Il rapporto tra arte e moda è profondo. È un insieme di scambi creativi e, in un momento storico confuso come quello che stiamo vivendo, la connessione tra Harim e YKK, nello scenario di Fiumara d’Arte, è particolarmente significativa.
Per chi non la conoscesse, Harim Accademia Euromediterranea, con sede a Catania, è per la rivista Vogue tra i migliori istituti di moda e design italiani, con una storia lunga più di 25 anni, che punta a formare nuovi professionisti in diversi ambiti lavorativi.
Mentre YKK (Yoshida Kogyo KabushikiKaisha) è una multinazionale giapponese nata nel 1934, tra le maggiori produttrici mondiali di accessori da chiusura, cioè di cerniere. L’azienda Made in Tokyo oggi è presente in 73 nazioni ed è un colosso che supera la produzione annua di 2 milioni di km di chiusure lampo.
Gli abiti sono realizzati a mano dallo staff di Harim. Satin, crêpe e chiffon. Tre tessuti e abiti differenti, ma con lo stesso bagno di colore. Comune denominatore: le cerniere.
Alla leggerezza dei tessuti hanno abbinato cerniere metalliche a catena, con inciso a laser nero su oro “Back to dreaming” (ovvero “Torniamo a sognare”), nome della capsule. “L’idea era quella di dettare i canoni dell’alta moda e dello streetwear creando un forte contrasto che mette in risalto le cerniere”, afferma Gabriella Ferrera, fondatrice di Harim e sorella della stilista Marella Ferrera. Una tradizione familiare quella delle sorelle Ferrera, nata grazie ai genitori che aprirono la loro prima boutique a Catania a fine anni ’50.
La partenrship tra Harim e YKK ha dato vita a un videoclip realizzato in occasione dell’edizione 2021 del MADEINMEDI, girato a Fiumara d’Arte, museo a cielo aperto, uno tra i più grandi parchi monumentali di arte contemporanea in Europa, voluto e ideato dal mecenate Antonio Presti. Le riprese sono state effettuate presso le sculture monumentali del parco: “Monumento per un Poeta Morto” di Tano Festa (Comune di Reitano), “Il labirinto di Arianna” di Italo Lanfredini (Comune di Castel di Lucio), “Piramide – 38° Parallelo” di Mauro Staccioli ed “Energia mediterranea” (Comune di Motta d’Affermo). Uno cambio energetico tra opere d’arte e un linguaggio contemporaneo della moda. Creative Director del video Gabriella Ferrera e Producer Marco Aloisi, suo socio nell’Accademia.
Emiliano di adozione, creativo, autentico, comunicativo. Lui è Filippo Bragatt, artista famoso per le installazioni e per i grandi ritratti di personaggi famosi. Di recente, un suo bellissimo dipinto nella copertina della rivista Arbiter e “Never Let Your Brain Sit”, l’installazione donata al comune di Santa Margherita Ligure: una panchina rosa, bianca e blu attraversata da un albero. “Quella panchina nasce per dimostrare che la natura si può ribellare: in una panchina su cui ci rilassiamo, leggiamo il giornale, ci baciamo, irrompe un albero. Vuole essere un monito per trovare una convivenza sostenibile”.
Ho conosciuto Bragatt mentre facevo un ordine per i miei negozi in un’azienda di streetwear (Progetto 27) dove Bragatt è consulente creativo. Inizialmente sulle stampe delle t-shirt reinterpretava, e in parte dissacrava, alcuni personaggi storici italiani famosi in tutto il mondo: Dante Alighieri, Garibaldi, Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi. Così i geni diventavano moda e la moda diventava arte.
La sinergia creata tra l’artista e il fashion brand ha fatto sì, che i capi venissero indossati anche da personaggi dello spettacolo.
Il nostro incontro più recente avviene a Firenze, in un bar. Mi saluta con un gran sorriso e inizia con questa frase la nostra intervista, “Grazie Cristiano per essere qua, vedi ogni storia è un cammino in cui l’emozione più bella è negli inizi, iniziamo questo piccolo viaggio insieme in maniera solare”. Mi colpisce la sua frase, e mi colpisce la storia della sua carriera: un percorso, fatto di scelte, incontri, scontri e fortune, partendo dalla provincia di Milano. Bragatt comincia la sua carriera esibendosi in spettacoli comici in locali di provincia, ma capisce presto che preferisce le arti grafiche, un metodo veloce e diretto per arrivare alle persone.
Mentre parliamo poggia sul tavolo la tazza di caffè, sorride e dice “L’arte salva chi la fa”. E mi spiega, che il bello di fare arte è proprio partire dalle sconfitte e risalire la china.
Un suo sogno? Esporre al Moma di New York.
Ma quale opera esporrebbe? “Un’idea che riguarda la capacità di sognare, semplice e densa di significato allo stesso tempo: un cassetto gigante, vicino a un piccolo comodino. Realizzato, ovviamente, in marmo di Carrara!
Sappiamo ancora concederci il tempo per vedere i sogni che stanno nel nostro cassetto, o il cassetto è solo un posto per riporre ciò che non usiamo?”, aggiunge Bragatt.
Basquiat, Keith Haring, Pollock, Schifano, Guido Cagnacci, Gino de Dominicis, Domenico Gnoli, Jeff Koons, Damien Hirst, Julian Schnabel, Francesco Vezzoli, sono le fonti dalle quali Filippo Bragatt trae ispirazione e stimoli per esprimere il suo genio creativo. “Mi incuriosiscono e mi interessano le loro vite, ancor prima delle loro opere. Vite che si incrociano con città, metropoli, epoche e periodi storici completamente diversi”, spiega.
E mi racconta di Mario Schifano, uno dei più importanti artisti italiani della scena nazionale e internazionale degli anni Sessanta. Un Andy Warhol tutto italiano, dal carattere eccentrico e poliedrico, amante della bella vita e innamorato della sua Roma. “Con i soldi della sua prima mostra compra una MG bianca, e la guida senza patente, distruggendola contro un palo poco dopo”, riferisce accennando un sorriso.
Il tempo vola, e quando si avvicina il momento del saluto Bragatt conclude con un messaggio: “L’arte è rappresentazione della vita, allora è proprio da essa che si deve partire”.