STORIE E VIAGGI RACCONTATI DA DUE ACCESSORI SENZA TEMPO

STORIE E VIAGGI RACCONTATI DA DUE ACCESSORI SENZA TEMPO

I foulard e le cravatte non passano di moda e basta un pizzico di creatività per indossarli in modi differenti.

La cravatta, da sempre considerata simbolo di eleganza, stile e raffinatezza, è tra gli accessori must del guardaroba maschile e femminile. Sono lontani i tempi in cui la si vedeva esclusivamente nelle occasioni formali o addosso a uomini d’affari dallo stile rigoroso. Oggi è scelta anche per il tempo libero ed è sfoggiata con i look più casual.

È stato Luigi XIV a sancire definitivamente la nascita di questo accessorio. Durante la guerra dei 30 anni, infatti, i foulard portati al collo dalle truppe croate non sono passati inosservati, e i soldati francesi ne sono rimasti così affascinati da volerli introdurre nel loro Paese. Ci ha pensato poi il Re Sole a decretarne il successo, istituendo persino la professione del “cravattaio”, che aveva il compito di annodare in modo impeccabile la cravatta del sovrano.

Il foulard, invece, è davvero antichissimo e lo testimoniano i ritrovamenti presso le civiltà orientali del 1000 a.C., in occidente, poi, appare dal secondo secolo d.C.

Il foulard moderno, inteso non solo con funzione pratica ma anche come accessorio degli outfit più raffinati, si afferma nel Novecento, e in particolare negli anni ’30.

La moda degli anni ’50 e ’60 suggeriva di indossarlo per ogni occasione: sulla testa, annodato sotto il mento e abbinato a un paio di occhiali da sole, come facevano Audrey Hepburn, Grace Kelly, Catherine Deneuve e Jacqueline Kennedy.

Hermès è la prima casa di moda a commercializzarlo, diventando l’icona del foulard per eccellenza con il suo carré in seta 90×90. Tra le maison che hanno creato foulard per le proprie collezioni: Dior, Yves Saint Laurent, Chanel e Givenchy in Francia, Gucci, Ferragamo e Roberta di Camerino in Italia.

Nel 2013, Kinloch si presenta sul mercato con una linea artigianale italiana di foulard e cravatte in seta stampata Made in Como, cuciti a mano con l’opzione di cucitura a macchina, ideati da Davide Mongelli con il designer e socio Francesco Fantoccoli.

Elementi distintivi del marchio sono le stampe che ogni stagione rappresentano un viaggio diverso. Russia, Messico, Napoli e Las Vegas sono alcune delle mete già realizzate, cogliendo luoghi, personaggi, dettagli naturali in maniera onirica e irriverente. Le misure dei foulard Kinloch si sono moltiplicate: dal classico carré 90×90, al più minimal 70×70, fino ad arrivare al 140×140, a cui si sono aggiunti triangoli per il collo. La cravatta è proposta in due lunghezze, affiancata dal papillon nelle sue due versioni: annodato o da annodare. La pochette da taschino è diventata un must have per il mondo giapponese, fondamentale negli outfit nonché portafortuna, mentre i fazzoletti vengono legati alla borsetta, al polso o al collo per dare al look un tocco di originalità e colore.

Nel tempo, le collezioni sono cresciute e si sono ampliate, ed è l’India la nuova tappa dei viaggi Kinloch per la stagione autunno/inverno 2021.

Cravatte, foulard di tutte le misure, coloratissimi fazzoletti in seta o cotone sono valorizzati da scene di fachiri, ballerine, incantatori di serpenti…  e poi fauna selvatica tra tigri del Bengala, elefanti e caleidoscopiche fantasie arabesque. Il Taj Mahal compare imponente su ampi fondali colorati, mentre danzatori e maestri di yoga si allineano in posa ad adornare sete di ogni tipo, insieme a pavoni e scene romantiche indiane.  Tra le stole, o hijab, si presenta poi una new entry: una sciarpa in flanella realizzabile in più misure.

Per il menswear,  una linea di camicie cucite dai noti camiciai di Napoli in due modelli: Hawaii e Regular, con possibilità di scelta tra seta e cotone; invece per il mondo femminile sono presenti anche una serie di fasce lisce o intrecciate e shu-shu, elastici in seta o cotone stampato. Per completare la collezione: calzini (short e long) per lei e per lui.

Il brand ha creato anche l’Itinerario su Misura, una novità assoluta nel mondo del carré. Basta, infatti, un click sul menu “Personalizza” dell’e-shop Kinloch per diventare designer del proprio foulard, decidendone la texture, lo sfondo e il bordo, con l’opzione aggiuntiva per ricevere il foulard cucito a mano o a macchina e scegliere la fantasia preferita.

Il successo del marchio italiano ha permesso la conquista di alcuni dei più importanti department store soprattutto in Giappone, in Europa, negli USA, nel Far East, e, in Italia, la conquista della Rinascente e  di diversi multibrand nelle città di Milano, Roma, Firenze e Torino.

Simone Lucci

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PRESENTE E PASSATO DEL MADE IN ITALY

PRESENTE E PASSATO DEL MADE IN ITALY

Quante volte molti di noi comprando un capo d’abbigliamento, scarpe o accessori, si domandano: “Sto acquistando realmente un prodotto Made in Italy?”

Il gusto, la manifattura, l’artigianalità, la qualità del nostro Paese sono invidiate in tutto il mondo, tanto che i brand italiani sono corteggiati e spesso anche acquisiti da società estere.

Il sentore che qualcosa nel Fashion System stia cambiando e che molte aziende siano adocchiate da realtà estere lo avvertono i buyer andando a comprare per i vari show-room e dialogando con i rappresentanti. E purtroppo in tanti casi è già vero: molte aziende non sono più italiane.

Era il 1967 quando venne fondato il brand Fiorucci, lo stilista Elio che negli anni 70-80 ebbe la sua massima popolarità. Purtroppo non tutto è destinato a durare, infatti, nel 1990, l’azienda Fiorucci venne rilevata dalla Edwin International, società giapponese che possedeva la licenza e la proprietà di diverse aziende, per poi passare alla Società inglese Schaeffer, che finora è a capo del marchio.

Ci sono fondi di investimento, come il francese Kering, un vero e proprio colosso globale del lusso che ha acquistato diverse maison tra cui il brand Gucci, fondato da Guccio Gucci nel 1921 a Firenze. Marchio di fama internazionale e un’icona della Dolce Vita che oggi, sotto la guida dello stilista Alessandro Michele, sta avendo nuovamente un enorme successo.  Gli italianissimi Bottega Veneta, Pomellato, Dodo e Brioni sono passati anch’essi al gruppo Kering.

La rinomata e amata Maison Valentino nasce negli anni ’60, quando si afferma la Dolce Vita, e resta italiana fino al 2012, anno in cui il fondo di investimento Mayhoola, con sede in Qatar, acquista l’azienda.

Emilio Pucci, Loro Piana, Fendi e Bulgari sono state acquistate negli anni dal gruppo LMVH, multinazionale francese che conta oltre 70 marchi ed è quotata alla Borsa di Parigi.

Tra i casi che hanno tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace, il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per 2 miliardi di dollari, anche se Donatella Versace, che ha preso le redini dell’azienda dopo la morte del fratello Gianni nel 1995, ha mantenuto assieme al fratello Santo una piccola quota.

Era il 1991, in gran voga il jeans a vita bassa e Miss Sixty, leader di questa tipologia di pantalone. C’era anche Energie, balzato nell’olimpo per la vestibilità più street del jeans. Un destino comune quello delle due aziende che, insieme al marchio Roberta di Camerino, Murphy Nye e RefrigiWear®, vengono cedute nel 2012 a un fondo di investimento panasiatico.

Le aziende vendute a società estere sono tante, ma in tutto questo notiamo anche qualche azione in contro tendenza: nel 2003 l’azienda francese Moncler è stata acquistata dall’imprenditore italiano Remo Ruffini e, nel 2020 Stone Island entra a far parte di Moncler.

Diesel, dello stilista veneto Renzo Rosso, Dolce & Gabbana, fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, sono altri esempi di brand nati e conservati nel nostro Paese. Poi ancora: Moschino, Max Mara, Salvatore FerragamoEtro e Missoni. E Prada (fondata a Milano nel 1913 dai fratelli Mario e Martino Prada con il nome Fratelli Prada, e poi negli anni gestita da Miuccia Prada e dal marito Patrizio Bertelli) è diventata una SPA, alla quale appartengono altri brand, tra cui Miu Miu, Church’s, Car Shoe, Fondazione Prada, e mantiene il domicilio in Italia. E poi c’è lui, re Giorgio (Armani), con la sua azienda fondata insieme a Sergio Galeotti nel 1975.

Una cosa è certa: venduti oppure no, i marchi del Made in Italy hanno una marcia in più.

Cristiano Gassani

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