UN TALK CON THE NORTH FACE E LIFEGATE

UN TALK CON THE NORTH FACE E LIFEGATE

La moda si interroga sul suo prossimo futuro e come dovrà contribuire alla transizione verso l’economia circolare. La Comunità Europea ha tracciato un percorso chiaro verso la sostenibilità della produzione di capi di abbigliamento che accompagnerà i brand da qui fino al 2030, data in cui dovrà essere raggiunto l’obiettivo. 
Il 12 ottobre, nello store Orefici 11, a Milano, si è svolto un talk che ha affrontato il tema della moda circolare e ha messo a confronto giornalisti, professionisti del settore e Lifegate, network di informazione e servizi a sostegno di tutti i soggetti che lavorano per un ambiente sostenibile.
Consapevoli che la moda è uno dei settori che dovrà contribuire all’economia circolare, quale è lo stato dell’arte? Su cosa stanno lavorando i brand del settore? A questi e altri interrogativi sono stati invitati a rispondere: Ilaria Chiavacci (giornalista che si occupa di moda, sostenibilità, ambiente, sport e outdoor), Julian Lings (The North Face Senior Sustainability), Silvia Stella Osella (consulente creativa), Matteo Aghemo (co-founder di Must Had). A moderare il dibattito Tommaso Perrone (Direttore di LifeGate).

A che punto siamo da qui al 2030 per rendere il settore della moda più riciclabile? “La questione della sostenibilità della produzione di capi di abbigliamento risale agli anni 70, ma l’idea che le risorse fossero illimitate e la innata capacità del pianeta terra a mantenere in equilibro l’ecosistema, ha fatto si che solo oggi, dopo l’evidenza scientifica del cambiamento climatico in corso, si prenda reale coscienza del problema – risponde Ilaria Chiavacci -. La nascita del fast fashion, la produzione di grandi quantità di abiti a costi bassi, con un elevato numero di collezioni durante l’anno, ha spinto tutti i brand a una sovraproduzione. Il consumatore si è abituato a un continuo inserimento di prodotti nuovi che ha spinto anche i brand di pret-a-porter a produrre un numero maggiori di collezioni.
Ora siamo arrivati a una sovraproduzione eccessiva. Si stima che ogni cittadino dell’unione europea compri annualmente circa 26kg di prodotti tessili, che equivale a circa 650kg di CO2 nascosta. Ed è avvilente scoprire che molti di questi abiti non riusciamo neanche a indossarli, solamente in Italia finiscono in discarica 1,5 tonnellate di rifiuti tessili ogni anno.
Nel 2013 la tragedia in Bangladesh, del crollo di un palazzo in cui stavano lavorando molti operai nella manifattura tessile, con migliaia di morti, è stato uno spartiacque. Da allora sempre più brand hanno cominciato a pensare ad una produzione che sia sostenibile per l’ambiente. 
In sostanza oggi, l’Europa ci chiede di produrre meno, è stato preparato un documento programmatico che ha l’obiettivo di arrivare nel 2030 ad avere le aziende di moda con una produzione che soddisfi determinati requisiti. Le aziende sono obbligate a pensare il nuovo prodotto con una ottica circolare fin dalle prime fasi del design per giungere fino al fine vita, solo così sarà a ridotti consumi di energia e di acqua. L’introduzione dell’utilizzo delle fibre riciclate non sarà sufficiente a limitare la CO2 se continuiamo a produrre in sovrabbondanza. La moda deve abbracciare l’economia circolare e per fare questo deve adottare la capacità di produrre nuovi capi partendo da quelli vecchi”.

Fin dagli anni 70 avete iniziato un percorso per migliorare il brand. Come cambia l’azienda?
The North Face è una azienda che fin dagli anni 60 è stata sempre qualcosa di più di un brand, i fondatori avevano una visione molto chiara sulle sfide del mondo, come affrontare le tematiche dell’ambiente e delle problematiche sociali dei lavoratori – precisa Julian Lings -. La circolarità nel nostro settore non era assolutamente presa in considerazione, solo pochi brand avevano la sensibilità per valutare l’impatto ambientale della produzione tessile, mentre ora tutti i brand dovranno darsi una vera regolamentazione. Noi abbiamo iniziato ben prima che se ne parlasse, il reparto di ricerca e sviluppo e la produzione ha sempre collaborato con gli atleti, al fine di garantire dei prodotti con alte performance e con la prerogativa di durare molto nel tempo, mantenendo le sue specifiche caratteristiche tecniche.
Nel ’71 è stato aperto il dipartimento di durabilità e riparabilità. Abbiamo iniziato con l’obiettivo di incrementare la longevità degli articoli, offrendo il servizio di riparazione dei prodotti.
Se piace il prodotto, ma si è rotta la cerniera di uno zaino per usura, noi possiamo ripararlo. E questo vale anche per un giubbotto, i segni dell’usura o piccoli tagli sulla stoffa si possono riparare andando così a creare un prodotto unico, cioè l’imperfezione diventa unicità. Tale prodotto andrà a creare una connessione con chi lo indossa, un rapporto speciale che ti accompagna nel tempo. Purtroppo, a livello globale, stiamo producendo troppi rifiuti, quindi parlando con altri brand, abbiamo deciso di produrre prodotti di alta qualità che durino nel tempo e che si possano riparare e al termine del ciclo di vita sia possibile il suo riciclo. Questo è il processo di economia circolare.
È fondamentale decidere la circolarità nel momento del design, abbiamo sempre realizzato prodotti ad alta tecnologia e con lunga durata ma ora entra in gioco una nuova variabile: dobbiamo pensare alla circolarità. Cioè quando il prodotto rientra da noi deve essere scomposto per tornare materia prima e questo processo deve essere pensato nella fase di progettazione. Il percorso verso il riciclo è iniziato negli anni ’90 e possiamo affermare che oggi siamo arrivati a utilizzare il 90% di materiale riciclato. Ma questo non basta. Il nostro obiettivo non è solo raggiungere la piena economia circolare, ma dobbiamo fare cultura per portare nuovi valori al consumatore. Dobbiamo essere capaci di raccontare la storia del prodotto, dall’utilizzo di materie prime riciclate al difficile processo produttivo, fino a far comprendere l’importanza della sua durabilità con la possibilità di essere riparato e non gettato come rifiuto”.

Stiamo vivendo un periodo storico dal punto di vista delle opportunità, oggi ci sono delle regole ben precise che ci impongono di cambiare il modo di produrre. Durante la mia carriera lavorativa sono venuta a stretto contatto molti player che producevano filati o capi di moda con un eccesso di spreco – afferma Silvia Stella Osella, consulente creativa che dal 2009 guida il brand -. Piccole imperfezioni durante il processo produttivo, ad esempio un’imperfezione della trama della stoffa, era sufficiente per decidere di buttare al macero o letteralmente bruciare chilometri di stoffa. Ed è veramente sconsolante vedere che intorno a te non c’è nessuna volontà, da parte di ogni attore della lunga filiera coinvolto nella produzione di un capo, di percorrere la strada della sostenibilità. Dobbiamo arrivare al 2014 per cominciare a vedere produttori che pensavano alla sostenibilità ambientale. I primi passi si sono fatti sulla riduzione dell’inquinamento delle falde acquifere e nel rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro della manodopera impiegata. Prima non esisteva nessuna forma di collaborazione fra i vari soggetti della filiera, tutto era segreto, mentre da qualche anno si comincia a mettere in rete la conoscenza, a condividere le tecniche e i processi produttivi. Questo processo di condivisione sta subendo un’accelerazione grazie alle start-up che oggi lavorano su piattaforme open-source, dove si mette in rete le conoscenze nella ricerca, il design, e l’industria. Adesso il mercato della moda etica a basso impatto è variegato ed è molto più accessibile alle persone. Finalmente dopo tanti anni se ne parla”. 

Matteo  Aghemo è co-founder di Must Had, insieme a Arianna Luparia, Eugenio Riganti. Nata 3 anni fa, Must Had è una startup di abbigliamento upcycled, è una vetrina per i designer che creano capi rigenerati, un marketplace online che riunisce stilisti e brand artigianali che vendono prodotti generati partendo da scarti tessili o provenienti da altre industrie.  L’idea alla base del progetto è semplice: riutilizzare ciò che già esiste e allungare la vita dei vestiti significa anche allungare la vita del pianeta. Everything deserves a second chance, tutto si merita una seconda opportunità, è il motto. “Must Had è un gioco di parole, per imparare a guardare quello che c’è già – spiega Aghemo -. Must have è un prodotto che dobbiamo assolutamente avere, il cui bisogno è spesso creato ad arte dal marketing. Mentre, coniugando il verbo al passato, must had, si vuole sottolineare che non è necessario produrre un capo nuovo perchè sicuramente c’è già, è possibile utilizzare risorse che sono già disponibili e che spesso chiamiamo scarto.
Offriamo supporto alle aziende per gestire in modo circolare lo scarto di produzione, l’eccesso di magazzino, l’invenduto, i capi difettati, andiamo a identificare gli scarti così da poter dare una seconda vita al prodotto. Per fare questo abbiamo creato una community, un contenitore digitale del lavoro manuale degli artigiani, che allunga la vita al prodotto inserendolo nel circuito di vendita in un nuovo modo”.

A che punto siamo verso una moda completamente sostenibile? Che percentuale daresti al completamento del processo sostenibile?

C’è chi nasce come brand circolare, c’è chi ci pensa dagli anni ’70 e c’è chi ha iniziato 5 anni fa. Bisogna creare maggiori collaborazioni, fare sistema per creare nuovi processi produttivi. Bisogna ricreare la filiera, da quando inizi a pensare e a disegnare il capo a quando arriva il fine vita. In mezzo c’è un mondo di fornitori che devono essere tutti coinvolti. Inoltre, il riciclo di fibre miste diventa difficile, e qui ci devono aiutare le nuove tecnologie e l’industria chimica.
Al 2030 manca pochissimo, siamo al 50% e la strada è molto lunga. Nel 2021, dopo il rallentamento dovuto al Covid, abbiamo ripreso la produzione tessile con un nuovo record di 113 milioni di tonnellate, sembra quasi che la fast fashion stia diventando ultra fast fashion. Purtroppo i colossi del fashion sono molto indietro, non stanno rivoluzionando il loro modello di business.
In questo nuovo modello è importante la consapevolezza del consumatore. Dobbiamo imparare a raccontare la storia del prodotto, per fare comprendere il suo vero valore. C’è un percepito sbagliato sul valore economico dei capi che indossiamo, ad esempio, molti sono disposti a spendere 20 euro per una bottiglia di vino da consumare in una sera, ma non per una t-shirt che ti dura per 15 anni. Purtroppo la moda etica e sostenibile oggi costa di più, dobbiamo aumentare la produzione per contenere i prezzi. Per ultimo, ma fondamentale per la circolarità, il prodotto riciclato al termine della sua vita deve essere rispedito al produttore, e qui bisogna fare un’azione importante di comunicazione per educare il consumatore.

Stefano Rovelli

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ELEGANZA SENZA TEMPO NELLA CAPSULE COLLECTION N°21 X WOLFORD

ELEGANZA SENZA TEMPO NELLA CAPSULE COLLECTION N°21 X WOLFORD

I protagonisti degli scatti total black and white di ispirazione 90s sono abiti ricchi di femminilità che fanno sognare a occhi aperti e trasmettono l’essenziale alluré parigino. Ma non solo femminilità. Sensualità, eleganza, artigianalità, geometria e attenzione per i dettagli, infatti, sono gli ingredienti della nuova liaison creativa che coinvolge due realtà del settore moda.

Da un lato Wolford, marchio dello skinwear e nello shapewear che dal 1950 resta fedele al suo DNA classico, dall’altro N°21 di Alessandro Dell’Acqua che possiede una visione sofisticata e concettuale dell’estetica moderna. “Siamo molto lieti di collaborare con Alessandro Dell’Acqua e N°21 – afferma Silvia Azzali, CCO di Wolford –. I nostri valori condivisi rendono la collaborazione perfetta. Siamo entusiasti al pensiero di unire la nostra esperienza con l’estetica unica di N°21 per creare una collezione veramente speciale”. La collaborazione ha dato vita a Sophisticated Femmininity, una capsule collection di capi in grado di mescolarsi ed essere adatti dal mattino alla sera. La collezione è arricchita da elementi certificati biodegradabili al 100% e materiali green come la pelle vegana con cui sono realizzati: leggings, jumpsuit e gonne.

I micro abiti con decorazioni in pizzo a contrasto, body con dettagli cut-out, collant che giocano con ricami e trasparenze si possono abbinare senza difficoltà, secondo il proprio gusto personale, anche a reggiseni e slip capaci di valorizzare la silhouette.

La capsule di N°21 e Wolford rispecchia le tendenze attuali più ricercate come le trasparenze, i lunghi guanti o i choker voluminosi e le reinterpreta in chiave classica. “Il fine è creare una collezione che celebri la bellezza, l’eleganza senza tempo e la forza delle donne, spingendo al contempo i confini del design e dell’artigianalità sostenibile”, precisa Alessandro Dell’Acqua.

Simone Lucci

MILANO FASHION WEEK 2022: IN PASSERELLA LA FEMMINILITÀ

MILANO FASHION WEEK 2022: IN PASSERELLA LA FEMMINILITÀ

L’ultima edizione della Milano Fashion Week ha segnato un nuovo inizio. Un senso di rinascita ha pervaso la città costellata di eventi in cui la moda è tornata finalmente protagonista.

La settimana della moda milanese andata in scena dal 22 al 28 febbraio 2022 ha visto infatti un ritorno agli show in presenza e un ricco calendario di sfilate e presentazioni che hanno dettato le tendenze del prossimo autunno inverno 2022-2023

La diffusa consapevolezza di un inevitabile cambiamento dello stile di vita nel post pandemia unita, al contempo, a un desiderio di ritrovare quell’antecedente modo di essere, di pensare e di agire ha ispirato le scelte stilistiche dei designer. Una contaminazione spinta dalla voglia di ritornare a ciò che eravamo prima del covid ma con uno sguardo fiducioso verso il futuro.

Per inciso: un ritorno alla femminilità, vera espressione del desiderio di ogni donna di sentirsi nuovamente importante, sensuale e autentica.

Lo ha sottolineato Elisabetta Franchi portando in passerella 21 donne non modelle di professione che si distinguono per la loro forza e personalità come Gessica Notaro, Sabrina Salerno, Veronica Gentili per citarne alcune. Audacia e femminilità sono le parole che più esprimono questa collezione: dagli spacchi vertiginosi alle scollature sensuali, dai tessuti impalpabili e leggeri alla corposità del velluto, dall’ottimismo delle paillettes alla scelta di colori decisi come il rosso, il verde e il viola. Una donna moderna ed elegante che si esprime anche nella scelta del rossetto rosso fuoco e nei capelli dalle onde strutturate ma dal sapore retrò.

Anche Luisa Spagnoli ha portato in scena una collezione dedicata alle donne che vogliono sentirsi valorizzate, che vogliono affermare la propria identità, che sono orgogliose del loro fascino femminile. Caratteristiche ben affermate dal direttore creativo Nicoletta Spagnoli che ha scelto colori decisi e vivaci per vestire la donna del prossimo autunno inverno. Il knitwear, indiscusso protagonista della collezione si traduce in avvolgenti abiti in maglia, morbidi maglioni over dal collo alto, cappotti e gonne impreziositi di intarsi colorati. Per la sera, lunghi abiti sensuali arricchiti di dettagli luminosi rendono la donna Luisa Spagnoli seducente e sicura di sé.

Ermanno Scervino ha celebrato attraverso le sue creazioni la bellezza. Una bellezza che deriva dalla couture attraverso preziosi abiti intagliati, lussuosi pizzi, trasparenze seducenti e completi in velluto monocromatici. Una collezione che strizza l’occhio a capi sportivi come parka, piumini over e stivali dalla suola ampia, in un connubio armonioso e femminile.

“The Italian Beauty” è il titolo della passerella di Tod’s che eleva le creazioni made in Italy richiamando la versatilità del guardaroba femminile con capi imprescindibili come camicie, cappotti, giacche di pelle e tubini. 

Re Giorgio con due doppi eventi ha riaffermato il suo stile iconico al servizio dell’eleganza della donna, in un’atmosfera solidale per quanto che sta accadendo nel mondo: la sfilata della collezione autunno inverno Giorgio Armani si è svolta nel silenzio profondo in segno di rispetto per la guerra in Ucraina.

Femminilità che riecheggia nelle creazioni di Sergio Rossi con le sue calzature seducenti, dalle cromie sorprendenti e dai dettagli preziosi che le rendono glamour e irresistibili. 

Le contrapposizioni cromatiche spiccano tra una passerella e l’altra: colori vividi e allegri ricoprono look monocromatici e si traducono in ricami per impreziosire cardigan, gonne e capi in maglia. In antitesi a tanta vivacità, il nero diventa nuovamente protagonista in tante collezioni: inaspettato per Blumarine, accostato ai colori della terra per Tod’s, celebrato da Onitsuka Tiger.

I codici estetici dei brands tramandati sin dal loro passato si permeano, inoltre, di elementi che guardano al futuro. Etica e sostenibilità sono stati i temi centrali di questa edizione.

Da Gilberto Calzolari a Ferragamo, da Furla (che ha lanciato la sua nuova borsa Bloom Bag in materiale organico e biodegradabile) a Cuoio di Toscana, l’attenzione per l’ambiente è diventato un aspetto peculiare da cui non si può prescindere anche nel settore moda.

E mentre Act n.1 strizza l’occhio al passato della cultura orientale cogliendo la bellezza delle stampe e degli acquerelli cinesi, le creazioni visionarie di Annakiki nel suo “Post Human Code” ci portano nuovamente avanti nel tempo attraverso un mondo cibernetico futuristico in cui la direttrice creativa Anna Yang rappresenta la connessione uomo-macchina in un’installazione robotica al centro della passerella.

Ad ancorarci al presente è il saper fare, la sapienza sartoriale, l’artigianalità made in Italy che da sempre contraddistingue le nostre maison.

Linda Pili

Foto di gmstylephotography

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IN RICORDO DI UN SIGNORE DELLA MODA

IN RICORDO DI UN SIGNORE DELLA MODA

Nel 1930, a Biella, nasce Nino Cerruti. A 20 anni, dopo la morte del padre, lascia la facoltà di Filosofia per lavorare nell’azienda fondata dal nonno nel 1881, il Lanificio Fratelli Cerruti. Nel frattempo diventa giornalista.

Nel 1957 la sua prima collezione maschile: Hitman, in cui compare per la prima volta la rivoluzionaria giacca decostruita per uomo. Nel 1967, Cerruti apre poi a Parigi la sua prima boutique.

Negli anni ’80 Nino Cerruti disegna abiti per film (tra cui Pretty Woman e Basic Instinct) e personaggi di spicco del cinema hollywoodiano, come Michael Douglas, Sharon Stone, Julia Roberts e Harrison Ford, indossano le sue creazioni.

A metà degli anni ’90 è il progettista ufficiale della Scuderia Ferrari.

Grazie ai suoi lavori ottiene importanti riconoscimenti: due Cutty Sarkmenswear award, il Munich Fashion Week Award nel 1981, e l’Italian Pitti Uomo award nel 1986.

Nel 1994 è designer ufficiale della squadra di Formula 1 della Ferrari.

Per l’eleganza delle sue creazioni, ha avuto un ruolo chiave nella moda internazionale, ma, commentava: “Eleganza è una parola che detesto perché mi sembra che sia usata da persone che si mettono addosso cose terribili”.

È Cerruti, negli anni ’60, a scoprire il talento di Giorgio Armani che lavora con lui fino al 1970, prima di fondare, nel 1975, la propria azienda.

“È con grande tristezza che apprendo della morte di Nino Cerruti – afferma Giorgio Armani –. Sebbene negli anni ci fossimo visti di meno, l’ho sempre considerato una delle persone che hanno avuto un’influenza reale e positiva sulla mia vita. Da lui ho imparato non solo il gusto per una morbidezza sartoriale ma anche l’importanza di una visione a 360 gradi, come designer e come imprenditore. Il Sig. Nino era un acuto osservatore, aveva una vera curiosità e la capacità di osare. Ci mancherà il suo modo gentile di essere autorevole e anche autoritario”.

Nino Cerruti, stilista e imprenditore, innovatore e creativo visionario, scompare a 91 anni in seguito a complicazioni subentrate dopo un’operazione all’anca.

Clementina Speranza

NOVITÀ DALLA SARTORIA DOMENICO CARACENI

NOVITÀ DALLA SARTORIA DOMENICO CARACENI

La sartoria Caraceni è stata fondata a Roma nel 1913 da Domenico Caraceni che rivoluziona l’abito maschile conferendogli libertà di movimento. Nel 1960, Gianni Campagna, innamoratosi del mondo della sartoria guardando i vecchi film di Hollywood, parte dalla sua terra nativa, la Sicilia, e si trasferisce a Milano. Qui, grazie al suo costante impegno e al suo speciale talento, diventa prima allievo e poi assistente nello storico atelier del maestro Domenico Caraceni, di Piazza San Babila, dove si vestivano i più grandi personaggi dell’epoca. Alla morte del suo maestro, Gianni Campagna diventa erede non solo del know-how, ma anche del brand stesso, continuandone il percorso arricchendolo di un sapore internazionale. Oggi alla guida della maison c’è Virginia Campagna che, fatto tesoro degli insegnamenti paterni, ha deciso di portare la Sartoria Domenico Caraceni a uno step successivo ampliandone prodotti e servizi, senza mai tralasciare l’importanza della tradizione, unendola e facendola convivere con l’innovazione.

Negli anni la boutique sartoriale esporta il Made in Italy nel mondo. Veste re e regine, come il Principe del Galles, il Principe Ranieri di Monaco, personaggi di rilievo come Aristotele Onassis, Stavros Niarchos, Gianni Agnelli e star del cinema internazionali quali Tyrone Power, Humphrey Bogart, Gary Cooper, Cary Grant, Sharon Stone e Pierce Brosnan.

Al mondo sartoriale si aggiunge una la fragranza tailor made rivolta al pubblico maschile e femminile, custodita in una boccetta serigrafata con stampa argento a caldo su vetro verniciato.

Petit grain, Geraniu, Bourbon e Artemisia sono le note di testa, Neroli Bigarade, Absolute Rose, Fava Tonka rappresentano il cuore dell’essenza, mentre legno di Guajaco, muschio di Quercia e Frankincense sono le note di fondo, quelle che rimangono più a lungo. È questa la piramide olfattiva di Domenico Caraceni 1913. Il profumo e il packaging sono creati in Italia, da Domenico Caraceni con Fabrizia Marinelli che da anni collabora con i più conosciuti nasi a livello internazionale e ha seguito dall’inizio la creazione della fragranza che consente di rivivere l’eleganza discreta, rigorosa e attuale dello storico brand. Per il lancio della fragranza è stato creato un video emozionale realizzato sotto la regia della direttrice artistica del brand Virginia Campagna e grazie alla collaborazione dell’Hotel Principe di Savoia, uno dei più ricercati salotti milanesi e pilastro dell’hôtellerie meneghina.

Durante la serata di presentazione della fragranza, la Sartoria Domenico Caraceni ha introdotto due importanti novità: la collezione homewear Caraceni Casa e la linea prêt-à-porter menswear Resewing Milano nata a settembre.

La prima linea Caraceni Casa comprende eleganti e morbidissimi set di cuscini e plaid realizzati a mano dai sapienti maestri Caraceni, con pregiati tessuti Made in Italy. Ogni dettaglio del prodotto, dagli occhielli ai ricami, è creato all’interno dello storico atelier nel centro di Milano. I cuscini sono personalizzabili e imbottiti a mano in pura lana vergine inglese antiallergica e rivestiti con tessuto pelle ovo. I set plaid Home with you; Wear your home, invece, sono ideati in cashmere da riporre in una sacchetta en pendant per accompagnare in viaggio o per una coccola a casa. Il plaid è double-face e impreziosito da una tasca sartoriale a due filetti che permette di riporre e custodire, anche in viaggio, gli oggetti più inseparabili.

La sapienza sartoriale che caratterizza da sempre la storia del celebre marchio è riconoscibile anche nella nuova linea prêt-à-porter maschile Resewing Milano. La collezione è un omaggio alla città di Milano, che ha visto vivere ed evolvere il brand artigianale attraverso le epoche e le figure che ne hanno raccontato la bellezza, la dinamicità e l’inconfondibile eleganza di chi la respira. La linea prêt-à-porter propone un’accurata selezione per il guardaroba maschile, declinato in tre mondi: gli Essenziali, abito monopetto e doppiopetto; il Tempo Libero, blazer formali e spostivi, le Occasioni, gli smoking e il mezzo tight. Tutti i capi sono four seasons e realizzati con i migliori tessuti, italiani e inglesi, fino a un titolo di 180s in lana, cashmere e seta, impreziositi da fodere in cupro in tinta o in contrasto, con stampe raffinate, bottoni in corozo o in metallo. La palette di colori va dai grigi, agli azzurri, dai blu al beige safari, nei patterns più iconici del marchio come il Principe di Galles, il gessato e il Solaro.

Anche la linea prêt-à-porter si distingue per le caratteristiche iconiche della sartoria: la spalla scesa, i revers accuratamente misurati e le asole interamente realizzate a mano.

Simone Lucci