Dopo la skincare coreana arriva quella giapponese, o J-beauty, fatta di circa 5 step dove i prodotti vengono stesi con la massima “gentilezza” sulla pelle per non causare infiammazione. Al mattino: detergente, tonico, siero, idratante e crema solare (la pelle chiara in Giappone è un must). Alla sera, invece, si sostituisce l’SPF con una emulsione o una maschera.
Questo approccio soft, mirato a ottenere un aspetto fresco e naturale, è tipico del giovane brand IYOSKIN nato nel 2020 a Salerno che promuove la cura della pelle attraverso la combinazione di ingredienti naturali. “I prodotti della linea hanno una funzione preventiva e di esaltazione dell’individualità – racconta la dottoressa Caterina Melella, chimica e fondatrice di IYOSKIN –. I cosmetici si ispirano all’antica arte giapponese del Kintsugi che insegna a valorizzare ciò che apparentemente potrebbe sembrare imperfetto o fuori dalle logiche estetiche canoniche, per esaltare le peculiarità della singola persona eliminando il tanto diffuso effetto patinato nato da una errata interpretazione del concetto di bellezza”.
Per ottenere risultati evidenti bastano quindi pochi prodotti distesi sulla cute sfruttando la tecnica del layering, cioè la stratificazione di cosmetici con proprietà differenti e applicati con gesti diversificati in base alla zona da trattare. “Durante la detersione, per esempio, è preferibile non strofinare la pelle per non irritarla, così come quando si stende una crema è bene massaggiarla con piccoli movimenti circolari per riattivare il microcircolo. Il siero, invece, è meglio picchiettarlo delicatamente con i polpastrelli, senza massaggiare, e aspettare che il prodotto venga assorbito naturalmente”, precisa Caterina Melella.
La scelta dei sieri viso giusti può fare la differenza nella cura della pelle. Ad esempio, formule contenenti ingredienti come l’acido ialuronico nei suoi vari pesi molecolari si rivelano un grande booster per l’idratazione profonda, poiché aiutano a trattenere l’umidità nella pelle, contrastando l’effetto disidratante causato da età, stili di vita, aggressioni esterne. La Vitamina C è antiage e illuminante, mentre la Papaina, un principio attivo naturale che esfolia la pelle con gentilezza, rinnova gli strati superficiali dell’epidermide e dona una texture più compatta. “Se un tempo si applicava sulla pelle solo un siero, negli ultimi anni c’è un trend che si è diffuso a macchia d’olio: il layering, ovvero la stratificazione di sieri diversi per agire su più fronti – spiega la dottoressa Melella –. In base ad alcuni parametri come la formulazione, la viscosità e la biodisponibilità degli attivi, si creano delle sequenze personalizzate d’applicazione. In genere, la regola è quella di applicare prima i sieri più leggeri e acquosi che vengono assorbiti più rapidamente, per poi passare a quelli più corposi e densi, che vanno a sigillare gli attivi già applicati. Tutto dipende dal tipo di pelle, ma se ne consigliano da un minimo di due fino a un massimo di quattro per non eccedere con gli attivi”.
La crema solare, invece, è l’ultimo step della beauty routine. Il sole migliora l’umore, stimola il sistema neuroendocrino, aumenta la produzione di serotonina e di vitamina D, ma può diventare altresì il peggior nemico, se non si usano le dovute precauzioni e protezioni. L’esposizione ai raggi solari può causare danni seri alla pelle come fotoinvecchiamento, macchie solari, disidratazione eccessiva e iperpigmentazione.
Per contrastare tutti questi danni, i laboratori IYOSKIN hanno realizzato SUN SHINE COLOR, una crema solare colorata per il viso che offre una protezione molto alta (SPF 50+) contro i raggi UVA e UVB, unificando l’incarnato in modo naturale. Setosa, luminosa, asciutta, si adatta a tutti i colori di pelle. Può essere applicata singolarmente o può essere utilizzata come base per il trucco. La protezione solare è anche arricchita con vitamina E, un potente antiossidante, che aiuta a contrastare i radicali liberi e a mantenere la pelle giovane ed elastica. L’indice PA (Grado di protezione UVA), molto diffuso in Asia ma ripreso anche in Europa, è un indicatore di protezione contro i raggi UVA. Esistono quattro livelli di protezione: da PA+ a PA++++, quest’ultimo è quello utilizzato da IYOSKIN. L’associazione di sei filtri solari protegge efficacemente dai raggi ultravioletti e consente di spalmare il cosmetico in maniera uniforme senza l’effetto “scia bianca”.
Con costanza, rigore e pochi cosmetici corretti è possibile prendersi cura della propria pelle con “gentilezza” e ottenere risultati evidenti e durevoli. Less is more.
Simone Lucci
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Y-40 The Deep Joy è la piscina con acqua termale più profonda del mondo e ha lo sport nel suo DNA. Unisce apnea e immersioni ed è il luogo dove si allenano sportivi di tutte le discipline, da Filippo Magnini ad Arianna Errigo, passando per Luca Dotto, Sara Cardin, gli atleti delle Fiamme Oro e moltissimi altri.
Adesso si tinge di ROSA per il GIRO D’ITALIA: giovedì 23 maggio infatti, in occasione dell’arrivo a Padova della 18ª tappa della storica manifestazione sportiva, ha colorato di rosa il suo cilindro profondo -42,15 metri e il tunnel sotterraneo lungo ben 13 metri, l’unico al mondo sospeso e completamente immerso all’interno di una architettura acquatica.
In questi giorni, quindi, le centinaia di apneisti e subacquei si stanno immergendo in Y-40 hanno la possibilità di farlo godendo dell’iconica punta di rosa, all’insegna della celebrazione di una delle corse a tappe di ciclismo su strada più famose del mondo. Oltre a loro, sono numerosi anche i gruppi di ciclisti accorsi per l’evento nazionale che stanno facendo tappa nella piscina da record per ristorarsi nella caffetteria e approfittare di un momento di relax termale. Una tappa, quella in Y-40, che è già stata congeniale in passato per altri campioni delle due ruote, come il campione di ciclismo Marco Cannone, ora commentatore televisivo delle competizioni, o l’olimpionico di triathlon Alessandro Fabian.
Y-40 è stata anche il teatro di una suggestiva immersione di un subacqueo in bicicletta fino ai 42 metri di profondità, ma anche laboratorio di ricerca in cui più cyclette sono state immerse a diverse profondità per studiare il corpo umano in movimento sott’acqua. EMME22
Renato Guttuso, pittore neorealista nato a Bagheria nel 1911, è considerato uno dei più significativi artisti del Ventesimo secolo. Amico di importanti intellettuali quali Pasolini, Moravia, Picasso e De Chirico, manifestò attraverso la sua arte un forte impegno sociale che lo portò anche all’esperienza politica come senatore del Pci, durante la segreteria di Enrico Berlinguer. Fu proprio lui, nel 1953, a disegnare lo storico simbolo del Pci, la Falce e il Martello con sfondo tricolore, poi ripreso dal creatore della pop art statunitense, Andy Warhol; nel 1972 dipinse I funerali di Togliatti, ottenendo il Premio Lenin per la Pace.
“… Renato è con i contadini che rompono il feudo, attaccano la mafia, occupano le terre, spezzano la vecchia Sicilia. È con i capilega fucilati, è con gli zolfatari in lotta contro condizioni terribili. Ed è con loro in modo forte. A loro dà voce con le sue tele e li mette in comunicazione col mondo, rompendo un antico isolamento”, scriveva Emanuele Macaluso.
Il 3 maggio 2024, il patrimonio del Museo regionale Pepoli di Trapani si arricchisce di due tele autografe dell’artista. Il primo dipinto, “Contadino in sella a un asino”, realizzato nel 1954, costituisce uno studio per un olio di grandi dimensioni dal titolo “L’occupazione delle terre incolte”, espressione di quel “realismo sociale” che ispira un’ampia fetta della produzione del maestro bagherese. Il tema è particolarmente caro al pittore che lo affronta più volte con esiti e linguaggi espressivi differenti: dalla Marsigliese contadina del 1947, di impronta postcubista, alla celebre versione del 1949-50, caratterizzata da una sacralità del racconto e da forti dissonanze cromatiche.
Nella seconda tela, “Contadina”, realizzata nel 1956, Guttuso ritrae una donna con un fagotto sul capo che procede con solennità entro un paesaggio brullo e roccioso. In entrambe le opere viene rappresentata l’epopea degli umili, intenti con dignità alla fatica del duro lavoro quotidiano. L’accensione cromatica e l’intensa luminosità del paesaggio, che fanno da sfondo alle figure, incarnano la solarità della terra siciliana tanto cara al Maestro.
Le due opere sono state generosamente donate da Michelangela Scalabrino, già docente dell’Università Cattolica di Milano, che ha voluto così rendere omaggio al museo della città di origine della sua famiglia. Da bambina, trascorreva a Trapani le vacanze estive assieme al padre, un medico che aveva ricevuto questi quadri in dono proprio dal pittore bagherese.
Le 2 opere, inserite nel catalogo e parte della collezione permanente del museo, sono collocate negli spazi della pinacoteca, nella piccola sala che ospita il celebre “Ritratto di Nunzio Nasi” di Giacomo Balla, ora destinata ad accogliere opere del tardo Ottocento e del primo Novecento. L’assetto espositivo dell’ambiente è stato rimodulato con la restituzione alla fruizione della splendida “Testa di vecchio” in bronzo del palermitano Domenico Trentacoste, da lunghi anni in giacenza nei depositi; un’opera significativa che è espressione di quel socialismo umanitario che nel tardo Ottocento ispirò numerosi intellettuali e artisti.
Clementina Speranza
Amaryllis, tulipani, calle per adornare i tavoli. Poi le composizioni con le magnolie che Stefano crea insieme al suo papà che gli ha trasmesso la passione per fiori e piante. Le decorazioni mutano in base alle stagioni, da Nosh, il ristorante in stile modern urban, progettato dall’architetto e artista lombardo Vincenzo de Cotiis citato nelle liste AD100 di Architectural Digest. Pareti scure, luci soffuse, un lunghissimo bancone sopra il quale giace uno scenografico specchio obliquo.
Il locale, a Treviglio, è stato creato 20 anni fa, e il passaggio di consegna ai fratelli Stefano e Luca Rivoltella è avvenuto nel 2021. In cucina: lo chef Michael Zambetti, con esperienze lavorative decennali in Italia e Svizzera. “Michael è in linea con la nostra idea di ristorazione: una grande passione che si riscontra nei piatti – spiega Stefano Rivoltella –. La passione ti porta a impegnarti, a mettere sul piatto prodotti di altissimo livello senza guardare cosa ti rientra nel portafoglio. Per esempio acquistiamo la carne anche dall’Australia, dall’America e dai Paesi del Nord, dove gli animali crescono allo stato brado in grandi distese di terreni”.
E cosa ne pensi della carne sintetica?
“È chimica e in quanto tale non deve essere chiamata ‘carne’. Noi compriamo materie prime selezionate, di alto profilo e fresche, pertanto non è un prodotto che potrebbe essere mai utilizzato nel mio ristorante”, risponde il ristoratore.
Cucina italiana creativa è la definizione perfetta per le creazioni di Nosh. Cos’è per voi il Made in Italy?
“Il turista che viene in Italia deve poter mangiare la vera cucina italiana fatta bene. È nostra responsabilità offrire il made in Italy. Per quanto riguarda i prodotti italiani, è giusto che vengano tutelati. E poi quando arrivano al tavolo, sta anche a noi valorizzarli, spiegandoli”, precisa Rivoltella.
Da Nosh nulla è lasciato al caso. “La ristorazione è ospitalità. È fatta di cucina, sala e ambiente circostante. La sintonia tra cucina e sala rende un posto speciale, crea il cosiddetto posto del cuore. La cucina, poi, da noi è un incontro di menti che inventano dei piatti. Ognuno porta il suo bagaglio di conoscenze professionali, ed è grazie al gruppo e alla collaborazione che nascono i piatti di Nosh”, sottolinea Stefano Rivoltella.
Il re dei piatti? “La Calamarata, mezzi paccheri con una salsa di peperone giallo e pomodoro napoletano che viene cotta per lungo tempo, filtrata 2 volte, e finita con una riduzione di gambero rosso. Il gambero rosso sopra, e poi la spolverata di aglio nero”. Un piatto che i fratelli Rivoltella hanno dedicato alla loro mamma, presente in carta da quando hanno aperto il locale, così come la ‘costoletta’ alla milanese, battuta e panata al momento con diverse consistenze di pane 100% segale e poi rosolata nel burro chiarificato.
A sorprenderci? Il polipo, che viene prima bollito e poi arrostito con paprika, miele e peperoncino.
Anche i dolci sono tutti realizzati in casa: dal Tiramisù versione Nosh, proposto in bicchiere, alla Tarte Tatin di mele e cannella con gelato alla vaniglia. Prima del dessert vengono serviti degli sfiziosi sorbettini alla frutta, presentati come fossero gelati con lo stecco.
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Clementina Speranza
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Grandi tele dell’artista toscano Marco Boni e candele accese anche di giorno per creare una calda accoglienza, sui tavoli ricavati da fasciami affondati sulla costa toscana arriva lei, succosa, tenera, cotta alla perfezione: La Fiorentina.
“Siamo celebri per l’iconica Bistecca alla fiorentina, e anche per tartare, hamburger, filetto, controfiletto, costata e altri piatti di carne. Qui, tutto Made in Tuscany. Siamo orgogliosi di essere in Toscana, regione celebre nel mondo per le bellezze artistiche, paesaggistiche e per l’enogastronomia, ecco perché abbiamo scelto il nome ‘i Tuscani’. Fin dal principio abbiamo deciso di offrire ai nostri clienti prodotti regionali – precisa Enrico Burberi, titolare del ristorante -. Svolgiamo un approfondito lavoro di ricerca nel territorio, proponiamo formaggi, salumi e altri alimenti riconosciuti come PAT (Patrimoni Agroalimentari Tradizionali), sono 456, che oltre al gusto eccellente esprimono la storia e la cultura di queste zone”. Alla bistecca è abbinato ‘Tenuta Campo al Mare’ un taglio bordolese classico, rotondo e di ottima struttura, che si muove verso un sapore ricco e intenso, ma ben equilibrato. È uno dei vini rappresentativi e conosciuti della zona di Bolgari, della cantina Ambrogio e Giovanni Folonari, nasce dall’assemblaggio di quattro nobili vitigni francesi: Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Petit Verdot. Il sorso morbido, aromi intensi di amarena, piccoli frutti di bosco e sfumature speziate. Il vino si sposa anche con il ricco tagliere che comprende i crostini di fegatini di pollo, la finocchiona, il Capocollo di cinghiale, il prosciutto di grigio, la salsiccia di cervo, i salumi del mugello e un formaggio di mucca stagionato 24 mesi da accompagnare con la mostarda.
“Lavoriamo con fornitori che condividono la nostra filosofia, che si prendono cura con passione degli animali allevati e si interrogano sull’impatto ambientale. Ciò che facciamo celebra il meglio del loro lavoro, frutto di colture consapevoli e sostenibili: per questo motivo, quando ti serviamo le bistecche alla fiorentina e gli altri nostri piatti te li presentiamo con tutta la passione possibile”, spiega Burberi, Ma qual è l’iter e a cosa serve la frollatura? “Da noi arriva la lombata, lo chef la porziona, generalmente 1 kg, 1,3 kg., dipende dalla razza e dalle dimensioni, poi si passa alla frollatura (meat aging, in inglese) il processo chimico-fisico naturale di maturazione della carne che ha l’obbiettivo di rilassare le fibre così da fargli acquistare maggiore morbidezza, gusto e digeribilità.
Frolliamo le nostre carni dai 45 ai 50 gg, ma anche 75 gg, dipende sempre dal tipo di carne. Viene fatta scegliere al cliente. È tutto molto semplice.”
E la cottura? “A i Tuscani sono 10 anni che prepariamo bistecche, e da noi le si mangia solo al sangue!”
Cosa ne pensa della carne sintetica? “Di carne coltivata in laboratorio se ne parlerà sempre più, ovviamente. Noi portiamo sulla tavola ‘la Toscana più vera e genuina’ e l’approccio che abbiamo è di rispetto estremo verso l’animale, di cui nobilitiamo ogni parte. Dobbiamo poi considerare altri aspetti: in primis, la carne artificiale non costituisce la risposta alle problematiche etiche, di sostenibilità e di salute derivanti dall’intensificazione degli allevamenti, e poi non possiamo sapere adesso gli effetti che potrà portare a medio e lungo termine sulla salute delle persone”, risponde Enrico Burbieri.
Al termine di ogni pranzo e cena: Amaro Ipa, un fernet che ricorda il profumo intenso delle birre artigianali di stile IPA, con sentori di genziana e un retrogusto al luppolo; grappa monovitigno di Brunello di Montalcino della Distilleria Urbana Italia (Route 222 Argento), Route 222 è la via Chiantigiana, la strada che da un quartiere di Firenze si inerpica verso le colline del Chianti, per proseguire poi sotto Siena; Liquore Ratafia di Amarene – DU:IT dove le ciliegie vengono sciroppate, infuse nell’alcool e nel vino rosso di Montepulciano d’Abruzzo. E, della stessa distilleria, la Grappa della Felicità. Sambuca alle erbe aromatiche, grappa Maremmana, grappa Tiburzi, di Cipriani Liquori, una piccola azienda artigianale di liquori e grappe, di Capalbio. Tutte bottiglie lasciate sul tavolo al cliente.
Guarda il video: https://www.instagram.com/reel/C3n_XCXIR9j/?igsh=NzBjbXI1a21sMWhv
Clementina Speranza
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