce malattia e indigenza”: qui facciamo la conoscenza di Anna, la bella prostituta che lavora per mantenere Piccola Marie, la figlia di sei anni. Ma la storia della giovane donna si conclude tragicamente: il suo corpo senza vita viene ritrovato in un’alba gelida nel canale della città, con i capelli scintillanti di conchiglie, proprio come quelli di una sirena. Molly è la sorella minore di Anna e non ha dubbi su chi sia l’assassino: deve trattarsi per forza di quello “scrittorucolo” da strapazzo, quello svitato che andava a trovare Anna soltanto per osservarla e realizzare ritagli di carta che le somigliavano. E d’altronde è anche l’ultima persona che è stata vista uscire dall’appartamento della giovane, quindi il questore non si fa troppe domande e accusa Hans Christian Andersen di omicidio. A quei tempi Andersen è uno sconosciuto, i suoi scritti sono stati rifiutati da tutti i critici e lui vive grazie alla carità di un amico influente, il quale riesce a far sì che Andersen ottenga un’ultima chance: tre giorni per trovare l’assassino di Anna, oppure sarà lui a essere decapitato.
Inizia così per lo scrittore una corsa contro il tempo, un viaggio che lo porterà nei meandri più oscuri e poveri della città, dove le persone sono costrette a svolgere i lavori più umili per tirare avanti, in uno stridente contrasto con lo sfarzo dorato della casa reale che organizza feste in maschera e banchetti sontuosi. Ad accompagnarlo Molly, prostituta anche lei come la sorella, con i riccioli rossi e il desiderio di vendicare la morte di Anna, ma anche di assicurare un futuro alla nipote, un futuro migliore di quello toccato a lei e Anna.
L’Andersen che conosciamo in Morte di una sirena è ancora ben lontano dalla fama, ma in lui emergono già alcuni di quei tratti che lo renderanno immortale: lui “vede cose che gli altri non vedono”, e d’altronde è questo “lo svantaggio della vita dello scrittore, l’avere un rapporto particolare con ogni dettaglio, l’essere schiavo della bellezza come gli altri sono schiavi di un carattere collerico”. Sono proprio queste sue caratteristiche, abbinate all’intraprendenza e al coraggio di Molly, che lo aiuteranno nella lotta contro un nemico terribile, il più pericoloso di tutti, perché nulla è più temibile di chi combatte contro se stesso.
Morte di una sirena è un crime che tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, un magistrale intreccio di vicende e personaggi dai quali è impossibile staccarsi, una denuncia spietata della disparità tra le classi sociali; ma è anche un’appassionata sfida contro se stessi e il mondo intero, il tentativo disperato di elevarsi dalla propria condizione, e una lotta per diventare ciò che si desidera essere, a dispetto di quanto possa sembrare difficile. E quale modo migliore di descrivere il cambiamento, o meglio la volontà del cambiamento, se non tramite il racconto? Perché a dispetto di chiunque desideri soffocarlo o modificarlo a proprio piacimento, il racconto ha vita propria e soprattutto “trova sempre una via. Come l’erbaccia nell’acciottolato, spunta là dove è più necessario”. Ed è questo il grande regalo di Hans Christian Andersen ad Anna, a Molly, a Piccola Marie e in fondo a tutti noi: quello di avere dato una voce a chi non ce l’aveva, di averci fatto arrivare quelle storie meravigliose che ancora oggi vivono, di averci descritto “il folle mondo degli uomini” e il “desiderio di tutti di essere qualcos’altro”.
Nato dalla penna di alcuni tra i più famosi autori danesi, Morte di una sirena è stato accolto da uno straordinario successo di pubblico e di critica al suo apparire in Danimarca. Thomas Rydhal è conosciuto per L’Eremita, romanzo vincitore dello Harald Mogensen Award e del Glass Key, il premio per il miglior poliziesco scandinavo. A. J. Kazinski è lo pseudonimo di Anders Rønnow Klarlund, autore, regista e sceneggiatore danese, e di Jacob Weinreich, scrittore danese; tra le loro opere si ricorda L’ultimo uomo buono, pubblicato in 26 paesi.
Eugenia Dal Bello
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