“ (…) oggi “va” l’alta tecnologia, che rende possibili forme attraenti e complesse, generalmente di alta efficienza strutturale ma spesso poco attente alla sostenibilità (il discorso sarebbe lungo, ma chi calcola, il costo ambientale delle fusioni in alluminio e delle detrazioni di quegli eccellenti esempi che si vedono sulle riviste, ammesso che i consumi dichiarati siano convenienti?…).

Con tutti i distinguo che si possono fare tra un involucro di un aeroporto o di una fiera, e quello di una normale edilizia, questo potere attrattivo dell’high-tech distrae il mondo della progettazione da un approccio “altro”.

È infatti in ombra, culturalmente assente nella generalità della cultura architettonica (con poche eccezioni), un approccio morbido, di alto impegno di contenuto di progetto, ma con uso modesto della tecnologia, che richiama una scuola di pensiero presente da decenni bel governo dei grandi sistemi della civiltà postindustriale, trasporti, energia, alimentazione (…) ”.

Giuseppe Biondo, Tecniche modeste per un mondo complicato, maggio 2005

La chiave di lettura di molti lavori di ricerca e di realizzazioni progettuali che hanno delineato il quadro dell’architettura più recente, su grande e piccola scala, è quella di riacquisire una conoscenza primitiva rispetto all’architettura e alle sue tecniche. Lungi dal voler cavalcare l’onda di revisionismo maturata nei confronti dell’high-tech, appare utile, se non necessario, alla luce delle odierne problematiche del settore delle costruzioni, riappropriarsi non tanto di tecniche costruttive tradizionali, quanto del rapporto, proprio di quella prassi costruttiva, tra obiettivo e strumenti, che in architettura si traduce nella locuzione, ormai entrata nel dibattito scientifico, di “tecnologia appropriata”.

A essere rifiutata, nell’approccio high-tech, non è la ricerca dell’innovazione quanto la sua involuzione di significato, che l’ha vista passare da strumento del progetto di architettura a obiettivo dello stesso.

Qualunque sia la terminologia con cui testimoniare il cambiamento di rotta rispetto all’approccio appena descritto, “architettura vernacolare”, “clever – tech”,  “architettura a basso costo” e così via,  univoco è il principio di fondo, ovvero la volontà di dimostrare che fare architettura non è funzione della complessità delle tecnologie messe in campo quanto funzione della complessità del progetto, in cui il termine “complessità” descrive il convergere in un solo oggetto, il manufatto appunto, di fattori, esigenze e ambiti disciplinari diversi, la cui integrazione deve essere l’obiettivo cui tendere, anche attraverso la scelta delle soluzioni tecniche che, tale integrazione rendono possibile. La corrispondenza tra obiettivo e soluzione tecnica è funzione di una serie di variabili, da quella meramente funzionale a quella ambientale, economica e sociale, che conferiscono alla soluzione individuata l’attributo di sostenibile.

Lo spunto per verificare queste considerazioni è fornito dal sempre maggiore interesse mostrato dagli operatori del settore per interventi che non possono certo essere ascritti tra le grandi opere, come gli impianti museali o i centri direzionali, ma rispecchiano esigenze contingenti, divenute pressanti per l’esasperarsi di alcuni caratteri della società contemporanea e del ruolo che l’abitare ha assunto in essa. Il concetto di abitazione sta subendo una radicale trasformazione ad opera di processi come la mobilità, le catastrofi naturali e antropiche, e la necessità di far fronte con soluzioni compatibili alle esigenze abitative peculiari dei paesi del terzo mondo, per citare solo alcune delle tendenze diffuse.  Già da molti anni è possibile leggere sulle riviste di settore di interventi di edilizia temporanea e/o a basso costo, di tecniche costruttive a basso impatto, ecc.; così come è stato emblematico e significativo del rinnovato contesto, l’attribuzione di quello che viene considerato l’Oscar dell’Architettura a un architetto come Glenn Marcutt, che ha fatto dell’uomo e delle sue necessità,  del contesto e delle risorse, i principi generatori della sua architettura, nella quale si può leggere la ricerca di un equilibrio tra materiali disponibili a livello locale, esigenze, capacità tecnica, risorse e ambiente. Ciò che accomuna tutte le esperienze citate è la volontà da parte dei progettisti, per usare le parole di Imperadori, di “(…) mostrare come sia possibile, (…), spingere l’impegno progettuale a produrre “innovazioni” d’uso o “implementazioni” d’uso di materiali e concetti costruttivi. Il che significa mettere in evidenza come l’architettura, la sua percezione estetica ma anche funzionale e prestazionale, non dipenda necessariamente dall’uso di materiali preziosi e costosi e dalla definizione di nodi costruttivi “super-tech”. (…) in luogo di un’architettura fatta di abile collocazione materica, frutto di un cocktail tra basso costo e alto (anche nel senso più nobile del termine) investimento progettuale (e culturale)”.

Un esempio emblematico di questo approccio ecosostenibile e “appropriato” è rappresentato, oggi più che mai, dal settore delle costruzioni in legno che dalla tradizione ha saputo cogliere gli spunti per un’innovazione dell’abitare consapevole dell’ambiente e delle risorse messe in campo. Infatti, questo sistema costruttivo mostra alcuni significativi vantaggi rispetto ai sistemi costruttivi più diffusi, ovvero la rapidità di esecuzione, la stabilità, la sostenibilità e il risparmio energetico; non a caso le costruzioni in legno devono rispondere a tutta una serie di normative nel campo del comfort ambientale.

La rapidità in fase di esecuzione è connessa alle tecniche di lavorazione “a secco” (le parti che costituiscono un edificio in legno sono generalmente assemblate facendo uso di viti, bulloni e piastre metalliche), che unite alla parziale prefabbricazione dei componenti utilizzati in cantiere consentono di ridurre i tempi di costruzione.

La sostenibilità, invece, di questa tipologia edilizia è discorso più complesso, da ricondurre a due aspetti, ovvero la natura del materiale impiegato e le performance energetiche assicurate da quest’ultimo.

Infatti, per quanto riguarda il primo aspetto, il legno rappresenta un materiale totalmente riciclabile e rinnovabile, le cui lavorazioni comportano un ridotto uso di energia e un basso livello di emissioni nocive per l’ambiente, ed è caratterizzato da una fase di smaltimento a basso impatto ambientale.

Per quanto concerne il secondo, non trascurabile, aspetto, il legno è di per sé un materiale con elevate caratteristiche di isolamento termico e acustico, inoltre entra nella composizione (attraverso la lavorazione dei suoi derivati) di pacchetti isolanti altamente performanti, permettendo di creare ambienti abitativi salubri e confortevoli.

Tutti gli aspetti citati hanno sicuramente concorso nel far divenire le costruzioni in legno un settore estremamente rilevante nel comparto della bioedilizia. Uno studio del 2018 mette in evidenza come in Europa l’edilizia in legno sia cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente, con un fatturato da 724 milioni di euro a fronte di 3200 abitazioni ecofriendly.

Anche l’Italia gioca un ruolo fondamentale nel settore, ponendosi al quarto posto in Europa, secondo quanto rilevato dall’ultimo rapporto Case ed Edifici in legno condotto da Federlegno–Assolegno, grazie anche all’opera di realtà progettuali importanti come La GS case in legno e bioedilizia.

L’azienda si è imposta nel mercato della bioedilizia grazie a un approccio integrato tra progetto dello spazio abitativo e progetto del sistema costruttivo in legno, permettendo di diffondere tale tecnologia anche in ambiti legati alle tecnologie tradizionali delle costruzioni in cemento o acciaio. Essa infatti, oltre a fornire un supporto al progettista, è in grado di utilizzare le principali tecnologie costruttive della prefabbricazione in legno: a telaio o in X-Lam, che costituiscono rispettivamente il 55% e il 38% della produzione.

Un esempio è la realizzazione di un nuovo progetto di architettura ecosostenibile a San Giorgio in Salici, sul Lago di Garda, per il quale la GS ha collaborato per la parte impiantistica con MyDATEC – marchio Telema che propone sistemi innovativi per la climatizzazione e il controllo della qualità dell’aria, nell’ottica di ottimizzare la risposta in termini di comfort ambientale degli spazi abitativi.

Si tratta di un’abitazione di 230mq, progettata dall’Arch. Demetrio Viviani, nella quale il sistema MyDATEC Air4One, in abbinamento alla VMC Smart V 200, la soluzione ideale, in grado di rispondere con un’unica soluzione alle esigenze di ventilazione, riscaldamento, raffrescamento, filtraggio e deumidificazione degli ambienti.

Il progetto abitativo è, quindi, il frutto di un connubio attentamente progettato tra le strategie di sostenibilità insite nelle realizzazioni in legno e i sistemi di climatizzazione meccanica di ultima generazione, allo scopo di dare vita a edifici con un’elevata performance energetica, classificabili in classe A, cioè l’eccellenza sotto il profilo dell’abbattimento dei consumi e della tutela dell’ambiente (una casa in classe A è un’abitazione a impatto energetico quasi pari a zero).

 

Nella costruzione di un edificio in legno è necessario rispettare le NTC08 (DM 14 gennaio 2008) per assicurare l’adeguata idoneità statica e antisismica. Le norme infatti contengono ben tre paragrafi dedicati alla progettazione di strutture di legno. Devono essere rispettati anche i parametri in materia di normativa antincendio, in base alla tipologia del fabbricato; ad esempio per edifici residenziali sarà necessario rispettare il DM 246/1987 e il DPR 151/2011.

In tema di efficienza energetica gli edifici in legno devono rispettare i nuovi requisiti minimi di efficienza previsti dal DM 26/06/2015. Infine nella gestione del cantiere bisogna seguire le procedure per la sicurezza previste dal Dlgs 81/2008.

Maria Rita Grasso

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