DISEGNI DI PRIMAVERA

DISEGNI DI PRIMAVERA

Ibiscus con leggere sfumature, ortensie tinte ad acquerello, grandi tulipani che si intrecciano con rami di fresia, o piccoli fiori di campo, trattati a pennellate acquose. Ma anche un giardino impressionista alleggerito dal volo di farfalle o una siepe fiorita di rosa canina selvatica. Sono alcuni tra i sofisticati tocchi di primavera della collezione di biancheria da letto Primavera Estate 2024 firmata Mirabello Carrara. Otto referenze in purissimo raso di cotone e in percalle Louisiana prendono forma in completi da letto. Ci sono poi copripiumini, trapunte, quilt, copriletti e biancheria da bagno. Ogni collezione regala un clima da sogno per i living.

Mirabello Carrara nasce nella meta del ’900. Diventa una combinazione che vede come protagonisti marchi storici e più recenti che hanno portato al brand tutta l’eleganza e la qualità dell’alta sartoria italiana. Appartenente al Gruppo Caleffi, azienda quotata in Borsa, nasce nel 2012 dalla loro fusione. Mirabello da sempre rappresenta e incarna il perfetto equilibrio fra il design contemporaneo e la nota eleganza sartoriale del territorio comasco. Carrara fondata nel 1948 raffigura ricercate collezioni in spugna con tocco glamour. Dal 2011 Mirabello Carrara è infatti licenziataria esclusiva Worldwide di Roberto Cavalli, a seguire nel 2015 Mirabello Carrara sigla un contratto di licenza esclusiva con Trussardi e nel 2016 viene acquisita l’ulteriore licenza esclusiva dell’iconico brand Diesel con il lancio della collezione Diesel Living Home Linen, con tessuti materici e decisa ispirazione industriale per collezioni dal sapore urban chic.

Isabella Scuderi

 

L’ARTISTA CHE FA A PUGNI CON LA TELA

L’ARTISTA CHE FA A PUGNI CON LA TELA

“Non colpisco per distruggere, ma per creare” è la sintesi del credo di Omar Hassan, artista di fama internazionale. La serie “Breaking Through” è espressione della action painting: Omar Hassan colpisce materialmente le tele con i guantoni da boxe impregnati di vernice. Fa a pugni fisicamente con la tela, catturando l’energia del gesto creativo.

Le tele sono con fondo bianco o nero della grandezza 1,6 per 2 metri e il tratto di Omar balza fuori, come un pugno di colore. La potenza e l’impeto della boxe, la cosiddetta nobile arte, si uniscono con la delicatezza e la leggerezza del gesto sportivo, trasferendo sulla tela squarci improvvisi di luce ed energia. Un’immagine che evoca la celebre frase di Muhammad Ali: “Pungi come un’ape, vola come una farfalla”. Alcuni suoi lavori sono nelle case di Spike Lee e Sharon Stone.

A soli 19 anni, a causa del diabete, Omar ha dovuto dire addio a una promettente carriera da pugile, ma ha saputo reinventarsi in campo artistico, la sua seconda grande passione. “Sono molto legato alla mia famiglia, ai miei genitori, che ringrazierò sempre perché sono due persone estremamente intelligenti. Mi hanno lasciato libero di fare le mie scelte”, rilette oggi le parole di Omar Hassan, pronunciate anni fa quando ha dovuto necessariamente cambiare senso di marcia, sono sorprendentemente un copia e incolla di quelle rilasciate da Jannik Sinner durante la premiazione degli Australian Open. È finito al tappeto senza però mai cedere alla tentazione di appendere al chiodo i suoi amati guantoni da boxe, facendone anzi uno strumento di redenzione.

Alcuni dei suoi 121 quadri (121 sono anche i round che Omar Hassan ha disputato in carriera prima dello stop forzato), che compongono la serie di opere “Breaking Through Black”, sono stati esposti alla IIIª edizione di (un)fair, la fiera-non fiera di arte contemporanea, che si è svolta dall’1 al 3 marzo al Superstudio Maxi di Milano.

La boxe è per Omar Hassan metafora della vita stessa. “Siamo tutti pugili. Ognuno ha le sue croci. Al mondo ognuno è da solo. Quando cadi devi imparare a rialzarti. Puoi trovare conforto con mamma, papà, moglie, figli, ma solo per un minuto. Lo stesso minuto di pausa che hai a disposizione tra un round e l’altro, quando vai all’angolo dal tuo team. Poi però sul ring sei da solo. Questa è la vita”.

EMME22

 

UN’INSTALLAZIONE INTERATTIVA AL MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA

UN’INSTALLAZIONE INTERATTIVA AL MUSEO NAZIONALE SCIENZA E TECNOLOGIA

The Wall of Sound” è un’istallazione che permette al pubblico di creare suoni partendo dalla propria voce e da quanto memorizzato nell’opera. The Wall of Sound vuole essere un atto comunicativo, un’esperienza empirica che accompagna in un percorso di luce e suoni ipnotici. È un esperimento per portare strumenti per la creazione di musica elettronica in uno spazio pubblico e creare una piattaforma aperta per l’espressione musicale di tutti. Grazie all’utilizzo di campionatori e sequencer, organizzati su una parete in nodi di forma esagonale collegati fra loro, la voce dei partecipanti, registrata e riprodotta, diventa parte dell’opera stessa, producendo infinite variazioni di sequenze.

È l’ultima creazione di PanGenerator, un collettivo di new media art & design di Varsavia fondato da Piotr Barszczewski (ex membro), Krzysztof Cybulski, Krzysztof Goliński e Jakub Koźniewski. Dal 2010 il gruppo esplora nuovi mezzi di espressione creativa e di interazione con il pubblico, al confine tra arte, design e ingegneria.

“The Wall of Sound” si inserisce come quarta opera nel programma di installazioni permanente di arte digitale chiamato Digital Aesthetics. Sarà possibile visitare l’installazione dal 3 ottobre presso il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, a Milano, grazie al sostegno di IBSA Foundation per la ricerca scientifica che è Partner Scientifico per le iniziative del Museo, rinnovando una collaborazione nata già nel 2019 con il fine di dare un contributo concreto allo sviluppo del legame tra arte e scienza e ai progetti di divulgazione della cultura scientifica. Digital Aesthetics ha scelto questo museo perché è il luogo dell’arte, e lo testimonia il nome che porta, come se Leonardo mettesse insieme tutte le sue conoscenze ed esperienze per creare arte. Si inserisce nell’ambito della Milano Digital Week, manifestazione italiana dedicata all’educazione, alla cultura e all’innovazione digitale promossa dal Comune di Milano.

Giacinto Di Pietrantonio, curatore del progetto, professore presso lo IED e critico d’arte, ci ha accompagnati a scoprire l’opera d’arte e in una piacevole chiacchierata con gli artisti Krzysztof e Jakub.

In questa opera la meccanica si fonda con l’elettronica, la prima cosa che si nota è la struttura fatta di maglie e di nodi che rimanda all’arte astratta, inoltre sui nodi sono ben visibili i chip, l’hardware e i componenti elettronici non sono nascosti.

In tutti gli oggetti che ci circondano basterebbe togliere qualche vite per arrivare a vedere i micro chip, in quest’opera abbiamo deciso di esplorare anche la parte estetica dei componenti, mettendola in evidenza, integrandola con il tutto. È la metafora della scatola nera, la tecnologia che si nasconde agli occhi, abbiamo voluto giocare con l’estetica per non nascondere l’elettronica. Non vogliamo nascondere gli elementi costitutivi, cioè i singoli componenti, vogliamo fare come alcuni artisti che fanno vedere il tratto del pennello sulle proprie tele.

Voi artisti avete delle specializzazioni diverse, quali?

PanGenerator è un collettivo di new media art & design di Varsavia fondato da Piotr Barszczewski (ex membro), Krzysztof Cybulski, Krzysztof Goliński e Jakub Koźniewski. Dal 2010 il gruppo esplora nuovi mezzi di espressione creativa e di interazione con il pubblico, al confine tra arte, design e ingegneria.

Siamo un gruppo con competenze diverse e più lavoriamo assieme più impariamo uno dall’altro, Krzysztof è musicista, Jakub è il principale progettista, c’è chi si occupa dell’elettronica, mentre il software lo sviluppiamo insieme. Inoltre, l’interazione con la comunity open source è un continuo flusso di apprendimento che ci permette di esplorare nuovi percorsi della conoscenza.

Le vostre opere interagiscono con l’osservatore, cioè l’opera artistica si completa con esso.

L’arte moderna che va per la maggiore è ermetica, e il pubblico deve leggere pagine redatte da esperti d’arte per capirne il significato. Le nostre sono opere rivolte a tutti e invitiamo il pubblico a partecipare alle stesse. Realizziamo delle interfacce con l’utente ‘user friendly’, cioè l’opera d’arte deve essere accessibile a tutti senza un esperto che la illustri. L’opera d’arte non è solo dell’artista, ma si realizza insieme al pubblico e con esso si completa. Noi vogliamo che il pubblico interagisca in maniera sensoriale con l’opera.

Le vostre opere presentano comunque una componente ludica.

In fondo è collegata al modo di come lavoriamo, siamo bambini che si vogliono divertire. Ci troviamo insieme e facciamo brain-storming e da lì nascono idee che condividiamo. L’arte non è solo una cosa seria, in fondo le nostre opere sono delle forme di intrattenimento e l’aspetto ludico è intrinseco. Nel processo creativo ci deve essere una parte ludica, altrimenti non si arriverebbe ai risultati voluti.

La tecnologia elettronica e il mondo digitale escludono una parte del valore della materia fisica.

Lavoriamo al margine fra la dimensione fisica e digitale, ma non dimentichiamo che il cloud non ha solo una dimensione mistica perché i dati sono su un supporto fisico che sono gli hard disk. Vogliamo stimolare le persone portando gli algoritmi nel modo fisico, umanizzandoli per recuperare la nostra dimensione umana. A differenza della realtà virtuale, del metaverso, noi vogliamo stimolare tutti i sensi umani del pubblico.

Come funziona questo reticolato di metallo e il chip?

The Wall of Sound è stato progettato per partecipare alla Katowice Street Art Urban Sound 2019.Sono dei sintetizzatori che possono registrare e riprodurre dei suoni preregistrati, la riproduzione può avvenire con sequenze diverse. Così abbiamo una cacofonia più che una sequenza musicale, questa è l’arte brutale. Quello che viene generato è frutto delle persone che hanno interagito precedentemente con l’opera, e ognuno va ad aggiungere la propria componente.

Ogni nodo utilizza un campionatore che è in grado di registrare 10 secondi di audio, con la manopola si può direzionare l’invio della musica a un altro nodo e il relativo comando della barra di LED luminosi. La musica scorre lungo la maglia e a ogni nodo viene sia riprodotta che inviata al nodo successivo. Ogni modulo è indipendente, non c’è un pc centrale e l’opera può crescere all’infinito.

Il pubblico del Museo potrà sperimentare la nuova installazione di arte digitale liberamente. L’opera sarà aperta al pubblico fino a domenica 7 aprile 2024 tutti i sabati, le domeniche e nei giorni festivi, dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 17.

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STEFANO ROVELLI

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IL LOFT DEL TEMPO

IL LOFT DEL TEMPO

Con il trascorrere delle epoche l’orologio ha travalicato il significato per il quale è stato ideato, quello di registrare appunto il passare del tempo, diventando uno status symbol, decodificatore degli usi e costumi di popoli diversi e di differenti generazioni. Gli orologi, inoltre, dicono molto della personalità di chi li indossa e lo sanno molto bene le famiglie Hausmann e Frielingsdorf che da tre secoli si occupano del tempo. Un tempo miniaturizzato, fatto di ingranaggi millimetrici che restituiscono una scansione perfetta del suo scorrere.

Hausmann & Co. è un’attività nata nel 1794, anno in cui è stata aperta la bottega dell’orologiaio Romano Ricci a Roma nel Palazzo Piombino. Nel 1870 il figlio Innocenzo Ricci decide di unirsi a un esperto orologiaio di origini tedesche, Ernst Hausmann, che nel 1881 rileva l’orologeria alla quale conferisce il proprio nome, diventando subito celebre nel settore. Ernst Hausmann si affianca a sua volta a un tecnico tedesco Hermann Frielingsdorf e, per celebrare questa unione, il nome dell’azienda diventa Hausmann & Co. I discendenti di queste due famiglie curano ancora oggi l’attività dell’azienda.

Per la precisione sono cinque le generazioni che si sono succedute, tutte animate da un impegno: quello di creare, restaurare e vendere prodotti d’eccellenza delle grandi Maison, ma anche di scoprire nuove firme nell’orologeria di lusso mondiale. Dall’apertura della prima bottega e dall’opening di nuove boutique, in partnership con Rolex, Patek Philippe e Tudor, Hausmann & Co. annuncia ora la nascita di LOFT: un hub dedicato alla cultura dell’alta orologeria. “LOFT rappresenta il nostro legame con il passato e lo slancio verso il futuro – raccontano gli amministratori del Gruppo Francesco Hausmann e Giulia Mauro –. L’idea è quella di creare un salotto contemporaneo dove scoprire il mondo dell’alta orologeria attraverso l’innovazione e la tecnologia. Generare una community dove i clienti siano stimolati a tornare non solo per acquistare, ma per vivere a 360° la passione per questo mondo, per scoprire le novità, approfondire la propria conoscenza, oppure solo godere dell’atmosfera accogliente in Via San Giacomo, a Roma”. LOFT si rivolge a quattro tipologie di pubblico: i collezionisti attratti dal mondo vintage che si ispirano alla classicità, i giovani creativi attenti alla ricerca, gli appassionati della tecnologia, e persone ecclettiche amanti degli orologi e degli accessori, tutti personalizzabili da un mastro pellaio che realizza qualsiasi tipo di cinturino.

Per la creazione del punto vendita, l’azienda si è affidata alla visione e all’esperienza degli architetti Giorgio Grandi (GGAStudio) e Marco Covini(VisualProjectStudio). Varcando la soglia dello store si è subito proiettati in un’atmosfera senza tempo dove i rimandi al passato vengono sapientemente cuciti all’interno di una struttura moderna, fatta di tratti linguistici decisi e dotata di funzionalità contemporanee che la proiettano verso il futuro. “Diversi i frammenti che citano e rievocano il negozio di Via del Corso dove ebbe inizio la storia di Hausmann & Co.: lo chandelier che accoglie all’ingresso, l’orologio sospeso sulla Galleria o ancora il tappeto decorativo a pavimento, una citazione in chiave tecnologica che riporta a quello presente nello storico negozio – precisano gli architetti Grandi e Covini –.  Un modo per entrare in empatia con i clienti affezionati nel tempo, ma anche per accogliere chi non conosce il passato del Gruppo ma fin da subito ne percepisce l’eccellenza”.

Non a caso all’ingresso è posizionata una seduta sculturale che invita a sedersi e a respirare l’atmosfera che unisce passato e futuro. Nella welcome area invece troneggia uno storico banco per la vendita restaurato, memoria del negozio in via del Corso. Subito a destra è posizionato il laboratorio arricchito da una scenografica carta da parati che ricompone graficamente un antico meccanismo in grado di connettere il passaggio del tempo con l’allineamento dei pianeti. In questo luogo i mastri orologiai sono a disposizione della clientela per restaurare i preziosi meccanismi. Dalla welcome area si accede alla zona vendita, un salone moderno con delle aree riservate che creano un’accoglienza quasi familiare dove l’ambiente è riscaldato da un grande camino per una modalità di vendita più intima e raccolta. Mobili e pareti sono imbottiti in tweed per creare un’atmosfera ancora più ovattata grazie anche alle sue qualità fonoassorbenti. Un fil rouge visivo è la grande cornice nera in FENIX di Arpa Industriale che ruota intorno a tutti gli ambienti. Sopra LOFT è posizionato il grande ledwall di Samsung che anima la sala in occasione di eventi.

La boutique è anche caratterizzata da due antiche casseforti riportate a nuova vita dalla finitura effetto bronzo creata appositamente da Oikos. Attraverso una scala illuminata si accede al primo piano dove si trova l’angolo per realizzare cinturini personalizzati. Sempre al primo piano si trova la Vip Room e la Play Room (uno spazio pensato per meeting ed eventi privati).

Tutto contribuisce a rendere il luogo poetico, come le delicate lanterne che accompagnano il momento della vendita, per riscoprire così in modo profondo il Tempo. Quel tempo con la T maiuscola che Charles Dickens ha definito: Il più grande e il più antico di tutti i tessitori. Ma la sua fabbrica è un luogo segreto, il suo lavoro silenzioso, le sue mani mute.

Simone Lucci

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HELMUT NEWTON A PALAZZO REALE

HELMUT NEWTON A PALAZZO REALE

A Palazzo Reale a Milano sono in mostra riviste, documenti, video su Helmut Newton e 250 sue fotografie. Ci sono i ritratti di personaggi famosi e le sue modelle, nude, ma con le scarpe perché Newton non gliele faceva mai togliere. Erotiche ma eleganti. Ci sono anche numerosi scatti realizzati in Italia: a Capri, a Brescia, sul lago di Como. Newton veniva spesso in Italia perché il suo agente più importante, Davide Manfredi, era italiano e perché ha collaborato spesso con marchi italiani, Blumarine, Mario Valentino, Lavazza.

White Women

Accanto alle immagini iconiche, un corpus di scatti inediti, presentati per la prima volta in Italia, svela aspetti meno noti dell’opera dell’artista, con un focus specifico sui servizi di moda più anticonvenzionali. Polaroid e contact sheet permettono di comprendere il processo creativo che si cela dietro alcuni dei motivi più significativi del suo lavoro. Pubblicazioni speciali, materiali d’archivio e dichiarazioni del fotografo consentono di ricostruire il contesto nel quale è nata l’ispirazione di questo straordinario artista.

In allestimento, un percorso articolato in capitoli cronologici (’60 – ’70 – ’80 – ’90 – CONTEMPORANY) dove i visitatori possono attraversare le fasi e le evoluzioni della vita e della carriera di Newton, dagli esordi fino agli ultimi anni. La moda, il nudo, il ritratto, ma anche i tacchi, la lingerie, i collant, il rossetto e le pellicce sono i temi ricorrenti che attraversano tutte le stanze della mostra e l’intera produzione dell’artista.

Nel 1956 Newton collabora con Vogue Australia, Vogue Inghilterra e con Henry Talbot, nello studio che condividevano a Melbourne.

Negli anni sessanta, a Parigi, matura il suo stile inimitabile. La sua visione dinamica si manifesta, ad esempio, in una serie di fotografie delle produzioni dello stilista André Courrèges che Newton scatta per la rivista britannica Queen nel 1964, o nei suoi lavori per Vogue Francia ed Elle Francia.
In questo periodo, il fotografo sviluppa intense collaborazioni con Yves Saint Laurent e Karl Lagerfeld attraverso le quali cattura lo spirito del tempo, segnato dalla rivoluzione sessuale, senza limitarsi alla rappresentazione dell’abbigliamento come accessorio, con una fotografia dal taglio metafisico. A metà degli anni sessanta egli acquista una casa vicino a Saint-Tropez, luogo che diventerà sfondo per innumerevoli suoi scatti. Si fa strada allora l’interesse per il tema del sosia, che l’artista comincia a elaborare attraverso duplicazioni di immagini e accostamenti di manichini e modelli dal vivo. Le diverse commissioni da parte di riviste internazionali lo spingono a viaggiare a Venezia, Londra, Milano, Roma, Montréal e Tunisi.

Negli anni settanta, uscendo dai canoni della fotografia di moda classica, Newton realizza immagini sempre più provocatorie, stravolgendo set e impiegando modelli e stylist in modo non convenzionale. Allarga ulteriormente le possibilità creative dei suoi servizi fotografici: in elicottero, su una spiaggia alle Hawaii, in hotel parigini. Con la sua opera, testa i limiti sociali e morali, arrivando a ridefinirli. Le sue modelle appaiono eleganti ed erotiche, anarchiche e giocose. Immagini che catturano e ingannano l’occhio: solo a un esame più attento si distingue ciò che è reale da ciò che è ricostruzione o rievocazione delle sue idee e osservazioni. L’ ispirazione per questi scatti viene dalle fonti più disparate: il surrealismo, i racconti di fantasia di E.T.A. Hoffmann, le trasformazioni viste nel film “Metropolis” di Fritz Lang.

Nel 1981 pubblica l’innovativa serie “Naked and Dressed”, che appare nelle edizioni italiana e francese di Vogue e successivamente nei suoi libri. Il nuovo concetto visivo dei dittici consiste nel far posare, gli uni accanto agli altri, modelli nudi e vestiti, raccontando così lo spirito del tempo, ad esempio i cambiamenti del ruolo delle donne nella società occidentale. Parallelamente a queste immagini produce i primi cosiddetti “Big Nudes”, sia per la carta stampata che come stampe a grandezza naturale. A partire dal 1987 Newton crea la propria rivista di grande formato, “Helmut Newton’s Illustrated”, costituita da quattro numeri pubblicati a intervalli irregolari.

Negli anni novanta, l’artista usa un approccio ancora più innovativo e all’avanguardia, lavorando sia per editoriali di moda che per grandi commissioni e campagne pubblicitarie di stilisti quali Chanel, Thierry Mugler, YSL, Wolford, e clienti come Swarovski e Lavazza. In questo periodo le immagini di moda iniziano ad affermarsi nel mercato dell’arte con quotazioni “stellari” alla luce della crescente consapevolezza del significato culturale del genere. Newton riceve premi in Francia, Monaco e Germania come riconoscimento della sua totale dedizione alla fotografia.

L’ultima selezione di scatti vede intrecciarsi ancora una volta, nel modo unico di Newton, i principali temi approfonditi nel corso della sua carriera: la moda, il nudo e il ritratto. Si tratta di un’ultima potente testimonianza del carattere unico e della straordinaria visione del fotografo.
Fino alla fine della sua vita Helmut Newton ha continuato a incantare e provocare con la propria  singolare interpretazione della femminilità. Il suo lavoro per oltre sei decenni ha sfidato ogni tentativo di categorizzazione. Nessun altro fotografo è mai stato pubblicato quanto Helmut Newton, e alcune delle sue immagini più iconiche sono diventate parte della nostra memoria visiva collettiva.

Il vero nome del fotografo era Helmut Neustädter, lui nasce a Berlino nel 1920 da una ricca famiglia di origine ebraica ed esprime presto il suo interesse per la fotografia. Inizia la propria formazione all’età di 16 anni affiancando la famosa fotografa di moda Yva, ma presto lascia la Germania per sfuggire alla persecuzione nazista. Dopo alcuni viaggi in cui lavora come fotoreporter, apre a Melbourne un piccolo studio con il supporto della futura moglie, l’attrice June Brunell, sua musa e fotografa, nota con lo pseudonimo di Alice Springs perché Newton voleva che ci fosse un solo fotografo col suo cognome. Lei lo affiancherà per tutta la vita: 55 anni insieme, fino alla morte di lui (Helmut Newton è scomparso nel 2004, lei nel 2021, ndr).

La mostra milanese di Newton ha visto l’impiego di materiali sostenibili, riciclati, riciclabili e riutilizzabili: il rivestimento della pavimentazione è una moquette di nylon rigenerato ECONYL® realizzato dal Gruppo Aquafil con Radici; le pareti hanno pannellature in MDF rivestite da tessuto di cotone fornito da Tessuti di Sondrio/Gruppo Marzotto. A fine mostra i tessuti diventeranno parte del Best Stock di Cittadella dell’Arte Fashion Best Fondazione Pistoletto Onlus. Una speciale Tote bag disegnata da Tiziano Guardini, sustainability consultant della rassegna, è stata realizzata in Vegea, tessuto simile alla pelle ricavato dagli scarti dei processi di vinificazione.

La mostra, pensata per il centenario della nascita di Newton, nel 2020, e rimandata a causa della pandemia, già passata per Berlino e Vienna, dopo la tappa milanese approderà anche a Roma e Venezia. A Milano sarà visitabile fino al 25 giugno 2023. È promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino.

 L’esposizione è parte di Milano Art Week (11 – 16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart, che mette in rete le principali istituzioni pubbliche e le fondazioni private della città che si occupano di arte moderna e contemporanea, con una programmazione dedicata di mostre e attività.

È stata curata da Matthias Harder e da Denis Curti. Matthias Harder ha lavorato anche alla mostra sulla moglie di di Newton, inaugurata a Berlino, il 2 giugno 2023, che girerà poi in tutto il mondo.

 

Matthias Harder ha studiato Storia dell’arte, Archeologia classica e Filosofia a Kiel e Berlino. È membro della Società tedesca di fotografia e del consiglio consultivo del Mese europeo della fotografia. Dal 2004 lavora come capo curatore presso la Fondazione Helmut Newton di Berlino (dal 2019 anche come direttore della Fondazione), pubblica regolarmente su autorevoli riviste internazionali, come Art in America, Foam, Aperture, Eikon, Photonews, e ha scritto numerosi articoli per libri e cataloghi di mostre.

Denis Curti è direttore artistico del nuovo centro di fotografia veneziano, Le Stanze della Fotografia, nonché consulente e curatore di mostre di fotografia e arte contemporanea. Direttore della Fondazione Italiana per la Fotografia di Torino negli anni novanta e curatore delle prime aste fotografiche di Sotheby’s tra il 2002 e il 2003, per oltre 15 anni è stato giornalista e critico fotografico per Vivimilano e il Corriere della Sera. È direttore dell’Agenzia Contrasto e del mensile Il Fotografo. Nel 2014 ha fondato la galleria STILL Fotografia.

EMME22

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ARTISTI PERSIANI IN MOSTRA A MILANO

ARTISTI PERSIANI IN MOSTRA A MILANO

Si è da poco conclusa la mostra che ha portato un po’ di Persia a Milano. Musica, profumi, proiezioni, tappeti, dipinti hanno creato una magica atmosfera durante la collettiva di 4 artisti persiani: Hoda Pishraft, Nadia Shokraie, Ladan Tofighi Niaki e Babak Monazzami. In esposizione anche 53 foulard in seta di fattura iraniana decorati artigianalmente con tecnica batik.

Moda e arte si sono incontrate nell’atelier di Fiorella Ciaboco. Giornalisti, buyer e appassionati di moda e arte hanno conversato con gli artisti, ammirato le loro opere e le creazioni sartoriali della padrona di casa. In allestimento le cappe Kimono, segno di riconoscimento della Ciaboco, realizzate con diversi tessuti, dal broccato alla seta, e dipinte a mano su lino, tutte sapientemente abbinate alle opere da Olga Panova, curatrice della mostra, con alle spalle un passato di critica d’arte a San Pietroburgo e di gallerista con uno spazio a Milano.

La presenza e la disponibilità degli artisti hanno coinvolto il pubblico presente. “Ho scelto di portare in mostra la mia ultima opera ‘la ragazza sasanide’ perché simbolo della nostra civiltà millenaria – precisa Babak Monazzami –. Ho spiegato al pubblico presente che lo strumento che ha in mano è, chiamato “tar” ed è l’antenato della chitarra. Il foulard che le copre il capo è detto ‘golvani’, le donne spesso lo adornavano con monete, pietre preziose, spille, fiori, ecc., in passato era facoltativo indossarlo, ma oggi sappiamo bene che non è più così”. Dell’artista Babak Monazzami anche 3 tele riguardanti il buddismo: Monaci Tibetani, Il Dalai Lama bambino, In lighting.  “Ho scelto di portare queste tele per raccontare che quando è nato il buddismo, il territorio in cui ha avuto origine faceva parte dell’Iran. Inoltre, la filosofia di uno dei profeti iraniani, Mani (pittore e medico), è stata molto influenzata dal buddismo. Mani infatti aveva incontrato i buddisti che vivevano nella parte ovest dell’Iran (circa 500 anni dopo Cristo)”, spiega Monazzami.

A Monazzami è stata affidata anche la presentazione geografica e storica, dell’Iran, con brevi cenni sulla storia del costume.

Una mostra che ha quindi raccontato lo splendido passato di un paese dalla cultura millenaria che è importante tenere viva consentendo ai giovani persiani la libertà di esprimersi con la loro arte, e mantenendo vigile l’attenzione su quanto accade lì oggi.

Alla mostra-evento era presente l’artista Ladan Tofighi, in Italia dal 2012, che nelle sue opere (olio su tela e china) cerca di esprimere la sua giocosità infantile rappresentando la nuda verità con un tocco di sarcasmo e ironia. Due sue opere in mostra, parte di una raccolta di dipinti su carta realizzati in china acquerellata, rievocano scene di vita quotidiana a Teheran, città dove lei è nata e cresciuta. Sono  The Beginning Of Spring e Bike To Hell. Lei afferma: “Se a una persona non vengono date scelte, alla fine la sua immaginazione non è più sicura. Il corpo le diventa estraneo, e dimenticare di amarsi è quasi una conseguenza. Alla fine si perde il senso di identità, la direzione e la libertà di sognare”. In mostra anche The Emancipation in The Apocalypse e Under The Orange Tree.

 

Hoda Pishraft ha portato in mostra 3 dipinti e 11 tele nelle quali ha creato una combinazione di arte occidentale e orientale. “Ho mescolato una tecnica di fabbricazione della carta, che ho imparato in Italia, con tecniche di tessitura Kilim, apprese in Iran”. Per lei la vita è come dipingere. “Bisogna tracciare le linee con la speranza e cancellare gli errori con la calma. Immergere il pennello nella pazienza e dipingere con amore”, conclude Hoda.

Prive dell’artista, che si trova in Iran, le 8 opere di Nadia Shokraie Pour, tra tutte: “Senza titolo”, già esposta nella prestigiosa collettiva “Artisti a villa Clerici”, mostra degli artisti dell’Enciclopedia d’Arte Italiana. “Mio padre inizialmente non era d’accordo che imparassi a dipingere, poi dopo l’Università e le lezioni di arte, la mia passione è stata sempre più forte, e ho deciso di continuare. Vedo un’immagine nella fantasia e poi comincio a dipingere. È dipingendo che mi sento libera e sento una forza enorme dentro di me”, racconta Nadia.

Abgusht, kate, hummus e ferni, sono piatti tipici della cucina persiana.  A questi sono stati abbinati 3 vini: il Rosso Toscana I.G.T. (25% Cabernet Sauvignon, 25% Merlot, 25% Syrah, 25% Sangiovese), Galio ToscanaI.G.T.Rosato (Sangiovese 100%), Pet Nat Spumante Bianco I.G.T. (Trebbiano, Grechetto, Malvasia). I vini della cantina toscana Poggio del Moro sono stati offerti dalla titolare Tania Kuznetsova, amante dell’arte che da sempre appoggia progetti e mostre. Sono ricavati con un’agricoltura biologica e biodinamica, da vigne che si sviluppano su 14 ettari nella zona di Chianciano Terme, in provincia di Siena. Cibi e vini degustati con un sottofondo di musiche iraniane hanno accompagnato lo spettatore in un viaggio al di là dell’Arte.

La mostra è stata ideata dalla rivista EMME22 che, nella sezione ARTE, offre approfondimenti su mostre e artisti, e propone una sintesi per immagini attraverso i video pubblicati sui suoi social.

Della squadra di EMME22 fanno parte Olga Panova e Nino Carè che hanno rispettivamente curato e allestito la mostra.

Foto di testata La ragazza sasanide (acrilico su tela) di Babak Monazzami