MARCO MUSSO, “VENGO DAL MARE” E IL SORRISO DEGLI INVISIBILI

MARCO MUSSO, “VENGO DAL MARE” E IL SORRISO DEGLI INVISIBILI

Vengo dal mare”, edito da Vertigo nel 2019, è il racconto di Saeed un bimbo di solo 6 anni costretto a lasciare la sua terra per affrontare, insieme alla sua famiglia, un viaggio della speranza verso la libertà. Partire, abbandonare la propria casa di notte. “Perché?” chiede Saeed. “La nostra storia qui è scritta. Non c’è più spazio per noi. Domani, insieme ai nostri vicini, saliremo su un camion che ci porterà verso la libertà, dove nessuno partirà più, dove uscendo io saprò di poter tornare sereno senza la preoccupazione di non trovarvi più”.

L’autore è Marco Musso e “Vengo dal mare” è il suo primo libro: 54 pagine che si leggono tutte d’un fiato. Un viaggio nelle emozioni, nei sentimenti, nella drammaticità della vita e della morte, dove nulla è dato per scontato e nulla di quello che possiedi è tuo per davvero.

Nella postfazione ci racconti che fai il volontario presso VoCi Onlus, un’associazione di volontari che svolge un servizio di assistenza ai senza tetto di Milano. Nei tuoi viaggi serali incontri persone che hanno avuto una vita difficile, li definisci i “trasparenti”, uomini e donne che davanti a un the caldo e a un sorriso si aprono e raccontano il loro vissuto. Uno di loro è ZAC, un ragazzo proveniente dal Marocco, scappato da un insopportabile dolore famigliare. Quanto di quel ragazzo marocchino troviamo nel piccolo Saeed?

Saeed è nato da una mia personale proiezione di quanto io ho vissuto e di quanto il mio animo si è messo a confronto con persone come ZAC. Sono pochi i riferimenti concreti, ma sono tanti quelli emotivi. ZAC si è commosso e ha pianto quando gli ho letto la poesia che gli avevo dedicato. ZAC si faceva trovare sempre al solito punto con un mazzo di fiori o una piantina da regalare alle volontarie che insieme a me gli portavano sorrisi e calore umano. Viveva sempre nella stessa piazza di Milano, rannicchiato nel suo sacco a pelo sotto la pensilina di una scuola o in mezzo ai cespugli, nelle aiole, era conosciuto da tutti i ragazzi della scuola e ignorato da tutti gli adulti della zona, e malgrado ciò riusciva sempre a sfoderare un sorriso immenso al nostro arrivo, sorriso che molti di noi perdono per molto meno. Ho scelto il nome Saeed perché nella lingua del suo paese significa Felice.

Il 22 aprile 2021 l’ennesima strage nel Mediterraneo, decine e decine di morti che galleggiano in mare, tragedia vissuta anche da Saeed durante il suo viaggio, tragedie che passano davanti i nostri occhi nell’indifferenza. Perché permettiamo che accada?

Una domanda quasi mistica. Una domanda che non può avere una risposta semplice come semplice non è la soluzione del problema. La storia insegna che l’essere umano, per la sua sopravvivenza, migra in cerca di condizioni migliori. Ho voluto inserire nel viaggio di Saeed un pezzo di storia dei nostri tempi. La consapevolezza che vi sono persone in fuga da tragedie o carestie, che per disperazione lasciano quel poco che hanno per aggrapparsi all’unico valore che gli rimane, la speranza. La speranza che nella vita ti porta a salvarti, o almeno a cercare di farlo. Tragedie che a mio avviso non dovrebbero accadere o almeno essere permesse. Tragedie che nella loro moltitudine diventano ormai notizia ripetitiva da telegiornale. Io credo che il mondo occidentale si stia assopendo, stia silenziando come una funzione da cellulare la propria anima per egoismo o paura. Ogni volta che esco in servizio con VoCi tocco la realtà con mano, non vorrei mai finire il turno nell’idea di poter salvare ancora qualcuno e mi rendo conto che la distanza dalla realtà porta ad assopirsi. Da casa, filtrati da tv e smartphone, viviamo ogni situazione come distante, forse irreale, forse anche manipolata. C’è chi lo fa per la comodità di avere una scusa per non agire, e ci sono quelli che nella saturazione di notizie contrastanti iniziano a non crederci più. Eppure appena usciamo di casa incontriamo persone in gravi difficoltà, come mi è capitato ieri: un senzatetto di circa 60 anni, scalzo, con i piedi gonfi; l’alcol lo accompagna come la coperta di Linus e lo assopisce dalla realtà che vive, o forse lo assopisce dalla consapevolezza di essere trasparente agli altri. Cambiamo il nostro modo di agire! Forse si dovrebbero obbligare i giovani non tanto alla guerra come avveniva col servizio militare, ma alla socialità, allo svolgere mansioni che portino in primo piano il cuore. Perché quando guardo i senzatetto, dentro quegli occhi a volte timidi, a volte diffidenti, ci vedo il vero mondo reale.

Per tornare alla domanda specifica, mi viene da rispondere di getto. Nel mondo i Paesi ricchi hanno sempre campato su quelli poveri. La ricchezza esiste perché esiste la povertà, un po’ come nella fotografia, in cui noi riusciamo a distinguere la presenza della luce grazie alla presenza dell’ombra, il buono c’è perché esiste il cattivo. Le banche esistono e fanno profitti perché ci sono poveri che hanno bisogno di prestiti. In questo perenne equilibrio, o disequilibrio, le persone tendono a chiudersi in sé, a cercare di difendere il proprio “orticello”, la propria presunta serenità senza rendersi conto che su quei barconi, aggrappati alla speranza in mari in tempesta un giorno potrebbero esserci loro o i loro figli. Ogni giorno ci alteriamo se ci viene limitata la libertà di un aperitivo, e poi ci giriamo dall’altra parte davanti alla realtà di chi scappa alla ricerca di sopravvivenza per sé o per i propri figli.

Leggendo il libro si incontrano tante metafore. “La sensazione di sentirsi nudi anche se vestiti” rappresenta lo stato d’animo più intimo del piccolo Saeed in fila sul pontile con una coperta sulle spalle. Nonostante le tante attenzioni dei soccorsi è questa la sensazione che vivono i migranti?

Credo che ogni persona abbia un proprio modo di approcciarsi alla vita e agli altri. Ognuno possiede una caratteristica. Quando ho descritto la sensazione di Saeed ho voluto descrivere l’emozione che provo davanti alle avversità della vita. Ho provato a visualizzare la “temperatura emotiva” che trovo quando entro in relazione con quelle persone che osteggiano la vita, l’amore, la relazione, il contatto che genera scambio.

Se pensiamo alla Natura, che forse è il più nobile esempio di Vita, ritroviamo un mutuo scambio di stati fisici e reazioni. Ogni relazione esiste perché sussiste lo scambio che genera trasformazione. Solo gli esseri umani, per paura, ostacolano i cambiamenti fino al punto in cui, come accade per un torrente che forzatamente si cerca di arginare, si creano reazioni abnormi.

Marco Musso

Nasce a Bellano e fin da piccolo si avvicina al mondo della comunicazione, con la telecamera realizza originali videoclip e cortometraggi a tema. Nel 1996 realizza il cortometraggio “El Me Milan”, un documentario che racconta la città dal punto di vista di un c, ricevendo critiche positive nei principali festival. I riconoscimenti negli short movie riempiranno negli anni la sua carriera professionale. Si appassiona alla fotografia e realizza “Emotion”, un libro fotografico con sue poesie. Ha così inizio la stagione editoriale con il suo primo libro di poesie e riflessioni dal titolo “Lacrime dal cielo”, a diffusione nazionale attraverso le librerie Feltrinelli. La produzione editoriale continua con “Il mio testamento emotivo”, “M.E. My Emotions” e “Crescerò Domani”, tre libri ricchi di riflessioni e poesie intime su temi di attualità. “Sotto una coperta di brividi” è in ordine di tempo l’ultima raccolta di poesie, un progetto inedito e multimediale, anticipato da un trailer e da un canale di Youtube dove legge alcune sue poesie.

Stefano Rovelli

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GIOVANI E FUTURO. INTERVISTA ALL’AUTRICE DI “ORGOGLIO E SENTIMENTO”

GIOVANI E FUTURO. INTERVISTA ALL’AUTRICE DI “ORGOGLIO E SENTIMENTO”

Orgoglio e Sentimento”, edito da Armando Editore, è stato proposto al Premio Strega 2021.

L’autrice? Benedetta Cosmi, classe 1983, giornalista, e saggista che si è occupata di pianificazione strategica a Milano, dove risiede e vive.

Un viaggio sul Frecciarossa è un po’ la metafora della vita, che scorre veloce. Si è esposti a incontri e cambiamenti inattesi, ai ritardi e alle mancate coincidenze che stravolgono il percorso. Benedetta Cosmi racconta le vicende di quattro amici in viaggio, ponendo all’ascolto un anziano giornalista in pensione che ha considerato la propria generazione con sguardo critico. Un racconto che non segue il cliché del romanzo. È l’analisi socio-politica della generazione fra i trenta e i quarant’anni alle prese con le problematiche attuali e la pandemia. I racconti di Sonia, Giannenrico, Adriana e Olimpia toccheranno temi d’attualità: l’amicizia, i compagni di scuola, l’amore, i sacrifici, la ricerca di occupazione, la salute, il benessere non soltanto materiale, i mutamenti sociali e culturali.

Parli dell’amore fra Sonia e Fabio Almanacco, uno scrittore engagé, “impegnato”, un personaggio del romanzo cui dai anche vita sui social, con un profilo attivo su Twitter. Fabio ama le donne che vogliono cambiare il mondo. Hai creato un personaggio che ama quindi la sua autrice. Sei consapevole di essere una donna nata per cambiare il mondo?

 Un personaggio che, forse, amerebbela sua autrice. Quelle sono le donne che amerei io, così come gli uomini che amerei io sono quelli interessati a cambiare il mondo, quindi impegnati. Sonia e Fabio rispecchiano entrambi due pezzi di me.

Alcuni lettori hanno aperto dei profili social su Twitter, in particolare di Cesare, il giornalista, e c’è anche questo gioco letterario. E poi recentemente sono stati aperti pure quelli di Sonia e di Fabio. Sonia è una dei quattro ragazzi del treno. Sonia il suo contributo lo dà, ed è simile al mio. Fabio Almanacco è uno scrittore, e per certi versi ha il mio stile, condivide le battaglie di Sonia, anche se da schieramenti politici diversi: è un militante della FIOM (Federazione Impiegati Operai Metallurgici) e si sono incontrati davanti ai cancelli dell’INSSE, una battaglia che mi ha colpita tantissimo.

Citi Kant con la frase: “Abbiamo sempre bisogno di tre cose semplici nella nostra vita. Qualcosa da fare, qualcuno da amare, qualcosa in cui sperare”. Il tuo qualcosa da fare è chiaro, con la firma di sette libri, l’impegno sui diritti umani sociali ed economici, l’impegno politico; il tuo qualcuno da amare è tua figlia, la piccola Lisa, ma cosa è il tuo qualcosa in cui sperare?

Qualcosa in cui sperare va di pari passo con l’idea di ciò che vogliamo, e quindi sperare di cambiare, sperare di realizzarlo, di averne il coraggio. Certo, quando scompare la speranza si spegne una città, un Paese, una generazione, un’epoca. Quindi è fondamentale avere sempre qualcosa in cui sperare. Io spero di saper fare la mia parte, con la mia scrittura, con il mio impegno, ma anche con la determinazione: su questo devo lavorarci un po’ di più, perché sperare di cambiare le cose presuppone a volte anche il non accontentarsi del già fatto. Il “si è sempre fatto così” può essere fallibile. Io aggiungo sempre “prima di me”, cioè: si è sempre fatto così prima di me. Ecco in cosa sperare: di essere tutti noi apripista negli ambiti che amiamo.

 

Milano è nel tuo cuore. Viene descritta, non solo come una bella fotografia da guardare, ma come una pellicola cinematografica con una storia fatta di uomini che hanno lottato per i diritti sul lavoro. Forse l’ultimo luogo deputato a essere frutto di scambi culturali, “siamo diventati discontinui in qualsiasi cosa della nostra vita”, e “siamo tutti troppo isolati per essere maestri per qualcuno”, inoltre la pandemia ha accentuato questo nostro isolamento. La generazione futura dovrà affrontare un periodo economico disastroso senza “maestri” a cui fare riferimento?

I maestri siamo noi, direi così. C’è stato un bellissimo titolo: “La storia siamo noi”; adesso è il tempo di maestri siamo noi. Anche perché con l’idea che sempre qualcun altro debba esserlo abbiamo creato, accettato e lasciato un vuoto. Credo che ci sia stata una fetta gigante di generazione di 50, 60 e 70 enni che non sono mai diventati maestri per nessuno. Forse perché hanno vissuto quell’epoca in cui ci si contrapponeva all’adulto, e quindi sono rimasti troppo sessantottini, credendo di essere ancora quella generazione che scendeva in piazza. Hanno privato così i più giovani di un percorso costruttivo. Si cresce in due modi: per consegna degli ancoraggi valoriali da parte di un maestro, oppure quando c’è il conflitto, il contrasto, quello a cui contrapporsi. Questo la nuova generazione non l’ha avuto: il giovane contro l’adulto non è di questa epoca, perché oggi manca l’adulto.

 

Hai sempre auspicato la diffusione della cultura. Con biblioteche come luoghi fruibili di giorno e di notte. E poi l’idea del progetto Book in Bike: il delivery della cultura. La “cultura non come ‘evento per l’estate’, ma come base della società per capire e affrontare la quotidianità”. La cultura sarà l’unica strada per il futuro?

La cultura non è solo passato, la cultura è anche presente e sicuramente è anche futuro. È futuro perché crea indotto economico e crea aggregazione. A me, per esempio, mancano tantissimo le correnti culturali, artistiche, letterarie del passato che hanno reso frizzante il loro periodo. Noi, invece, abbiamo talk e talent show in abbondanza. In questo percorso, dalle correnti artistiche letterarie ai talent show, forse ci siamo persi un pezzo di cultura.

 

Spesso i giovani, pur con laurea e master, sono spinti verso una marginalizzazione sociale dovuta alla disoccupazione, alla precarietà del lavoro, e hanno difficoltà anche nella formazione di una propria famiglia. Il rapporto giovani del 2008 indicava un milione e 900 mila persone giovani che non studiavano e non lavoravano; oggi il Corriere intitola: “Neet, all’Italia il record in Europa: 2 milioni di giovani non studiano e non lavorano”. Creiamo acronimi ma non lavorano, sembra proprio che non sia cambiato nulla?

Coloro che non studiano e non lavorano sono i protagonisti delle pagine di chiusura del mio libro “Non siamo figli controfigure”presentato nell’aprile 2010, con l’allora assessora alla cultura Mariolina Moioli, durante l’evento dal titolo “Costruire insieme il palinsesto sociale della nostra città”. Palinsesto, un termine preso in prestito dal mondo televisivo che si riferisce alla completa programmazione delle trasmissioni, mi piaceva per quel suo essere a copertura totale, mentre la tv di una volta a un certo punto interrompeva la messa in onda.

Oggi arrivano i Neet, coloro che né studiano e né lavorano, o studiano a modo loro, perché hanno internet, hanno incontri e lavorano anche a modo loro, magari fanno volontariato, e magari provano nella loro stanzetta a creare una startup. Però a noi adulti manca il crederci. È difficile che il denaro venga investito su un’idea e che quindi poi possa diventare concept e poi realtà. È più facile restare passivi e sperare nel colpo di fortuna che risolva tutto, nella vincita alla lotteria. Lo si è visto persino durante il Covid, con gli scontrini. 

 

“Orgoglio e Sentimento” è una fiction del 2020, che lascerà ai posteri la descrizione di questa generazione di giovani. L’orgoglio di una generazione, di un Paese che vuole riscattarsi, e il sentimento di un Presidente della Repubblica donna nel prossimo futuro.

Stefano Rovelli

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INQUINAMENTO LUMINOSO E “CIELI NERI”, MA SI VEDONO ANCORA LE STELLE

INQUINAMENTO LUMINOSO E “CIELI NERI”, MA SI VEDONO ANCORA LE STELLE

Conosciamo la parola “notte”, ma chi vive nel mondo occidentale, soprattutto nelle grandi città, è raro si sia immerso in una notte dove le stelle hanno la forza di bucare la coperta nera del cielo.

S’intitola “Cieli neri” e l’autrice è Irene Borgna antropologa e scrittrice. Qui lei racconta di un viaggio in camper col suo compagno alla ricerca di quei luoghi dove si vedono ancora le stelle perché le luci non sono accese.

“Abituati a bivaccare nelle valli di Cuneo, a pane e toma nello zaino, siamo rimasti esterrefatti realizzando che l’80% della popolazione mondiale e il 99% della popolazione statunitense ed europea conosce solo una notte a metà, un’oscurità monca, viziata da un invadente chiarore artificiale che nasconde la maggior parte delle stelle”.

La luce elettrica, una grande invenzione che ha aperto la porta a migliaia di nuove esperienze, ha inesorabilmente occupato tutto il buio impedendoci di vivere l’altra faccia del giorno, con tutti i suoi doni: le stelle, la Via Lattea, il ritmo sonno/veglia, la poesia dell’oscurità.

“… In Italia la notte non è più quella di una volta: non esiste più un cielo che possa dirsi completamente libero dalla luce artificiale, non sopravvive angolo dello stivale dove l’unica dotazione luminosa sia quella naturale di luna e stelle. Alcuni strappi nella soffocante cappa luminosa promettono ancora scampoli di oscurità sopra l’Isola di Montecristo, su Alicudi e Filicudi, sulla Sardegna orientale intorno al golfo di Orosei, e in alcune zone dell’Alto Adige vicine al confine con l’Austria, come la Valle Aurina e la Val Senales”…

L’autrice ha compiuto un viaggio per tornare a vivere quelle tenebre che furono divise dalla luce all’inizio del mondo, per capire cosa voglia dire inquinare la notte, per raccontarci gli aspetti economici, antropologici, sociali, poetici e simbolici di quello che potremmo chiamare “uno stato d’animo in via d’estinzione”.

Accanto alle emozioni del viaggio, Irene illustra che cosa voglia dire vivere in un paese sommerso dall’inquinamento luminoso. E dunque cosa significa questo a livello economico, simbolico (pensa alla dicotomia luce/tenebre), biologico, medico, poetico, estetico, antropologico, sociale.

“Il romanzo di Irene Borgna “Cieli Neri. Come l’inquinamento ci sta rubando la notte” è il decimo della collana che impegna il Club alpino italiano e la casa editrice Ponte alle Grazie. Una sfida per allargare la platea dei lettori del libro di montagna – afferma Alessandro Pastore, presidente del Centro operativo editoriale del Cai -. Sono stati pubblicati racconti di viaggio, colloqui intensi con chi ha vissuto a contatto con le Terre alte, esplorazioni nella natura ‘selvaggia’. Un bilancio positivo di critica e di pubblico che si arricchirà presto con nuove proposte che intercettano autori di fama nel panorama culturale del nostro paese”. 

L’AUTRICE

Irene Borgna, un dottorato di ricerca in antropologia alpina con Marco Aime, ha fatto della montagna la sua passione e il suo mestiere. Nata a Savona nel 1984, si è trasferita in Val Gesso per amore dei lupi (lavora al progetto di reinserimento del lupo sulle Alpi marittime), si occupa di divulgazione ambientale e fa la guida naturalistica portando a spasso gli escursionisti fra cime e rifugi. Nel Pastore di stambecchi ha raccolto la testimonianza di Louis Oreiller, rispettando le sue straordinarie doti di narratore e il suo parlato antico (Ponte alle Grazie, 2018, menzione speciale al Premio Rigoni Stern).

Guarda il booktrailer (filming and editing Gabriele Canu) 

 

 

 

 

LUKE ARNOLD, DA BLACK SAILS ALLA SCRITTURA:  L’ULTIMO SORRISO DI SUNDER CITY, IL SUO ROMANZO DI ESORDIO

LUKE ARNOLD, DA BLACK SAILS ALLA SCRITTURA: L’ULTIMO SORRISO DI SUNDER CITY, IL SUO ROMANZO DI ESORDIO

Lo avete visto solcare i mari nelle vesti del pirata Long John Silver nella fortunata serie televisiva Black Sails, vincitrice di ben tre Emmy, ma adesso preparatevi a scoprire un lato di lui che forse non conoscete: Luke Arnold, attore australiano di 36 anni, oltre a essere sceneggiatore e regista, è anche scrittore. L’ultimo sorriso di Sunder City, il suo romanzo d’esordio, edito in Italia da Nua Edizioni nella traduzione di Emanuela Piasentini, in libreria da maggio 2020, è un fantasy a tinte fosche in cui viene messo in scena un mondo senza magia. Che cosa succede se muore qualunque forma di incanto? Ma soprattutto, che conseguenze può avere questa improvvisa mancanza sulla natura e sulla vita dell’uomo stesso?

Protagonista del romanzo è il misterioso investigatore Fetch Phillips, “Uomo al soldo”, come si legge sulla porta del suo ufficio, le cui azioni hanno contribuito a prosciugare il mondo da qualunque residuo magico. Nel tentativo di espiare le sue colpe, Phillips si aggira adesso per le strade di Sunder City, accettando lavori occasionali e seguendo alcune tassative regole, tra cui quella di non lavorare per gli umani. Anche lui è umano, badate bene, ma durante la guerra tra esseri umani e creature magiche si è schierato dalla parte sbagliata e adesso aiuta solo chi ne ha davvero bisogno, soccorre le vite che lui stesso ha distrutto. Per esempio quella del professor Rye, un vampiro di quattrocento anni, sopravvissuto in un mondo in cui, a causa della fine della magia, la maggior parte dei vampiri si è già polverizzata.

Quando scompare anche una giovane sirena, Phillips capisce che i mostri che credeva sopiti sono ancora in agguato, e che dovrà lottare affinché non tornino in superficie, mettendo da parte l’alcol cui fino a quel momento si era aggrappato come a un’ancora di salvataggio. Non a caso un’altra delle sue regole è: “la mia sobrietà vi costa un extra”!

L’ultimo sorriso di Sunder City è un fantasy che si mescola egregiamente ad altri generi letterari, in primis al noir, di cui richiama le atmosfere cupe, ma anche al romanzo distopico e al giallo. La scelta del fantasy è legata alla volontà di raccontare una storia, ideata prima della pandemia, che mostra innegabili legami con il presente. Lo stile narrativo, fluido, scorrevole, venato di un’ironia sottile, rende la lettura piacevole e originale. L’ironia si concentra nel protagonista, un uomo cinico e amaro, oppresso dal peso di una terribile colpa che spera di espiare con i propri interventi tra le strade di una città morente.

Per gli amanti di Black Sails, e in generale del piccolo schermo, Luke Arnold non ha certo bisogno di presentazioni: come già detto, è il tormentato pirata John Silver di Black Sails, la serie prequel dell’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson, in onda per quattro stagioni, dal 2014 al 2017.Questo il ruolo che ne ha consacrato il successo, ma Arnold ha recitato anche nella miniserie australiana INXS: Never Tear Us Apart, nei panni del celebre musicista Michael Hutchence. Nel 2017 è apparso nella seconda stagione della serie tv Glitch, mentre nel 2018 ha recitato nel film commedia Half Magic nel ruolo di Freedom. Tra gli altri suoi ruoli ricordiamo quello nella commedia Dealing with Destiny (2011) e quelli nei thriller Murder in the Dark e The Tunnel.

Ma non finisce qui, perché Luke Arnold, oltre a essere attore, regista e sceneggiatore, e adesso pure scrittore, è anche ambasciatore di Save the Children Australia. Insomma, possiamo ben dirlo: un artista dalle mille sfaccettature.

Eugenia Dal Bello

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MORTE DI UNA SIRENA: HANS CHRISTIAN ANDERSEN DETECTIVE PER TRE GIORNI RACCONTA LE ORIGINI DELLA SIRENETTA

MORTE DI UNA SIRENA: HANS CHRISTIAN ANDERSEN DETECTIVE PER TRE GIORNI RACCONTA LE ORIGINI DELLA SIRENETTA

Ricordate La Sirenetta? Attenzione, non parlo della principessa Disney con i capelli rossi, ma di quella creata da Hans Christian Andersen, che per amore si trasforma in spuma del mare, senza riuscire a ottenere il tanto desiderato “e vissero felici e contenti” con il principe.

Vi siete mai chiesti da dove lo scrittore danese potrebbe aver tratto l’idea per creare questa fiaba dal fascino immortale? In quel caso Morte di una sirena di Thomas Rydhal e A. J. Kazinski, edito da Neri Pozza nella traduzione dal danese di Eva Kampmann e in libreria dal 15 ottobre, è il romanzo che fa per voi. Personalmente, da amante della Sirenetta, non sono riuscita a resistere alla tentazione di immergermi in questa lettura cupa e coinvolgente, da cui è difficile separarsi.

Morte di una sirena parte da un presupposto interessante: per quasi tutti i giorni della sua vita adulta, dal 1825 al 1875, anno della sua morte, Andersen scrisse un diario. L’unico vuoto dura un anno e mezzo ed è l’estate del 1834, il periodo immediatamente successivo il viaggio dello scrittore in Italia, dal quale ritorna sul lastrico. Nessuno conosce le motivazioni di questo buco, e Morte di una sirena cerca di colmarlo prendendo le mosse proprio dal punto in cui il diario s’interrompe.

La storia si svolge in una Copenaghen che non ci aspettiamo, violenta e minacciosa, una vera e propria “fabbrica che produce malattia e indigenza”: qui facciamo la conoscenza di Anna, la bella prostituta che lavora per mantenere Piccola Marie, la figlia di sei anni. Ma la storia della giovane donna si conclude tragicamente: il suo corpo senza vita viene ritrovato in un’alba gelida nel canale della città, con i capelli scintillanti di conchiglie, proprio come quelli di una sirena. Molly è la sorella minore di Anna e non ha dubbi su chi sia l’assassino: deve trattarsi per forza di quello “scrittorucolo” da strapazzo, quello svitato che andava a trovare Anna soltanto per osservarla e realizzare ritagli di carta che le somigliavano. E d’altronde è anche l’ultima persona che è stata vista uscire dall’appartamento della giovane, quindi il questore non si fa troppe domande e accusa Hans Christian Andersen di omicidio. A quei tempi Andersen è uno sconosciuto, i suoi scritti sono stati rifiutati da tutti i critici e lui vive grazie alla carità di un amico influente, il quale riesce a far sì che Andersen ottenga un’ultima chance: tre giorni per trovare l’assassino di Anna, oppure sarà lui a essere decapitato.

Inizia così per lo scrittore una corsa contro il tempo, un viaggio che lo porterà nei meandri più oscuri e poveri della città, dove le persone sono costrette a svolgere i lavori più umili per tirare avanti, in uno stridente contrasto con lo sfarzo dorato della casa reale che organizza feste in maschera e banchetti sontuosi. Ad accompagnarlo Molly, prostituta anche lei come la sorella, con i riccioli rossi e il desiderio di vendicare la morte di Anna, ma anche di assicurare un futuro alla nipote, un futuro migliore di quello toccato a lei e Anna.

L’Andersen che conosciamo in Morte di una sirena è ancora ben lontano dalla fama, ma in lui emergono già alcuni di quei tratti che lo renderanno immortale: lui “vede cose che gli altri non vedono”, e d’altronde è questo “lo svantaggio della vita dello scrittore, l’avere un rapporto particolare con ogni dettaglio, l’essere schiavo della bellezza come gli altri sono schiavi di un carattere collerico”. Sono proprio queste sue caratteristiche, abbinate all’intraprendenza e al coraggio di Molly, che lo aiuteranno nella lotta contro un nemico terribile, il più pericoloso di tutti, perché nulla è più temibile di chi combatte contro se stesso.

Morte di una sirena è un crime che tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, un magistrale intreccio di vicende e personaggi dai quali è impossibile staccarsi, una denuncia spietata della disparità tra le classi sociali; ma è anche un’appassionata sfida contro se stessi e il mondo intero, il tentativo disperato di elevarsi dalla propria condizione, e una lotta per diventare ciò che si desidera essere, a dispetto di quanto possa sembrare difficile. E quale modo migliore di descrivere il cambiamento, o meglio la volontà del cambiamento, se non tramite il racconto? Perché a dispetto di chiunque desideri soffocarlo o modificarlo a proprio piacimento, il racconto ha vita propria e soprattutto “trova sempre una via. Come l’erbaccia nell’acciottolato, spunta là dove è più necessario”. Ed è questo il grande regalo di Hans Christian Andersen ad Anna, a Molly, a Piccola Marie e in fondo a tutti noi: quello di avere dato una voce a chi non ce l’aveva, di averci fatto arrivare quelle storie meravigliose che ancora oggi vivono, di averci descritto “il folle mondo degli uomini” e il “desiderio di tutti di essere qualcos’altro”.

Nato dalla penna di alcuni tra i più famosi autori danesi, Morte di una sirena è stato accolto da uno straordinario successo di pubblico e di critica al suo apparire in Danimarca. Thomas Rydhal è conosciuto per L’Eremita, romanzo vincitore dello Harald Mogensen Award e del Glass Key, il premio per il miglior poliziesco scandinavo. A. J. Kazinski è lo pseudonimo di Anders Rønnow Klarlund, autore, regista e sceneggiatore danese, e di Jacob Weinreich, scrittore danese; tra le loro opere si ricorda L’ultimo uomo buono, pubblicato in 26 paesi. 

Eugenia Dal Bello

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