NOBU MATSUHISA ALL’HOTEL CALA DI VOLPE

NOBU MATSUHISA ALL’HOTEL CALA DI VOLPE

Lo chef Nobu Matsuhisa è proprietario di un impero di ristoranti in partenership con Robert De Niro. La sua cucina giapponese presenta nette influenze tipiche dell’America Latina. In ogni pietanza accosta: dolce, salato, amaro, acido, umami. E utilizza un massimo di cinque prodotti, perché sostiene che troppi elementi restituiscono un sapore confuso al piatto.
Quest’estate la cucina dello chef Nobu Matsuhisa è protagonista all’Hotel Cala di Volpe, tra o paesaggi mozzafiato e le acque color smeraldo. La partnership tra Matsuhisa e l’Hotel Cala di Volpe è iniziata nel 2018, con un progetto pop-up, poi consolidata nel 2019 con l’apertura del ristorante serale Matsuhisa at Cala di Volpe, situato nell’ala originale dell’hotel con vista mozzafiato sulla baia glamour del Mediterraneo.

Quest’estate il ristorante rivela nuovi angoli romantici: i tavoli sul pontile e sul giardino in riva al mare. Poi gli interni completamente rinnovati grazie al sapiente lavoro degli architetti Moinard & Bétaille, per un’esperienza elevata che continua al Matsuhisa Lounge anche dopo cena con l’after-dinner con dj set e cocktail d’autore tutte le sere.
Tutto cominciò nel 1994 quando il primo Nobu venne inaugurato a Tribeca, New York, e il suo piatto icona, il “black cod”, pesce glassato al miso, divenne subito il piatto più ordinato, indelebile nella memoria, un vero signature-dish che si prestò a caratterizzare tutte le future aperture di quella che è oramai una catena di ristoranti di lusso. Nobu è l’uomo che, insieme ad altri soci, fra cui l’attore premio Oscar Robert De Niro, ha letteralmente inventato uno stile giapponese moderno di cucina. La sua è infatti una formazione classica da sushi man, maturata a Tokyo, ma profondamente influenzata dalle esperienze in Perù e Argentina, con cui ha segnato una nuova tendenza nella cucina giapponese. Fra i piatti-icona, oltre a Black Cod Miso, servito in tutti i ristoranti dall’estremo Oriente all’Europa, inclusa Milano, anche il Yellowtail Sashimi con Jalapeño (tonno pinna gialla con peperoncini piccanti), il Tiradito Nobu Style (un sashimi peruviano), il Lobster with Wasabi Pepper Sauce (aragosta con wasabi piccante).
Nato in Giappone, Nobu Matsuhisa ha avuto modo di viaggiare molto durante la sua carriera, dal Perù all’Argentina, fino all’Alaska, per poi trasferirsi a Los Angeles. Nel corso della sua esperienza professionale, ha sviluppato il suo iconico stile di cucina “Nobu Style”, e ha introdotto un nuovo concetto nella cucina giapponese, includendo elementi internazionali. Nell’arco degli anni ha costruito un impero nel settore gastronomico, ma la radice della sua cucina si è sviluppata padroneggiando l’arte del sushi.

TOSCANA IN TAVOLA

TOSCANA IN TAVOLA

Grandi tele dell’artista toscano Marco Boni e candele accese anche di giorno per creare una calda accoglienza, sui tavoli ricavati da fasciami affondati sulla costa toscana arriva lei, succosa, tenera, cotta alla perfezione: La Fiorentina.

“Siamo celebri per l’iconica Bistecca alla fiorentina, e anche per tartare, hamburger, filetto, controfiletto, costata e altri piatti di carne. Qui, tutto Made in Tuscany. Siamo orgogliosi di essere in Toscana, regione celebre nel mondo per le bellezze artistiche, paesaggistiche e per l’enogastronomia, ecco perché abbiamo scelto il nome ‘i Tuscani’. Fin dal principio abbiamo deciso di offrire ai nostri clienti prodotti regionali –  precisa Enrico Burberi, titolare del ristorante -. Svolgiamo un approfondito lavoro di ricerca nel territorio, proponiamo formaggi, salumi e altri alimenti riconosciuti come PAT (Patrimoni Agroalimentari Tradizionali), sono 456, che oltre al gusto eccellente esprimono la storia e la cultura di queste zone”. Alla bistecca è abbinato ‘Tenuta Campo al Mare’ un taglio bordolese classico, rotondo e di ottima struttura, che si muove verso un sapore ricco e intenso, ma ben equilibrato.  È uno dei vini rappresentativi e conosciuti della zona di Bolgari, della cantina Ambrogio e Giovanni Folonari, nasce dall’assemblaggio di quattro nobili vitigni francesi: Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Petit Verdot. Il sorso morbido, aromi intensi di amarena, piccoli frutti di bosco e sfumature speziate. Il vino si sposa anche con il ricco tagliere che comprende i crostini di fegatini di pollo, la finocchiona, il Capocollo di cinghiale, il prosciutto di grigio, la salsiccia di cervo, i salumi del mugello e un formaggio di mucca stagionato 24 mesi da accompagnare con la mostarda.

“Lavoriamo con fornitori che condividono la nostra filosofia, che si prendono cura con passione degli animali allevati e si interrogano sull’impatto ambientale. Ciò che facciamo celebra il meglio del loro lavoro, frutto di colture consapevoli e sostenibili: per questo motivo, quando ti serviamo le bistecche alla fiorentina e gli altri nostri piatti te li presentiamo con tutta la passione possibile”, spiega Burberi, Ma qual è l’iter e a cosa serve la frollatura? “Da noi arriva la lombata, lo chef la porziona, generalmente 1 kg, 1,3 kg., dipende dalla razza e dalle dimensioni, poi si passa alla frollatura (meat aging, in inglese) il processo chimico-fisico naturale di maturazione della carne che ha l’obbiettivo di rilassare le fibre così da fargli acquistare maggiore morbidezza, gusto e digeribilità.

Frolliamo le nostre carni dai 45 ai 50 gg, ma anche 75 gg, dipende sempre dal tipo di carne. Viene fatta scegliere al cliente. È tutto molto semplice.”

E la cottura? “A i Tuscani sono 10 anni che prepariamo bistecche, e da noi le si mangia solo al sangue!”

Cosa ne pensa della carne sintetica? “Di carne coltivata in laboratorio se ne parlerà sempre più, ovviamente. Noi portiamo sulla tavola ‘la Toscana più vera e genuina’ e l’approccio che abbiamo è di rispetto estremo verso l’animale, di cui nobilitiamo ogni parte. Dobbiamo poi considerare altri aspetti: in primis, la carne artificiale non costituisce la risposta alle problematiche etiche, di sostenibilità e di salute derivanti dall’intensificazione degli allevamenti, e poi non possiamo sapere adesso gli effetti che potrà portare a medio e lungo termine sulla salute delle persone”, risponde Enrico Burbieri.

Al termine di ogni pranzo e cena: Amaro Ipa, un fernet che ricorda il profumo intenso delle birre artigianali di stile IPA, con sentori di genziana e un retrogusto al luppolo; grappa monovitigno di Brunello di Montalcino della Distilleria Urbana Italia (Route 222 Argento), Route 222 è la via Chiantigiana, la strada che da un quartiere di Firenze si inerpica verso le colline del Chianti, per proseguire poi sotto Siena; Liquore Ratafia di Amarene – DU:IT dove le ciliegie vengono sciroppate, infuse nell’alcool e nel vino rosso di Montepulciano d’Abruzzo. E, della stessa distilleria, la Grappa della Felicità. Sambuca alle erbe aromatiche, grappa Maremmana, grappa Tiburzi, di Cipriani Liquori, una piccola azienda artigianale di liquori e grappe, di Capalbio. Tutte bottiglie lasciate sul tavolo al cliente.

Guarda il video: https://www.instagram.com/reel/C3n_XCXIR9j/?igsh=NzBjbXI1a21sMWhv

Clementina Speranza

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L’EVOLUZIONE DEL FOOD AND BEVERAGE

L’EVOLUZIONE DEL FOOD AND BEVERAGE

Nell’era moderna, che si tratti di moda, motori, food o mixology si avverte una percezione nostalgica verso il passato.

L’ ambiente della cucina non è più semplicemente il luogo dove si preparano i pasti, è diventato anche il cuore pulsante di una rivoluzione culinaria dove il controllo sulla gestione è fondamentale.

In un mondo sempre più attento all’ecologia e all’etica alimentare, la cucina si evolve non solo nella preparazione dei piatti, ma anche con i valori che abbraccia.

Nell’attuale scenario post pandemia, il Food&Beverage ha reimpostato molte regole e abitudini esistenti da tempo, che sembra abbiano fatto ingranare il “turbo” al settore. Il comparto, infatti, è al 2° posto nell’ industria manifatturiera italiana. È fiore all’occhiello della nostra economia e sta attraversando una fase di profonda trasformazione sotto l’impulso inarrestabile dell’innovazione digitale.

I nuovi paradigmi dell’Industria 4.0 permettono al settore di rispondere con efficacia alle attuali sfide di sicurezza, tracciabilità e qualità. Da qui l’inevitabile creazione di nuove figure professionali, che spesso pur nascendo nella ristorazione evolvono le loro cariche e mansioni, che si avvicinano sempre più a quel mix tra food&beverage e imprenditoria.

A metà novembre, in Versilia, si è tenuta una convention della durata di due giorni  presieduta da Emiliano Citi.

La sua aura carismatica cattura l’attenzione in sala.

Un taglio di capelli moderno, una lunga barba e il tutto ben curato aggiungono anche un tocco di fascino, ma è la sua abilità nel presentare idee innovative che davvero colpisce.

Lo abbiamo incontrato giorni dopo per un’intervista nel suo nuovo ufficio, una struttura molto bella e dal gusto ricercato, che trasmette l’essenza di questo innovatore.

La stretta di mano decisa, infonde da subito la sua sicurezza e Citi irradia l’ambiente con la sua personalità. “Sin da giovane mi sono dato molto da fare cercando di fare carriera e ho cercato di migliorarmi. Ognuno di noi si ispira a qualcuno/qualcosa, e grazie al film Cocktail, io ho capito che il mio settore era quello del Food&Beverage”, racconta Citi. Cocktail è un film del 1988 diretto da Roger Donaldson, con protagonista Tom Cruise. Narra la storia di un giovane barman (Tom Cruise), che con la sua professione si divide tra serate, divertimento e gentil sesso.

Ispirato dalla produzione hollywoodiana, Citi, originario di Pisa, cresciuto a Viareggio, parte come cameriere in un bar della città del Carnevale. Poi entra in Polizia, perché fin da piccolo era il suo sogno, ma purtroppo o per fortuna, ha un brutto incidente, che lo fa riformare, e quindi torna alla sua prima passione, ovvero lavorare come Barman. È il 1994, e inizia a dividersi tra i molti locali della Versilia, vivendo la notte come il giorno. 

Inizia a viaggiare intorno al globo, rinunciando ad alcune offerte di lavoro più cospicue in Italia, per andare circa 4 mesi al Club Med al Resort Alpe d’Huez, per riuscire a imparare il francese, appassionandosi così di lingue. “Sono un curioso della vita, ma soprattutto delle lingue, le ho imparate attraverso viaggi, ma anche con l’utilizzo dei mass media”, racconta l’imprenditore.

Una carriera in crescita quella di Citi, che lo porta a diventare food&beverage Manager di importanti realtà, ma anche a lavorare sulle navi da crociera. Un affamato di esperienze, che fanno in modo che il suo curriculum cresca. “Uno dei miei mantra è ‘si fa quello che si dice’, facendo sempre attenzione al dettaglio”, precisa Citi.

Nella nostra chiacchierata, Citi, spiega che imparare dal fallimento è diventato un luogo comune nel mondo del Business. Infatti lui stesso, trae insegnamento da un fallimento lavorativo.

Nel 2015 inizia a lavorare come insegnate all’Alma, la scuola di alta formazione per la cucina. “Ma è nel 2016 che dopo un malessere, che risvegliatomi in ospedale, a Bologna, ho capito che dovevo cambiare qualcosa nella mia vita, anche per il figlio che in quell’anno aveva appena 4 anni”, rievoca Citi.

Inizia, così,  a fare consulenze rimanendo incredulo lui stesso: “questo mondo nuovo pendeva dalle mie labbra!”.

Inizia a capire che grazie a dei metodi di gestione imparati negli Stati Uniti, era bravo sui costi di gestione.

Ristobusiness è oggi la sua azienda, offre analisi strategica ed economica, consulenze private, qui Citi è socio unico, con 25 collaboratori all’attivo e ha chiuso il 2023 con un fatturato che supera 1 milione di euro.

“Il 2023 è stato l’anno del mio cambiamento aziendale, ho reimpostato la struttura del mio Brand principale, e a questo si è aggiunto un restyling dell’altra società chiamata Tomato, specializzata in software gestionali della ristorazione”, precisa Citi, il visionario con la capacità di semplificare tutto puntando unicamente verso l’obbiettivo finale.

Cristiano Gassani

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IL CORKAGE FEE IN POSTERIA

IL CORKAGE FEE IN POSTERIA

Cos’hanno in comune Trussardi alla Scala, Cracco, Al Pont de Ferr, Manna e La Posteria di Nonna Papera?

La città di Milano. La passione per la cucina. E il “diritto di tappo”, in inglese corkage fee, una pratica consolidata negli Stati Uniti che si è diffusa in Canada, Australia, Nuova Zelanda. E ora anche in Italia.

A inventarla, collezionisti e appassionati di vino che chiedevano al ristoratore di fiducia il permesso di portare una bottiglia da casa per consumarla durante il pasto. Da una parte questo permetteva loro di pasteggiare con il vino preferito, dall’altra consentiva al locale un risparmio. Piano piano la pratica si è diffusa nei ristoranti americani, che hanno deciso di pubblicizzarla.

Oggi ci sono quindi parecchi BYOB (Bring your own bottle o bring your own booze), ristoranti basati sul “corkage fee”, dove si paga un compenso prestabilito per il servizio di un vino, non presente nella carta, che il cliente intende consumare al tavolo. In alternativa, il costo del servizio potrebbe coincidere con il costo della bottiglia meno cara del menù. Ogni ristoratore sceglie la propria politica.

“Porti la tua bottiglia e paghi solo il servizio che sarà di 2 euro a calice: stappatura bottiglia, lavaggio bicchiere e utilizzo di decanter o glacette. Puoi portare massimo una bottiglia ogni 2 persone”, precisa Lamberto Frugoni, titolare di La Posteria di Nonna Papera. Il servizio, sottolinea, deve avvenire in modo assolutamente corretto e tocca al personale di sala prendersi cura della bottiglia. “Controlleremo la temperatura di servizio, porteremo il calice appropriato, e ci occuperemo della decantazione, se necessaria – chiarisce Frugoni –. Da giugno, poi, offriremo questo servizio per presentare un aperitivo diverso.  Proporremo i “cicchetti”, una sorta di tapas, un’ampia scelta di bruschette all’italiana, salumi, formaggi e piccole porzioni del menu: mini tartare, rigatoni al sugo di brasato, pennette al sugo di ossobuco”.

La Posteria di Nonna Papera, aperta dal 2005, vanta oltre 200 etichette di vini, dal nord al sud Italia. “Non chiamatelo wine bar, né ristorante, è una posteria, una delle poche rimaste. Per questo ho scelto questo nome. ‘Posterie’ erano le latterie milanesi: negozi di generi alimentari dove ci si poteva accomodare e bere un bicchiere di vino”, spiega Frugoni. ‘Nonna Papera’: come il famoso e divertente ricettario ‘Il manuale di Nonna Papera’, col quale tante generazioni hanno scoperto la passione per la cucina e le appetitose ricette ispirate ai cartoni animati di Walt Disney.

In cucina? “L’ex direttore del Ribot, lo storico ristorante con giardino dall’ambiente a tema ippico: Paolo Peraldo, capelli bianchi, piemontese, pignolo. Compriamo unicamente le materie prime che dice lui: la tagliata di controfiletto di scottona, il lardo di colonnata per i soffritti, i pomodori Pachino per la salsa, il ganassino di manzo per il brasato…”, precisa Lamberto Frugoni.

La cucina è piemontese, milanese, regionale italiana. E poi ci sono le chicche: “I formaggi di Vittorio Beltrami, i salumi dei Fratelli Billo e K. Bernardi, le mostarde artigianali, l’olio proveniente da un agriturismo toscano. Tutte le materie prime sono di piccoli produttori”, spiega Frugoni. La forza del ristorante sta nel Made in Italy, e anche nell’ironia del titolare che elenca il menu, col cellulare in mano, scorrendo le foto dei piatti: “Rustin negàa, manzo all’olio, tonno di coniglio, agnolotti del plin, cotoletta alla milanese rigorosamente di vitello, fritta nel burro chiarificato…”, solo per citarne alcuni.

Clementina Speranza

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