In Sicilia, a Realmonte, nell’Agrigentino ci sono i resti archeologici della villa romana di Durrueli, con mosaici e terme, risalenti al primo secolo dopo Cristo. La villa si affaccia sul mare e si trova alla foce del fiume Cottone, nella baia tra Punta Piccola e Punta Grande, ed è solo a poche centinaia di metri dalla Scala dei turchi. Il recupero e la manutenzione della villa maritima sono stati curati e finanziati dal Parco archeologico Valle dei Templi. Dal 1 giugno al 30 settembre sarà possibile ammirare la struttura. Una volta alla settimana, saranno disponibili le visite didattiche condotte dagli archeologi di CoopCulture (2, 9, 16, 23 e 30 giugno), con tre turni alle 10, alle 11 e alle 12, per 25 persone a volta e un ticket di 5 euro. ogni percorso, di circa un’ora, permetterà di scoprire un contesto archeologico unico nel suo genere, tra cortili colonnati, pavimenti musivi e strutture termali costruite in riva al mare.
“Questa riapertura è di importanza fondamentale per la provincia di Agrigento proprio perché arricchisce e avvalora il percorso che abbiamo posto in essere per dare lustro a un territorio che offre perle rare – afferma Francesco Paolo, Scarpinato Assessore ai Beni culturali – . Oggi abbiamo restituito questa meravigliosa villa di età imperiale agli agrigentini, rendendola fruibile ai visitatori, per dare un ulteriore impulso al turismo e ai beni culturali e cercare di migliorare sempre di più un’offerta che renda Agrigento pronta a essere Capitale della cultura. Con il governo Schifani stiamo lavorando alla costituzione di un protocollo d’intesa che possa rendere fruibili ai visitatori contestualmente sia la villa romana di Realmonte che la Scala dei turchi, utilizzando un biglietto integrato”. Prossimo obiettivo, quindi, sarà formalizzare la convenzione fra il Parco di Agrigento e il Comune di Realmonte, istituendo un percorso di visita unico che comprende sia la villa di Durrueli che l’incantevole Scala dei turchi, inaccessibile al pubblico per rischio crolli ed erosioni dal febbraio 2020. L’accesso sarà contingentato e con visita guidata, in maniera tale da proteggere il delicato ecosistema del luogo.
“Non gestiremo in toto la Scala dei Turchi, ci occuperemo solamente dell’area demaniale (circa 1.800 metri quadrati) confinante con il mare, che è quindi di demanio pubblico e non privato, affidata da luglio scorso, in concessione decennale al Comune, con possibilità di rinnovo per ulteriori dieci anni – precisa Scarpinato -. Questo significa rispetto delle norme, delle regole e ovviamente delle proprietà altrui, passando per la tutela, valorizzazione e fruizione dei nostri beni paesaggistici. L’iter dovrà consentire un uso ragionevole del sito, una messa in sicurezza dei luoghi, dei visitatori e dei lavoratori, in assoluta condivisione tra l’amministrazione comunale, il Parco e la Regione Siciliana, per ottenere l’utilizzo dell’area di grande interesse culturale e paesaggistico”.
Alla riapertura al pubblico della villa romana tra natura e archeologia, erano presenti l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato; l’archeologa del Parco, Maria Serena Rizzo; il sindaco di Realmonte, Santina Lattuca; il presidente del consiglio del Parco, Giovanni Crisostomo Nucera e il direttore del parco archeologico e paesaggistico Valle dei Templi, Roberto Sciarratta.
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Ph Andrea Vanadia – CoopCulture
Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. Cos’hanno in comune queste 5 cantine e relativi produttori? Nel giro di pochi anni tutti i loro vini saranno “tappati a vite”. Per questo si sono chiamati “Gli Svitati” e il 6 marzo hanno organizzato un evento a Villa Sorio di Gambellara (Vicenza) per raccontare e sostenere la loro scelta del tappo a vite. con una chiusura come il tappo a vite si rischiano meno “incidenti di percorso” rispetto a una chiusura naturale come il sughero. Questo è sicuramente un aspetto innegabile sul quale è chiaro che tutti i player del sughero stanno da tempo lavorando per ridurre il più possibile i rischi di “contaminazione” di varia natura.
“Se vogliamo vini protetti da ogni interferenza esterna con chiusure capaci di tutelare al meglio tutti i grandi sforzi che facciamo in vigna e in cantina, la scelta deve cadere inevitabilmente sui tappi a vite, senza nessun dubbio” è il concetto che in modo accorato hanno sottolineato.
Una scelta estrema dettata dall’aver visto troppe volte il loro lavoro attento e preciso per ottenere grandi vini penalizzato da un tappo naturale che ha “contaminato” il loro prodotto, vanificando così tutti i loro sforzi. “Ricordo che qualche anno fa, in un noto ristorante, i clienti seduti a un tavolo vicino al nostro ordinarono una preziosa bottiglia di Barolo di Sandrone. Conoscevo bene quel vino, perchè era uno dei miei preferiti. Vedo che lo assaggiano e iniziano a parlarne male. Rimango stupefatta e quindi chiedo al sommelier, che conoscevo bene, se poteva farmi avere un bicchiere di quel vino. Assaggiandolo, mi rendo conto che era una bottiglia con difetti derivanti dal tappo di sughero. Chiedo allora di portare loro un’altra bottiglia, sempre di quell’annata, dicendogli che l’avrei offerta io. La degustano con piacere e i commenti si trasformano completamente in molto positivi. Anche quella volta mi resi conto di come in pochi minuti si può vedere naufragare, delegittimare, anni di lavoro e di impegno”, racconta Maria Luisa Manna moglie di Franz Haas.
Secondo gli “Svitati”, oltre a eliminare i rischi di “contaminazione da tappo”, il tappo a vite rappresenta anche la scelta migliore sotto il profilo della sostenibilità essendo realizzato in alluminio, materiale ad alta riciclabilità, molto più rispettoso dell’ambiente rispetto allo stagno.
Cinque vini degli “Svitati” sono stati degustati nella versione con tappo a vite e in quella con tappo di sughero. Il confronto è risultato decisamente interessante e utile perché ha evidenziato due modelli di vini profondamente diversi tra di loro. Se fosse stata una degustazione alla cieca, per essere chiari, nessuno probabilmente si sarebbe accorto che si stavano degustando due vini della stessa tipologia e annata ma semplicemente con un tappo diverso. Prendendo come esempio la degustazione del Vintage Tunina di Jermann (annata 2013), la versione “a vite” era profondamente diversa da quella tappata con il sughero. La prima più fresca e fruttata ma anche molto meno ampia e complessa, intrigante rispetto alla versione con il sughero. Non esiste una chiusura ideale per tutte le tipologie di vino e di gusti dei consumatori. Non vi è dubbio, infatti, che alcuni vini possano venire privilegiati nell’evoluzione da chiusure più “naturali” rispetto ad altri.
All’incontro è intervenuto anche Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Mach di San Michele all’Adige presentando i risultati delle ricerche dell’Australian Wine Research Institute, che nel 1999 ha avviato delle sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure di vino, compreso il tappo a vite. “Lo scopo della sperimentazione era quello di condurre una valutazione indipendente delle prestazioni della chiusura per fornire ai produttori di vino dati solidi su cui basare le proprie decisioni in merito alle chiusure – spiega Mattivi –. Sebbene si prevedesse che la sperimentazione sarebbe durata dieci anni è stata interrotta dopo 3 anni perché i risultati erano chiari e perché il mix di chiusure disponibili sul mercato è cambiato notevolmente in un breve lasso di tempo, in parte a causa dei risultati della sperimentazione. Complessivamente, i risultati delle ricerche presentate dal prof. Mattivi hanno evidenziato risultati positivi per le chiusure con tappo a vite che, anche a distanza di anni, hanno consentito un mantenimento delle caratteristiche organolettiche adeguato e, in taluni casi, anche migliore rispetto a chiusure con tappi di sughero.
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La storia d’amore tra gli italiani e il caffè è una delle più longeve.
Per molte persone, infatti, la giornata non può iniziare senza l’aroma classico e inconfondibile di una tazzina di caffè. Gustare questa bevanda è un momento irrinunciabile e rappresenta il modo ideale per ritrovare la carica e la voglia di fare. In Italia, inoltre, è sempre ora del caffè: di mattina presto, a metà mattina, dopo pranzo, di pomeriggio, di sera.
Puoi non sapere che ora sia, ma nessuno ti guarderà male se proponi un caffè.
Per celebrare la bellezza del rito del caffè italiano, le due icone del made in Italy Bialetti e Dolce&Gabbana hanno ideato Moka Express Bialetti Dolce&Gabbana, una caffettiera dal design colorato e ricco di simboli che esalta l’arte della maestria artigianale. Il motivo decorativo della moka rievoca il Carretto Siciliano, un elemento del folklore di un luogo che, con le sue tradizioni, è da sempre al cuore dell’estetica della maison di moda.
Nel cuore di Bialetti, invece, c’è la passione per il caffè che dura da più di un secolo. L’azienda è nata nel 1919 a Crusinallo, una piccola frazione piemontese di Omegna, dove Alfonso Bialetti apre un’officina per la produzione di semilavorati in alluminio. In breve tempo, l’azienda cresce e si trasforma nella Alfonso Bialetti & C. Fonderia in Conchiglia: un atelier per lo studio, la progettazione e la realizzazione di prodotti finiti pronti per il mercato. È proprio dal genio di Alfonso Bialetti che nel 1933 prende vita la Moka Express, una caffetteria a base ottagonale che ha rivoluzionato il modo di preparare il caffè a casa e facendo dell’azienda uno dei principali produttori italiani. Il nome? Deriva dalla città di Mokha nello Yemen, una delle più rinomate aree di produzione del caffè.
Con il tempo, la notorietà del marchio si consolida grazie anche degli investimenti pubblicitari nella trasmissione tv Carosello e della comunicazione incentrata sull’immagine dell’Omino con i baffi, il profilo stilizzato di Renato Bialetti. Nato nel 1953 dalla matita di Paul Campani, diviene il simbolo dell’azienda e tutt’oggi è presente sul marchio del Gruppo Bialetti Industrie e applicato sui prodotti del brand. Lo slogan “Eh sì sì sì… sembra facile (fare un buon caffè)!” diventa un tormentone.
La vocazione alla qualità e la costante spinta innovativa permettono, nel 1998, la fusione delle aziende Alfonso Bialetti & C. e Rondine Italia di Coccaglio, produttrice di pentole in alluminio, mentre negli anni duemila nasce il progetto Bialetti Store, con l’apertura dei primi negozi al dettaglio monomarca in Italia. Il 27 luglio 2007 rappresenta una data storica perché Bialetti Industrie diventa una società quotata sul mercato telematico azionario della Borsa Italiana.
La lunga e profonda esperienza del caffè permette anche la nascita delle macchine espresso. Con le capsule parte un viaggio sensoriale attraverso le eccellenze del caffè espresso all’italiana, esaltando le differenze di abitudini e di gusto da Nord a Sud. L’offerta di macchine espresso Bialetti si arricchisce con “Gioia”, elegante e con uno sguardo all’ambiente perché le capsule sono in alluminio riciclabile.
Delicato, morbido, deciso o intenso, il caffè è un ingrediente dalle mille personalità, sfumature, ma rappresenta soprattutto un vero simbolo di ospitalità, piacere, convivialità, relax, energia e soprattutto dell’italianità.
Simone Lucci
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A seguito dell’allungamento medio della vita, è stata creata una nuova categoria di anzianità, dividendo le persone con più di 65 anni in due categorie: chi appartiene alla terza età (caratterizzata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse) e coloro che appartengono alla quarta età (caratterizzata dalla dipendenza da altri e dal decadimento fisico). Di questo si è parlato il 28 ottobre 2022, al Grand Hotel Villa Itria di Viagrande, durante il convegno “Il paziente anziano: aspetti demografici, medici e sociali” di cui è stato coordinatore scientifico il dott. Gaetano Roberto Valastro, Dirigente Medico presso UOC Attività Ospedaliere ASP Catania.
Quella di “anziano” oggi non è solo una categoria medica ma anche socio-demografica, e quindi non è chiaro come chi studia la biologia dell’invecchiamento (gerontologo) o i problemi di salute delle persone anziane (geriatra) possa stabilire scientificamente una precisa età in cui si diventa anziani. Quella dell’anzianità è una soglia che va adattata alle attuali aspettative di vita nei paesi con sviluppo avanzato. I dati demografici dicono che in Italia l’aspettativa di vita è aumentata di circa vent’anni rispetto agli inizi del secolo scorso. Non solo: larga parte della popolazione tra i 60 e i 75 anni è in ottima forma e priva di malattie. “Definiamo ‘vecchi’ quei soggetti ultrasessantenni che hanno perduto l’autosufficienza. Il 90 enne che si lava e veste da solo non ci sentiamo di definirlo vecchio”, afferma Valastro e aggiunge: “È comunque fondamentale, per continuare a stare bene, non lasciarsi andare: mantenersi attivi mentalmente e fisicamente, avere interessi, accettando però i nuovi limiti”.
Si è parlato di perdita di ruolo sociale e ruolo fisico, della solitudine e della possibile depressione dell’anziano. “Elementi che noi medici abbiamo scarsamente considerato”, afferma Valastro e aggiunge “Non tutti gli anziani sono fragili, ma siamo noi medici a renderli tali, quando non li sappiamo trattare e se non diamo loro la giusta cura”.
Con il dott. Giuseppe Squillaci, Dirigente Medico, responsabile UVP area metropolitana Catania, si è parlato anche dell’assistenza domiciliare integrata (ADI) e di come questa rappresenti un servizio potenzialmente centrale nell’assistenza sanitaria al paziente anziano. “È la casa, il setting dove vuole morire il paziente anziano. Oggi l’assistenza domiciliare è al 4% e dobbiamo arrivare al 10%. Lo scopo è anche quello di ridurre l’immobilità e cercare di aumentare la qualità di vita. Sul territorio regionale siciliano esistono 2 tipi di assistenza: una parte pubblica basata sulla valutazione che fa l’ASP, e una erogatrice di servizi che riguarda le ditte private convenzionate con noi. E il segreto per la giovinezza dell’anziano? È mantenere sempre la mente attiva”, conclude Giuseppe Squillaci.
Diabete, ipertensione, problemi di natura artrosica o artritica. Per prevenire una patologia, o il suo aggravamento perché magari è già presente, la ricerca e l’individuazione delle malattie deve essere molto accurata. “Spesso nell’anziano la malattia si presenta in maniera anomala: una broncopolmonite senza febbre, una pleurite non causata da infezione ma dovuta a uno stato di ipoproteinemia, in quanto la mancanza di proteine crea un effetto osmotico per il quale si accumula liquido in uno o in entrambi i polmoni.
Nel paziente anziano è importante raccogliere una anamnesi basata sulle giuste domande, fare quindi un’accorta diagnosi impostare una terapia con dosi di farmaci quanto più possibile ridotte che duri quanto meno possibile”, precisa Valastro.
La geriatria è prevalentemente riabilitazione, perché dobbiamo tirare fuori le risorse residue di ogni soggetto anziano. E a parlare di “riabilitazione del paziente anziano” è il dott. Antonino Filippello, direttore del Medical Center di Acicatena e Fisiatra (responsabile della robotica) all’AIAS di Acireale.
“L’anziano è spesso esposto a scarsa alimentazione, con carenza di vitamine, di sali minerali e di altre sostanze fondamentali. Questo e la scarsa attività fisica contribuiscono all’atrofia dei muscoli. Un giusto equilibrio ormonale e di elettroliti è fondamentale per la calcificazione delle ossa, ma anche il movimento contribuisce alla calcificazione attraverso 2 elementi, la pressione sviluppata sulla superficie delle ossa dalle contrazioni muscolari e quella della pressione atmosferica circostante. Durante le contrazioni si sviluppa, inoltre, un tipo particolare di energia che viene chiamata piezoelettrica, che contribuisce anch’essa alla deposizione di calcio. Durante il movimento si produce il liquido sinoviale e, poiché la cartilagine è priva di capillari sanguigni, questa è l’unica fonte del suo nutrimento. Se il paziente sta troppo fermo, quindi, la cartilagine non può assorbire il liquido sinoviale, perciò si secca, si frammenta e si usura come quella degli atleti sottoposti a esercizio stressante, e le fibre di fibrina elastica dei muscoli vengono sostituite sempre più da fibre rigide e di scarsa qualità con perdita dell’elasticità muscolo tendinea. Con l’immobilizzazione i tendini e i legamenti tendono, inoltre, a formare aderenze con i tessuti circostanti, a volte anche calcificazioni, e la velocità del sangue si riduce favorendo i processi trombotici e di deposito di scorie sulle pareti vascolari. Questo ostacola anche gli scambi nutritizi e di ossigeno con i tessuti e soprattutto con il cervello, dove entrano in sofferenza: i neuroni, che possono degenerare più facilmente, e le cellule della glia, fondamentali per l’interconnessione tra un neurone e l’altro, la cui importante funzione, ancora quasi del tutto sconosciuta, acquista sempre più importanza in conseguenza di recenti scoperte.
La salute è basata su 4 pilastri essenziali: acqua, movimento, mangiare sano e serenità. Per cui anche bere è fondamentale, e l’acqua acquisisce un ruolo imprescindibile per il benessere dell’anziano in quanto è alla base di tutte le reazioni chimiche che avvengono nell’organismo. L’atrofia muscolare, l’artrosi, la rigidità articolare, le neuropatie da compressione del midollo e dei nervi, i disturbi vascolari, la riduzione della vista e dell’udito nel loro insieme rendono l’equilibrio dell’anziano molto precario, esponendolo sempre a più pericolose e frequenti cadute, e nei casi più gravi alla relegazione in carrozzina”.
Ma qual è il segreto per vivere meglio? “Prendere pochi farmaci e soprattutto stare alla larga dai medici”, il dott Valastro conclude così, con un sorriso, tra gli applausi.
Clementina Speranza
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L’Etna, patrimonio Unesco, vulcano attivo più alto d’Europa, è indicato spesso al femminile e lo si chiama anche “a Muntagna”; secondo alcuni studiosi, questo uso rimanderebbe alla leggenda che narra di una ninfa il cui nome era, appunto, Etna.
All’interno di ViniMilo, la più antica manifestazione etnea dedicata ai vini e alla gastronomia del grande vulcano, si è svolta una degustazione a cura di Fondazione italiana sommelier Sicilia guidata dalla vicepresidente Agata Arancio. L’incontro, intitolato “L’Etna declinata al femminile”, vede come protagoniste le donne e l’Etna. A introdurre la masterclass il racconto di Francesca Salvago, sommelier, che parla dell’aura di misticismo che permea il vulcano.
“Etna è un vulcano con un nome da donna. Per spiegarlo vi porterò nel mondo fantastico del mito. L’Etna nasconde infatti una serie di misteri suggestivi ed è protagonista di numerose leggende mitologiche che lo rendono carismatico.
Etna era una ninfa, una bella fanciulla figlia di Urano e Gea che, rispettivamente, sono la divinità del Cielo e la divinità della Terra. È per questo che nell’immaginario collettivo l’Etna è il punto di unione tra il centro magmatico terrestre e l’azzurro celeste – racconta Salvago –. Tra le tante leggende che riguardano il vulcano, la più popolare è quella della lotta tra il gigante Tifeo e Zeus, il re degli dei. Tifeo, uno dei Giganti figli di Gea e fratello dei Titani, era una creatura gigantesca, metà animale e metà uomo. Aveva testa d’asino e ali da pipistrello, serpenti sulle spalle e due draghi al posto delle gambe.
Mossi dal desiderio di spodestare Zeus, i Giganti intrapresero una lunga e sanguinosa lotta. Quando Tifeo irruppe sull’Olimpo, le altre divinità, non appena lo videro, si trasformarono in animali e scapparono. Sconfitto dal temibile avversario, che dopo averlo ferito lo imprigionò in una grotta, Zeus riuscì a guarire e a liberarsi grazie alle cure di Ermes. Poi, ritornato sull’Olimpo col suo carro alato, mise in fuga Tifeo, che si rifugiò in Sicilia.
La battaglia finale tra i due avversari si consumò dove oggi sorge il vulcano Etna. Tifeo stava per sferrare il colpo di grazia contro Zeus quando la sua mano venne fermata dalla ninfa Etna, che sottomise Tifeo avvolgendolo con il proprio corpo. E così Zeus trionfò sul mostruoso gigante, immobilizzato dall’incredibile forza della bella ninfa e poi scaraventato nel ventre della terra dove si crede sia ancora prigioniero. La leggenda spiega che la terra alle pendici del vulcano è straordinariamente feconda a causa della simbiosi tra il fuoco di Tifeo e il corpo della ninfa Etna. Per il popolo che lo abita, il vulcano è benevolo come una madre e nello stesso tempo ha in sé una grande forza distruttiva, temuta ma profondamente rispettata.
Etna è, quindi, donna e vulcano. Etna richiama la figura di una donna coraggiosa e carismatica, così come coraggiose e carismatiche sono le viticoltrici che hanno deciso di fare impresa alle pendici del vulcano, consapevoli della complessità presentate dal territorio e dalla coltura della vite”.
Novella Trantino, Carla Maugeri, Enza La Fauci, Margherita Platania, Irene Badalà, Giusy Calcagno, Alice Bonaccorsi, Maria Pia Madaudo, Martina Grasso, Alice e Sofia Ponzini, le imprenditrici che si sono brevemente raccontate nel corso dell’incontro. Erano presenti anche Aurora Ursino, premiata come migliore agronoma d’Italia 2021 nel corso della Vinoway Wine Selection 2022, Tina Merlino olivocoltrice, Valentina Rasà, sommelier, agronoma e chef che ha presentato un piatto che “racchiude il concetto di Etna”.
Il tutto tra le note del violino di Ilaria Bonanno, anche lei sommelier.
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Ph Rosario Scalia
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