0% ALCOL PER LO SPARKLING ROSÉ DI KYLIE MINOGUE

0% ALCOL PER LO SPARKLING ROSÉ DI KYLIE MINOGUE

“L’interesse e il desiderio per un vino analcolico di alta qualità era sempre più evidente. Ho ricevuto molti messaggi da parte di fan giovani e astemi che volevano far parte della famiglia KMW (Kylie Minogue Wines), così ho voluto valutare se fosse possibile realizzare un vino analcolico, senza sapere, però, quanto sarebbe stato difficile”, ha raccontato Kylie Minogue in una intervista rilasciata alla giornalista Lucy Shaw di Drink Business.

Avendo individuato una lacuna nel mercato, la talentuosa cantante e superstar australiana ha recentemente proposto una bollicina rosé analcolica ideale per cavalcare l’attuale boom del “no-low”. Solo 22 calorie per 100 ml per lo “Sparkling Rosé 0% alcohol” che è stato lanciato a ottobre 2022 in 700 negozi Tesco del Regno Unito.

“È stato il vino più impegnativo della gamma – racconta la principessa del pop –. I vini analcolici spesso sono troppo dolci. Abbiamo fatto una degustazione a New York e non era ancora a posto, quindi abbiamo ridotto la dolcezza fino a raggiungere un livello che mi soddisfacesse. Ho voluto che l’effervescenza fosse come quella di uno spumante alcolico, in modo che i consumatori non abbiano la sensazione di uno stravolgimento sensoriale. Desidero che la gente lo beva nei migliori bicchieri da champagne; il colore è splendido, la sensazione è quella di una celebrazione assoluta”.

Kylie Minogue Wines è stato lanciato nel 2020 in esclusiva dal distributore londinese Benchmark Drinks. In poco più di 2 anni, è tra i nove vini più venduti nel Regno Unito, insieme al Signature Rosé e al Prosecco Rosé. “Essere il marchio Rosé numero uno nel Regno Unito, avere venduto oltre otto milioni di bottiglie da quando lo abbiamo lanciato ed essere presenti in oltre trentuno paesi, mi riempie di gioia”, afferma Kylie Minogue. Ed esorta: “Sono entusiasta, ma divertitevi responsabilmente!”

Numerosi i premi, tra cui due ori, nei prestigiosi Drinks Business Wine Awards.

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TAPPO A VITE E ‘SVITATI’

TAPPO A VITE E ‘SVITATI’

Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. Cos’hanno in comune queste 5 cantine e relativi produttori? Nel giro di pochi anni tutti i loro vini saranno “tappati a vite”. Per questo si sono chiamati “Gli Svitati” e il 6 marzo hanno organizzato un evento a Villa Sorio di Gambellara (Vicenza) per raccontare e sostenere la loro scelta del tappo a vite. con una chiusura come il tappo a vite si rischiano meno “incidenti di percorso” rispetto a una chiusura naturale come il sughero. Questo è sicuramente un aspetto innegabile sul quale è chiaro che tutti i player del sughero stanno da tempo lavorando per ridurre il più possibile i rischi di “contaminazione” di varia natura.

“Se vogliamo vini protetti da ogni interferenza esterna con chiusure capaci di tutelare al meglio tutti i grandi sforzi che facciamo in vigna e in cantina, la scelta deve cadere inevitabilmente sui tappi a vite, senza nessun dubbio” è il concetto che in modo accorato hanno sottolineato.
Una scelta estrema dettata dall’aver visto troppe volte il loro lavoro attento e preciso per ottenere grandi vini penalizzato da un tappo naturale che ha “contaminato” il loro prodotto, vanificando così tutti i loro sforzi. “Ricordo che qualche anno fa, in un noto ristorante, i clienti seduti a un tavolo vicino al nostro ordinarono una preziosa bottiglia di Barolo di Sandrone. Conoscevo bene quel vino, perchè era uno dei miei preferiti. Vedo che lo assaggiano e iniziano a parlarne male. Rimango stupefatta e quindi chiedo al sommelier, che conoscevo bene, se poteva farmi avere un bicchiere di quel vino. Assaggiandolo, mi rendo conto che era una bottiglia con difetti derivanti dal tappo di sughero. Chiedo allora di portare loro un’altra bottiglia, sempre di quell’annata, dicendogli che l’avrei offerta io. La degustano con piacere e i commenti si trasformano completamente in molto positivi. Anche quella volta mi resi conto di come in pochi minuti si può vedere naufragare, delegittimare, anni di lavoro e di impegno”, racconta Maria Luisa Manna moglie di Franz Haas.

Secondo gli “Svitati”, oltre a eliminare i rischi di “contaminazione da tappo”, il tappo a vite rappresenta anche la scelta migliore sotto il profilo della sostenibilità essendo realizzato in alluminio, materiale ad alta riciclabilità, molto più rispettoso dell’ambiente rispetto allo stagno.

Cinque vini degli “Svitati” sono stati degustati nella versione con tappo a vite e in quella con tappo di sughero. Il confronto è risultato decisamente interessante e utile perché ha evidenziato due modelli di vini profondamente diversi tra di loro. Se fosse stata una degustazione alla cieca, per essere chiari, nessuno probabilmente si sarebbe accorto che si stavano degustando due vini della stessa tipologia e annata ma semplicemente con un tappo diverso. Prendendo come esempio la degustazione del Vintage Tunina di Jermann (annata 2013), la versione “a vite” era profondamente diversa da quella tappata con il sughero. La prima più fresca e fruttata ma anche molto meno ampia e complessa, intrigante rispetto alla versione con il sughero. Non esiste una chiusura ideale per tutte le tipologie di vino e di gusti dei consumatori. Non vi è dubbio, infatti, che alcuni vini possano venire privilegiati nell’evoluzione da chiusure più “naturali” rispetto ad altri.

All’incontro è intervenuto anche Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Mach di San Michele all’Adige presentando i risultati delle ricerche dell’Australian Wine Research Institute, che nel 1999 ha avviato delle sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure di vino, compreso il tappo a vite. “Lo scopo della sperimentazione era quello di condurre una valutazione indipendente delle prestazioni della chiusura per fornire ai produttori di vino dati solidi su cui basare le proprie decisioni in merito alle chiusure – spiega Mattivi –. Sebbene si prevedesse che la sperimentazione sarebbe durata dieci anni è stata interrotta dopo 3 anni perché i risultati erano chiari e perché il mix di chiusure disponibili sul mercato è cambiato notevolmente in un breve lasso di tempo, in parte a causa dei risultati della sperimentazione. Complessivamente, i risultati delle ricerche presentate dal prof. Mattivi hanno evidenziato risultati positivi per le chiusure con tappo a vite che, anche a distanza di anni, hanno consentito un mantenimento delle caratteristiche organolettiche adeguato e, in taluni casi, anche migliore rispetto a chiusure con tappi di sughero.

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IL CORKAGE FEE IN POSTERIA

IL CORKAGE FEE IN POSTERIA

Cos’hanno in comune Trussardi alla Scala, Cracco, Al Pont de Ferr, Manna e La Posteria di Nonna Papera?

La città di Milano. La passione per la cucina. E il “diritto di tappo”, in inglese corkage fee, una pratica consolidata negli Stati Uniti che si è diffusa in Canada, Australia, Nuova Zelanda. E ora anche in Italia.

A inventarla, collezionisti e appassionati di vino che chiedevano al ristoratore di fiducia il permesso di portare una bottiglia da casa per consumarla durante il pasto. Da una parte questo permetteva loro di pasteggiare con il vino preferito, dall’altra consentiva al locale un risparmio. Piano piano la pratica si è diffusa nei ristoranti americani, che hanno deciso di pubblicizzarla.

Oggi ci sono quindi parecchi BYOB (Bring your own bottle o bring your own booze), ristoranti basati sul “corkage fee”, dove si paga un compenso prestabilito per il servizio di un vino, non presente nella carta, che il cliente intende consumare al tavolo. In alternativa, il costo del servizio potrebbe coincidere con il costo della bottiglia meno cara del menù. Ogni ristoratore sceglie la propria politica.

“Porti la tua bottiglia e paghi solo il servizio che sarà di 2 euro a calice: stappatura bottiglia, lavaggio bicchiere e utilizzo di decanter o glacette. Puoi portare massimo una bottiglia ogni 2 persone”, precisa Lamberto Frugoni, titolare di La Posteria di Nonna Papera. Il servizio, sottolinea, deve avvenire in modo assolutamente corretto e tocca al personale di sala prendersi cura della bottiglia. “Controlleremo la temperatura di servizio, porteremo il calice appropriato, e ci occuperemo della decantazione, se necessaria – chiarisce Frugoni –. Da giugno, poi, offriremo questo servizio per presentare un aperitivo diverso.  Proporremo i “cicchetti”, una sorta di tapas, un’ampia scelta di bruschette all’italiana, salumi, formaggi e piccole porzioni del menu: mini tartare, rigatoni al sugo di brasato, pennette al sugo di ossobuco”.

La Posteria di Nonna Papera, aperta dal 2005, vanta oltre 200 etichette di vini, dal nord al sud Italia. “Non chiamatelo wine bar, né ristorante, è una posteria, una delle poche rimaste. Per questo ho scelto questo nome. ‘Posterie’ erano le latterie milanesi: negozi di generi alimentari dove ci si poteva accomodare e bere un bicchiere di vino”, spiega Frugoni. ‘Nonna Papera’: come il famoso e divertente ricettario ‘Il manuale di Nonna Papera’, col quale tante generazioni hanno scoperto la passione per la cucina e le appetitose ricette ispirate ai cartoni animati di Walt Disney.

In cucina? “L’ex direttore del Ribot, lo storico ristorante con giardino dall’ambiente a tema ippico: Paolo Peraldo, capelli bianchi, piemontese, pignolo. Compriamo unicamente le materie prime che dice lui: la tagliata di controfiletto di scottona, il lardo di colonnata per i soffritti, i pomodori Pachino per la salsa, il ganassino di manzo per il brasato…”, precisa Lamberto Frugoni.

La cucina è piemontese, milanese, regionale italiana. E poi ci sono le chicche: “I formaggi di Vittorio Beltrami, i salumi dei Fratelli Billo e K. Bernardi, le mostarde artigianali, l’olio proveniente da un agriturismo toscano. Tutte le materie prime sono di piccoli produttori”, spiega Frugoni. La forza del ristorante sta nel Made in Italy, e anche nell’ironia del titolare che elenca il menu, col cellulare in mano, scorrendo le foto dei piatti: “Rustin negàa, manzo all’olio, tonno di coniglio, agnolotti del plin, cotoletta alla milanese rigorosamente di vitello, fritta nel burro chiarificato…”, solo per citarne alcuni.

Clementina Speranza

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A TUTELA DEL VINO ITALIANO

A TUTELA DEL VINO ITALIANO

Vino cancerogeno? Ci batteremo per difenderlo. È l’interesse delle cantine italiane e la saggia presa di posizione di Confagricoltura Puglia e dei Consorzi di Tutela pugliesi (Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria dop, Consorzio del Salice Salentino doc, Consorzio di Brindisi e Squinzano doc).

“Siamo molto preoccupati e amareggiati sull’ipotesi che l’Unione Europea possa etichettare il vino come alimento ad alto rischio cancerogeno”, afferma Novella Pastorelli, Presidentessa del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria dop.

Alla vigilia dell’approvazione del piano anticancro europeo, è necessario scongiurare il rischio che decisioni avventate e dogmatiche mettano in pericolo il futuro di una filiera strategica per il nostro Paese come quella vitivinicola, senza peraltro riuscire a trovare una soluzione ai problemi di salute pubblica. Il consumoresponsabile, rimane l’unica vera ricetta contro i rischi alcol-correlati.

“In Italia e soprattutto in Puglia il vino non è una bevanda, è molto di più. Il vino è cultura, è racconto dei territori, è parte di una tradizione secolare – chiarisce la presidentessa del consorzio –. Oltre  a essere un componente della Dieta Mediterranea: una dieta sana ed equilibrata, patrimonio immateriale dell’umanità. Dunque il vino non può essere criminalizzato. Se passasse il piano, i Paesi membri potrebbero adottare pesanti restrizioni sul vino, provocando danni enormi alla filiera: etichette con alert sanitari, divieto di pubblicità, divieto di sponsorizzazione, aumento delle tasse”.

Tutto a discapito dei produttori.

“Ci batteremo perché non vada in porto, anche perché il vino è uno degli elementi produttivi più importanti del Pil e della bilancia commerciale, tra i pochi che non hanno visto diminuire investimenti e posti di lavoro neanche in tempi di crisi. Una brutta immagine per l’Italia vitivinicola e per la Puglia, una delle regioni italiane simbolo di vini di alta qualità.

Siamo fiduciosi sul fatto che i nostri parlamentari italiani a Bruxelles si batteranno, come hanno sempre fatto finora, in difesa del vino e dell’intera Puglia”, conclude Novella Pastorelli.

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UN SOGNO DI FAMIGLIA, DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

UN SOGNO DI FAMIGLIA, DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

La storia dell’azienda agricola La Contea è incentrata sulla autentica passione per la terra tramandata di padre in figlio fino ai nostri giorni.

Fu nonno Peppino  il primo a produrre il suo vino in un palmento a Piedimonte Etneo. Era impossibile resistere al richiamo di quei profumi e di quell’energia che solo il vulcano attivo più alto d’Europa regala a chi ha la sensibilità di coglierne l’essenza.

Pippo Turrisi, il maggiore dei figli, seguiva il padre in questa meravigliosa attività e, anno dopo anno, se ne appassionò in modo viscerale. Fu sempre attratto dal terreno e dai suoi frutti. Impegnato in un’importante attività nel campo dei materiali e dell’impiantistica per le telecomunicazioni, sognava di poter un giorno produrre un vino tutto suo e coltivare quegli ortaggi genuini che amava. Ebbe l’occasione di acquistare un podere sull’Etna, in Contrada Pietramarina, nel cuore della produzione enologica etnea, e lì iniziò a sperimentarsi come viticultore. Il vino, prodotto con l’assoluto rispetto della tradizione, era eccellente, brioso, pieno di carattere e straordinario, Pippo era felice.

Pietramarina era un luogo favoloso, ma non esattamente il suo luogo. Pippo, originario di Presa, un piccolo borgo nei pressi della gloriosa contea di Mascali, amava enormemente quei posti; così, quando seppe che un terreno di circa 16 ettari, appartenente ad alcuni nobili acesi, era in vendita proprio a Mascali, non resistette: fu amore a prima vista e acquistò quella tenuta.

C’era molto lavoro da fare: una vigna semi abbandonata, un palmento in cattive condizioni e una grande quantità di rovi da estirpare. Pippo, da sempre grande lavoratore e persona amante delle sfide, bonificò per intero quell’area, ristrutturò il palmento, edificò un piano abitabile sopra la preesistente struttura e impiantò nuove vigne sostituendo le fallanze.

Aveva realizzato un sogno.

Alla fine dell’impegnativa settimana lavorativa fuggiva nel suo luogo del cuore e, con la cura che un padre dedica ai figli, coltivava i suoi ortaggi, i suoi alberi da frutto e, ovviamente, le sue preziose viti.

La vendemmia era una festa. Pina, sua moglie, instancabile e ottima cuoca, preparava già all’alba la colazione per la folla di amici e parenti che si radunavano a Mascali per la vendemmia.

Cento, centocinquanta persone che, allegramente e tutte insieme, vendemmiavano quelle meravigliose uve godendo della straordinaria vista sul mar Ionio e gioendo delle leccornie preparate amorevolmente da Pina.

Il palmento si animava di gioia e canti e quel prezioso succo, prodotto dalle uve pigiate con i piedi, raggiungeva le grandi botti di castagno dove sarebbe maturato fino a diventare l’eccellente rosso della casa.

Praticamente una magia.

Col passare degli anni, la produzione aumentava divenendo eccessiva per il solo consumo familiare.

Salvo e Maria Grazia, nel 2008, convinsero il padre Pippo che il loro prezioso vino poteva anche essere commercializzato: fu così che nacque l’azienda agricola La Contea.

Le bottiglie dovevano avere un nome, e Salvo pensò di onorare il padre firmando ogni bottiglia con il suo anno di nascita: così Classe 39 vide la luce.

Pippo si fece supportare dalla conoscenza e dall’esperienza di alcuni amici enologi, i veri grandi conoscitori di quei luoghi e dei vini del vulcano, e così poco dopo, all’unico vino rosso prodotto sino a quel momento, si aggiunse la produzione di un bianco, vezzo di Salvo, e anche di un rosato.

La Contea stava diventando grande.

Pippo era un sognatore: desiderava creare una cantina più grande, una sala degustazione nella quale poter offrire ai suoi ospiti un godimento per la vista e il palato, ma durante la realizzazione del suo progetto si ammalò e, dopo alcuni anni difficili, morì.

Salvo e Maria Grazia presero le redini dell’Azienda.  

I due fratelli avevano chiaro in mente l’esempio di infaticabilità e caparbietà del loro padre, e non ebbero alcuna esitazione nel voler realizzare il suo sogno. Dotarono la loro azienda di ogni tipo di certificazione possibile e la loro capacità organizzativa venne premiata con la realizzazione del nuovo progetto di espansione della cantina.

Salvo e Mariagrazia sono pronti a scrivere le nuove pagine di questa appassionante storia di famiglia. Storia che punta ad appassionare i wine lover di tutto il mondo.

Settore di attività

L’azienda agricola La Contea produce e commercializza vini di alta qualità da uve esclusivamente di proprietà provenienti dalle tenute di Mascali, sul versante orientale del vulcano Etna.

Qui dove è nato il Nerello Mascalese, nell’assoluto rispetto delle tradizioni centenarie, e con una grande attenzione all’ambiente, vengono integralmente prodotti e imbottigliati i preziosi vini ottenuti solo dalle migliori uve raccolte a mano. Un connubio inscindibile di tradizione e tecnologia che, sfruttando le più moderne tecniche enologiche, garantisce un livello produttivo di altissimo pregio.

Nella panoramica sala degustazione, La Contea organizza meravigliosi percorsi enogastronomici sfruttando esclusivamente le materie prime prodotte nell’azienda agricola.

Allo stato attuale sono disponibili 3 versioni del rinomato Classe 39: il bianco, il rosato e il rosso.

 Classe 39 Bianco

Una rara versione di uve nere vinificate in bianco. Alla vista appare di una luminosa veste giallo paglierino mentre al naso richiama netti e riconoscibili sentori di pesca bianca, gelsi bianchi, scorzette di cedro, ginestra, erba tagliata e un inconfondibile sentore di crema pasticcera. In bocca risulta secco, caldo e morbido, con una meravigliosa avvolgenza al palato, un’ottima freschezza e grande equilibrio. È un vino dalla lunga persistenza che dona una piacevole sensazione fruttata nel finale. Minerale come solo il suolo del vulcano attivo più alto d’Europa sa offrire. Servito a una temperatura di 12° dà il meglio di sé con sushi, pietanze a base di pesce dai sapori intensi, pregiate carni bianche, fritture di mare. Eccellente anche da sorseggiare da solo.

Classe 39 Rosato

Alla vista appare di una luminosa veste dal colore rosato buccia di cipolla. Al naso richiama netti e riconoscibili sentori di fragoline, lamponi, ribes e ciliegie appena mature. Le note di susina e prugna lo rendono immediatamente riconoscibile. In bocca risulta secco, moderatamente caldo e morbido, con una meravigliosa morbidezza al palato. Ottimo per freschezza e grande equilibrio, con una lunga persistenza all’assaggio e una piacevole sensazione fruttata nel finale. Va servito a 14° e trova gli abbinamenti ideali con la pizza, il sashimi e le linguine ai ricci di mare. Perfetto col pesce saporito e le fritture di paranza. Le carni bianche lo esaltano nella sua tipicità.

Classe 39 Rosso

È un vino dal colore rosso rubino tendente al granato, con grande lucentezza e tipica trasparenza. Al naso richiama netti e riconoscibili sentori di ciliege e amarene mature, more di rovo, prugne e grafite. In bocca risulta secco, caldo e morbido, con una piacevole morbidezza al palato. Tannini vellutati, ottima freschezza ed equilibrio. Speziato e minerale con una lunga persistenza e una gradevole sensazione di frutta nel finale. Va servito a 18° e rappresenta l’ideale compagno di primi piatti saporiti come pasta al ragù o al forno. Perfetto con grigliate di carni rosse ed elaborate pietanze di selvaggina e cacciagione. Si esalta con i piatti della tradizione o con i formaggi stagionati.

E come novità? Nel 2021 faranno il loro esordio sul mercato lo spumante Etna Doc Metodo Classico, da uve 100% Nerello Mascalese che ha maturato per ben 36 mesi sui lieviti e l’Etna Bianco Doc da uve Carricante.

Ugo Nicosia

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