L’ANTICA E AFFASCINANTE STORIA DEL PROFUMO

L’ANTICA E AFFASCINANTE STORIA DEL PROFUMO

Patrick Süskind scrive che “gli uomini possono chiudere gli occhi davanti alla grandezza, davanti all’orrore, e turarsi le orecchie davanti a melodie o a parole seducenti. Ma non possono sottrarsi al profumo”. Il profumo, infatti, ha una forza di persuasione pari alle parole, al sentimento e alla volontà. Penetra e riempie il corpo come l’aria che si respira e non c’è modo di opporsi.

I primi a esserne consapevoli sono stati gli antichi Egizi che durante le preghiere e i riti sacri bruciano oli essenziali, resine e unguenti profumati per ingraziarsi le divinità, assicurarsi la loro protezione, purificare il corpo ed elevarsi con lo spirito. Il profumo però non si limita solo alla dimensione sacra, e inizia a essere utilizzato anche nell’igiene quotidiana.

È proprio con i Greci che il profumo si svincola dal culto religioso e dal suo essere appannaggio esclusivo di sacerdoti e faraoni, per assumere un ruolo fondamentale nella cura del corpo. I profumi greci diventano così merce da esportare in tutto il mondo.

L’Impero Romano non rimane indifferente, acquisisce le arti greche e dà vita al sapone con cui lavarsi nei bagni pubblici. I Romani, inoltre, sono i primi a padroneggiare l’arte della distillazione dei profumi, ma l’innovazione più grande è l’introduzione di recipienti di vetro a partire dall’XI secolo a.C. Dopo la caduta dell’Impero Romano, gli Arabi perfezionano la distillazione (sostituiscono la base oleosa con l’alcool, ampliando la gamma di piante profumate utilizzabili) e la diffondono in Europa. Venezia diventa così il centro della distribuzione dei prodotti di profumeria, e a partire dal XIII secolo le botteghe degli speziali e dei venditori di aromi si moltiplicano. Le dame nobili si profumano con l’essenza di violetta, lavanda e fiore d’arancio. Alloro e rosmarino invece vengono bruciati nei camini per purificare gli ambienti.

Durante il Rinascimento l’industria del profumo trova terra fertile a Grasse, in Francia, dove si producono pelli profumate, ciprie, saponi e tabacchi, ma anche capi d’abbigliamento e accessori di cuoio cosparsi con essenze di gelsomino indiano. Le nuove rotte marittime aperte da Spagna e Portogallo introducono in Europa le spezie e gli aromi dall’Asia e dall’America come: patchouli e sandalo.

Nel XVIII, Grasse raggiunge l’apice della sua popolarità. La costruzione delle stanze da bagno private all’interno delle abitazioni più ricche consente la diffusione di sali e saponi profumati. La predilezione di Maria Antonietta per i profumi freschi e naturali, legati alla campagna, trova largo seguito in tutto il regno, favorendo l’importazione delle acque di Colonia dalla Germania ideate da Giovanni Paolo Feminis, un venditore ambulante della Val Vigezzo. Negli stessi anni Casa Migone apre la sua bottega a Milano e sulla sua scia fioriscono in tutta Italia un gran numero di case di profumeria.

Durante la Rivoluzione Francese nel 1789, vengono aboliti gli editti corporativi e avviene la liberalizzazione del commercio, mettendo le basi per il boom profumiero dell’Ottocento.

Nel 1828 Pierre François Pascal Guerlain presenta la sua linea di prodotti, e il settore chimico compie passi da gigante. I profumi iniziano ad essere sintetizzati e gli aromi classificati in diciotto gruppi su richiesta del profumiere londinese Rimmel.

Nel 1900 la profumeria diventa una vera moda e profumieri sono figure prestigiose e desiderate in tutte le città. È proprio nel settore moda che i ruoli di stilista e profumiere si fondono grazie a Paul Poiret, e con il tempo anche altre maison come Chanel, Lanvin e Dior seguono il suo esempio creando fragranze iconiche con nomi evocativi e confezioni di design. Ci sono boccette con angoli smussati, tappi tagliati come un diamante che riproducono la forma della celebre Place Vandôme a Parigi e fanno parte delle collezioni permanenti del MOMA di New York. Profumi contenuti in bottiglie di vetro squadrate o tondeggianti dalla silhouette molto essenziali e minimal, ma anche packaging di ispirazione orientale come scatolette di origine asiatica che nella tradizione vengono utilizzate per contenere polveri medicinali. Confezioni laccate e decorate con corde, nappe e piccoli gioielli.

Tra il 1931 e il 1940, sono gli anni della Grande Depressione: la disoccupazione dilaga e i profumi non sono la priorità. Una delle fragranze più note di questo periodo è Joy di Jean Patou, che sembra voler infondere gioia in un momento così duro.

Gli anni che seguono la fine della Seconda Guerra Mondiale sono di rinascita e di ricostruzione. Nel 1949 nasce Lancôme, nel 1948 Helena Rubinstein crea la sua prima fragranza. Dal 1951 al 1960, sono gli anni del prêt à porter, i profumi diventano più accessibili ed emanano fragranze meno complesse.

Sul versante maschile, il profumo resta ancora molto legato al rito della rasatura, ma negli anni Cinquanta compaiono sul mercato le eau de toilette anche per lui. Negli anni Sessanta il movimento hippie, nato a San Francisco, predicava il ritorno alla natura, il rifiuto delle costrizioni, l’uguaglianza dei sessi, la ricerca dei paradisi artificiali al grido di “Fate l’amore non la guerra”. I giovani iniziano a viaggiare soprattutto in India, e scoprono gli aromi di sandalo, di muschio, ma soprattutto di patchouli che viene usato per lisciare i capelli e nascondere l’odore dell’hashish. È così che compaiono sul mercato i profumi da uomo.

Negli anni Ottanta esplode il made in Italy in ogni settore produttivo. Sono gli anni di: Versace, Armani, Ferré, Fendi, Laura Biagiotti e Valentino. Per reazione al decennio precedente dove tutto era eccessivo, ricco e sfarzoso, le nuove fragranze richiamano soprattutto l’acqua, come per appagare un desiderio di leggerezza e purificazione. Per sottolineare la loro appartenenza a un gruppo, le giovani generazioni adottano uno stile unisex e grunge. La bandiera profumata di quegli anni è CK One di Calvin Klein: il primo profumo pensato per essere condiviso senza limitazioni legate al genere.

Nel corso dei millenni, il profumo ha subito un vero e proprio cambiamento. Nasce come prerogativa di pochi potenti, ma nei secoli subisce una graduale democratizzazione. Si trasforma da elemento sacro ad accessorio di lusso profano, da strumento di seduzione a prezioso rimedio terapeutico. Insomma chi avrebbe immaginato che il semplice gesto di spruzzarsi il profumo, al termine di ogni rituale di agghindamento, sia in realtà un importante pezzo di storia?

Simone Lucci

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PRESENTE E PASSATO DEL MADE IN ITALY

PRESENTE E PASSATO DEL MADE IN ITALY

Quante volte molti di noi comprando un capo d’abbigliamento, scarpe o accessori, si domandano: “Sto acquistando realmente un prodotto Made in Italy?”

Il gusto, la manifattura, l’artigianalità, la qualità del nostro Paese sono invidiate in tutto il mondo, tanto che i brand italiani sono corteggiati e spesso anche acquisiti da società estere.

Il sentore che qualcosa nel Fashion System stia cambiando e che molte aziende siano adocchiate da realtà estere lo avvertono i buyer andando a comprare per i vari show-room e dialogando con i rappresentanti. E purtroppo in tanti casi è già vero: molte aziende non sono più italiane.

Era il 1967 quando venne fondato il brand Fiorucci, lo stilista Elio che negli anni 70-80 ebbe la sua massima popolarità. Purtroppo non tutto è destinato a durare, infatti, nel 1990, l’azienda Fiorucci venne rilevata dalla Edwin International, società giapponese che possedeva la licenza e la proprietà di diverse aziende, per poi passare alla Società inglese Schaeffer, che finora è a capo del marchio.

Ci sono fondi di investimento, come il francese Kering, un vero e proprio colosso globale del lusso che ha acquistato diverse maison tra cui il brand Gucci, fondato da Guccio Gucci nel 1921 a Firenze. Marchio di fama internazionale e un’icona della Dolce Vita che oggi, sotto la guida dello stilista Alessandro Michele, sta avendo nuovamente un enorme successo.  Gli italianissimi Bottega Veneta, Pomellato, Dodo e Brioni sono passati anch’essi al gruppo Kering.

La rinomata e amata Maison Valentino nasce negli anni ’60, quando si afferma la Dolce Vita, e resta italiana fino al 2012, anno in cui il fondo di investimento Mayhoola, con sede in Qatar, acquista l’azienda.

Emilio Pucci, Loro Piana, Fendi e Bulgari sono state acquistate negli anni dal gruppo LMVH, multinazionale francese che conta oltre 70 marchi ed è quotata alla Borsa di Parigi.

Tra i casi che hanno tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace, il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per 2 miliardi di dollari, anche se Donatella Versace, che ha preso le redini dell’azienda dopo la morte del fratello Gianni nel 1995, ha mantenuto assieme al fratello Santo una piccola quota.

Era il 1991, in gran voga il jeans a vita bassa e Miss Sixty, leader di questa tipologia di pantalone. C’era anche Energie, balzato nell’olimpo per la vestibilità più street del jeans. Un destino comune quello delle due aziende che, insieme al marchio Roberta di Camerino, Murphy Nye e RefrigiWear®, vengono cedute nel 2012 a un fondo di investimento panasiatico.

Le aziende vendute a società estere sono tante, ma in tutto questo notiamo anche qualche azione in contro tendenza: nel 2003 l’azienda francese Moncler è stata acquistata dall’imprenditore italiano Remo Ruffini e, nel 2020 Stone Island entra a far parte di Moncler.

Diesel, dello stilista veneto Renzo Rosso, Dolce & Gabbana, fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, sono altri esempi di brand nati e conservati nel nostro Paese. Poi ancora: Moschino, Max Mara, Salvatore FerragamoEtro e Missoni. E Prada (fondata a Milano nel 1913 dai fratelli Mario e Martino Prada con il nome Fratelli Prada, e poi negli anni gestita da Miuccia Prada e dal marito Patrizio Bertelli) è diventata una SPA, alla quale appartengono altri brand, tra cui Miu Miu, Church’s, Car Shoe, Fondazione Prada, e mantiene il domicilio in Italia. E poi c’è lui, re Giorgio (Armani), con la sua azienda fondata insieme a Sergio Galeotti nel 1975.

Una cosa è certa: venduti oppure no, i marchi del Made in Italy hanno una marcia in più.

Cristiano Gassani

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