UN VIAGGIO NEL TEMPO CON PAOLO VALENTI

UN VIAGGIO NEL TEMPO CON PAOLO VALENTI

Cosa manca in periodo di costrizioni pandemiche? Viaggiare! Anche il solo desiderare o immaginare un viaggio, organizzarlo, programmarlo sembra esercizio lontano e complicato. Chi per lavoro, in questi mesi ha comunque potuto o dovuto muoversi sa quante difficoltà, regole, vincoli e limitazioni ha dovuto affrontare per trovarsi poi a cercare gratificazione nelle piccole differenze dei contenimenti imposti. Ma il “viaggio” quello che fino a poco più di un anno fa potevamo organizzare senza tante complicazioni nel giro di una mezz’ora davanti al computer, quello che ci prometteva libertà, curiosità e sorprese, quello ce lo sogniamo. Leggendo Da Parigi a Londra, storia e storie degli Europei di calcio di Paolo Valenti, invece torniamo a viaggiare, anche nel tempo, seguendo la cadenza quadriennale di un torneo, gli Europei per nazioni, che non avrà l’aura del mondiale, ma che accompagna i ricordi di tutti gli appassionati dello sport più amato dagli italiani.

La bravura di Paolo Valenti è stata proprio quella d’inquadrare il periodo in cui si sono svolte le gare nel contesto storico dell’epoca stimolando così il ricordo dell’evoluzione avvenuta nel calcio e, in particolar modo, nella società di tutto il continente. Così, i vari capitoli di Da Parigi a Londra ci portano dall’Europa bloccata e divisa del 1960, quando proprio l’Unione Sovietica trionfava esaltando il blocco anticapitalista, fino all’ultimo successo del Portogallo nel 2016, primo trionfo del movimento lusitano non ricchissimo ma con il calciatore più famoso e “capitalista”. Un viaggio da oriente a occidente del vecchio continente, un viaggio nella storia, dai blocchi alla caduta del muro, dalla guerra jugoslava al trattato di Schengen, una storia di campioni, da Lev Jasin a Cristiano Ronaldo, un viaggio da nord a sud con le favole di Danimarca e Grecia. Dall’atmosfera rivoluzionaria del 1968 fino al terrorismo di matrice islamica passando per gli anni di piombo, ogni edizione viene inserita nell’ambito socio-culturale al quale appartiene con riferimenti che vanno poi a sfociare negli eventi del torneo.

Risultati, statistiche, tattiche, resoconto delle finali, le particolari evidenze specifiche di ogni torneo arricchiscono le pagine. Ma a esaltare i ricordi contribuiscono curiosità, aneddoti e retroscena capaci di catturare l’attenzione degli amanti del calcio: dalla storia della monetina che aprì le porte della finale del 1968 all’Italia al “cucchiaio” di Totti, dalle magie di Platini al pullman nel quale gli azzurri allenati da Zoff si rilassavano vedendo “Febbre da cavallo”. Dettagli che, in molti casi, vengono raccontati proprio dai diretti protagonisti scesi in campo per difendere la maglia azzurra.

L’extended play con le “voci” dei giocatori restituisce il sapore di quei momenti in maniera dinamica e coinvolgente. Ci sono le interviste inedite a Dino Zoff, Marco TardelliFranco Baresi, Gigi CasiraghiRuggiero Rizzitelli e altri. E quella a Michel Platini, ricostruita raccogliendo varie dichiarazioni rilasciate in passato dal protagonista principale degli Europei del 1984 in merito allo svolgimento della competizione.

Scoprirete così il primo gol del campionato europeo di calcio.  Chi era il giocatore più forte della Nazionale1968 secondo Zoff. Chi rese famoso il rigore a cucchiaio prima ancora di Francesco Totti. A quale concerto assistettero i giocatori olandesi prima di disputare la finale contro l’Unione Sovietica nel 1988. E un aneddoto non conosciuto della spedizione rassazzurra 2008 raccontato da Amelia che conclude dicendo: “… Quando si andava in aeroporto, dopo le partite, ci si riuniva in cerchio e si cantava. Cantavamo l’inno di Mameli. L’inno d’Italia”.

“Da Parigi a Londra, storia e storie degli europei di calcio” è edito da Ultra Edizioni, con la prefazione scritta da Stefano Meloccaro, giornalista di Sky Sport e voce di Radio Capital.

Paolo Valenti è un giornalista, coltiva da sempre due grandi passioni: la letteratura e lo sport, che ama raccontare e praticare. Collabora con case editrici e redazioni giornalistiche ed è opinionista sportivo in trasmissioni radiofoniche e televisive. Nel 2018 ha pubbli­cato con Ultra “Ci vorrebbe un Mondiale”. 

Fabio Conte

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UN’ICONA DEL CALCIO, EMOZIONI E RICORDI

UN’ICONA DEL CALCIO, EMOZIONI E RICORDI

La scomparsa di Paolo Rossi ha colpito gli italiani già provati da un anno infausto. La notizia, arrivata qualche giorno dopo l’addio a Maradona, non ha innescato solo un cordoglio calcistico, come per l’argentino, ma una commozione generale, della gente comune, anche di chi non seguiva il calcio. Chiunque non sia un millennial ha visto riaffiorare le emozioni che il Pablito nazionale scatenò nell’estate del un’icona del calcio; in tanti sono tornati a ricordare quegli anni.

Siamo nei mitici anni ’80 che lentamente si liberano delle tensioni terroristiche del precedente decennio, anni in cui si vogliono dimenticare le inquietudini politiche e si prende la vita con maggior leggerezza. Non lo sapevamo ma eravamo più ricchi, più liberi, più felici. E la vittoria del mondiale spagnolo, inaspettata e imprevista, segna la fine dei cupi anni ’70. Scatena una gioia irrefrenabile, la prima grande festa collettiva e aggregante, cancellando sinistra e destra, borghesi e proletari, politici e contestatori. Tutti sul carro dei vincitori, anzi su carri, carrette, macchine e motorini strombazzanti con tricolori di ogni foggia e materiale, urlando e cantando per paesi e città.

Un carro, quello azzurro, prima dei mondiali non sostenuto da gran parte della stampa sportiva che contestava al c.t. Enzo Bearzot la cocciuta scelta di portare in Spagna e schierare proprio Paolo Rossi, reduce da alcuni mesi di squalifica dopo un dubbio verdetto nel primo processo sul calcioscommesse. Ma la nazionale si compatta e pensa solo a giocare, mandando un unico rappresentante a parlare con la stampa, il capitano Dino Zoff, da sempre parco di parole.

Una buona squadra quella italiana, con giocatori che avremmo imparato a chiamare campioni e con un grande catalizzatore, l’eroe di quel mondiale: Paolo Rossi che, nella partita impossibile contro un Brasile stellare e danzante, inizia a segnare, ben tre gol, e si ferma solo in finale con la Germania, regalando di fatto l’unità al paese con la prima vera vittoria dell’Italia. Ecco perché Paolo Rossi non è solo un calciatore, ma un’icona, un dolce ricordo per chi abbia attraversato quegli anni.  Uno scricciolo di atleta con un sorriso più grande delle spalle, con la genuinità di un ragazzo qualunque. Non era di Prato, di Vicenza o di Perugia, non era juventino o milanista, Paolo Rossi era un ragazzo come noi, come cantava Venditti, solo un ragazzo italiano che giocava a pallone, con le ginocchia rotte ma rapido come un fulmine, detto “Pablito”.

La commozione all’inaspettata notizia della dipartita di Paolo Rossi ha innescato così, in coloro che hanno memoria di quei giorni, le emozioni e i ricordi di un mondo che non c’è più, di un’Italia, di una vita, di una semplicità perdute, uccise dalla tecnologia e dall’economia, affossate dal Covid. Come una novella “madele ine” con la sua scomparsa ha riportato alla vita la memoria di quei giorni, proprio quei giorni dei tre gol al Brasile, delle vittorie su Argentina e Polonia, siamo ritornati esattamente a quell’11 luglio 1982, con le persone presenti allora con noi, riabbracciandole e ribaciandole come in un sogno. Salutandoci, Pablito, ha fatto tornare emozioni dimenticate e, rammentandole, siamo stati ancor più tristi perché ci siamo accorti di quanto fosse bella quella vita, vissuta con innocenza e speranza. Alla fine, però, ci è scappato un sorriso, come uno dei suoi, ricordando che quando in giro per il mondo qualcuno ti riconosceva come italiano, gridava: “Paolo Rossi, Paolo Rossi!”

Fabio Conte

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