MODA E DESIGN SOSTENIBILI: DA AVANZI DI LAVORAZIONE A BORSE ECOFRIENDLY

MODA E DESIGN SOSTENIBILI: DA AVANZI DI LAVORAZIONE A BORSE ECOFRIENDLY

Ilaria Venturini Fendi, la più giovane delle figlie di Anna Fendi, è stata a lungo Shoe Designer Fendi oltre che Direttore Creativo Accessori Fendissime.  Alcuni anni dopo la vendita dell’azienda di famiglia a un gruppo francese, lascia la società per dedicarsi all’agricoltura biologica. Traendo ispirazione dalla sua nuova vita legata alla terra e alla difesa dell’ambiente e riscoprendo le sue radici di designer, nel 2006 crea Carmina Campus, un marchio di moda sostenibile che unisce i valori del lusso e della bellezza alla responsabilità sociale d’impresa.

Patrizia Moroso, invece, è l’art-director della Moroso S.p.a., azienda di famiglia specializzata nella produzione di divani, poltrone e complementi d’arredo. Patrizia Moroso entra operativamente nel management alla metà degli anni ottanta. Dotata di spirito creativo e innovativo, Patrizia ha una curiosità insaziabile per tutte le forme artistiche che la porta a essere in anticipo sui tempi. Disinvolta talent scout, ama lavorare con le diversità.

In occasione di Udine Design Week21, Carmina Campus e Moroso si incontrano e uniscono le due realtà produttive, differenti per ambiti e dimensioni, ma simili per approccio concettuale. Le due menti creative, Ilaria Venturini Fendi e Patrizia Moroso, condividono una visione del design in cui il valore della diversità non è solo estetico e qualitativo, ma anche culturale, concettuale e ambientale. Il punto d’incontro sono i materiali che creano un dialogo tra un oggetto d’arredo e uno da indossare: infatti le borse Carmina Campus sono realizzate con gli avanzi di lavorazione del rivestimento della poltroncina Redondo di Patricia Urquiola per Moroso.

I tessuti trapuntati con cui Moroso riveste i suoi imbottiti e le sue sedute trovano un riutilizzo anche nelle dimensioni più piccole degli avanzi di lavorazione diventando materia prima per Carmina Campus. Velluti dall’aspetto setoso e cangiante (ciclamino, bluette, verde petrolio, verde acido, grigio fumo, ma anche in colori caldi come il ruggine, il beige, l’arancio, il prugna), jersey millerighe in nuance pastello o intense tonalità di bluette e verde, e canvas color sabbia, grigio, azzurro polvere diventano minibag, tracolle rettangolari o dal fondo stondato, comode shopper a due manici, zaini multifunzione.

Ilaria Venturini Fendi ha avviato la sua personale ricerca sul recupero e riuso di materiali dismessi o di scarto dopo aver lavorato a lungo secondo le modalità tradizionali della moda, che partiva dall’idea di una collezione per poi individuare le materie prime più adatte a realizzarla. Capovolgendo il processo creativo, ormai da più di quindici anni con il suo brand si dedica alla ricerca di materiali che non sono più idonei al loro originale utilizzo ma diventano il punto di partenza per elaborare di volta in volta una nuova collezione o un nuovo progetto, spesso in collaborazione con industrie che non appartengono alla moda o al tessile. “Sono tanti i materiali che reinterpreto facendoli diventare parte di una borsa o di un oggetto di design – spiega Venturini Fendi –. Spostare l’attenzione sui tessuti prima che sull’idea può essere una limitazione e una sfida creativa per un designer, ma coglie l’importanza che le materie prime hanno nell’ottica di un sistema produttivo più circolare, in cui nel design possano convergere originalità, bellezza e sostenibilità”.

Patrizia Moroso ha una concezione del prodotto fondata non solo sull’eccellenza qualitativa ed estetica, ma anche sulla proiettabilità nel futuro. “La storia di Moroso è la storia delle relazioni con i designer, gente che il mondo sta cercando di cambiarlo positivamente, con intelligenza e con quella febbre che muove sempre gli artisti davanti alla bellezza – afferma Moroso –. Chiedo loro di immaginare un mondo, non solo un oggetto, e di metterlo in relazione con il futuro”. Un’idea di futuro in cui durevolezza e progettualità sono concetti sostenibili. “Produrli bene oggi per farli durare domani. La nostra idea di sostenibilità inizia già dal progetto con il quale trasmettiamo la necessità di trattare la materia prima in modo alternativo”, precisa l’art-director.

In questa ottica, mescolare e connettere permette di dar vita a relazioni in cui il design e la creatività sono al centro della cultura contemporanea, infatti il sogno di Patrizia Moroso è di convincere che il design sia una cosa meravigliosa e che la diversità sia la ricchezza più grande che abbiamo. Collaborare, dialogare per progetti sostenibili è il modo migliore per non disperdere questa ricchezza.

Simone Lucci

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LA DIVERTENTE MOSTRA “I LOVE LEGO”

LA DIVERTENTE MOSTRA “I LOVE LEGO”

Sono i moduli più famosi al mondo. Più di un milione di mattoncini assemblabili e costruzioni che incantano. Un caleidoscopio di colori per I LOVE LEGO, una mostra pensata per sognare, divertirsi, scoprire il proprio lato ludico e creativo scrutando tra i dettagli di mondi in miniatura.
Opere di architettura e ingegneria, decine di metri quadrati di scenari interamente realizzati con mattoncini Lego®. Città moderne e monumenti antichi, dalla città contemporanea ideale alle avventure leggendarie dei pirati, dai paesaggi medievali agli splendori dell’Antica Roma, ricostruiti e minuziosamente progettati.

Tra le diverse installazioni sono presenti anche 17 oli ispirati a grandi capolavori della storia dell’arte reinterpretati e trasformati in “uomini lego” dall’artista contemporaneo Stefano Bolcato, che unisce la sua passione per i Lego® e la sua arte. Attraverso una tecnica pittorica a olio, l’autore crea forme di assemblaggio ispirate dal “magnetismo” dei ritratti rinascimentali.

Così, l’artista propone la sua versione di Canto d’amore, del 1914 opera di Giorgio De Chirico, del ritratto di Dante Alighieri realizzato da Sandro Botticelli e di quello di Guidobaldo da Montefeltro di Raffaello, dell’autoritratto con scimmia di Frida Kahlo, della Gioconda di Leonardo da Vinci, de L’uomo senza memoria di Renè Magritte. E poi ancora i ritratti di Lady Diana, Maria Montessori e Yayoi Kusama. Con acrilico su tela: Angel di Keith Haring, Brick Having di Keith Haring, Stepping out di Roy Lichtenstein.

Sette fantastici diorami sono stati costruiti grazie alla collaborazione di un gruppo di appassionati collezionisti.

Classic Space
Ideato e progettato da uno dei più grandi collezionisti di set e pezzi originali della serie Anni ’80 Lego® Classic Space, Massimiliano Valentini, il grande diorama “Spazio” riproduce un insediamento minerario lunare. In questo futuristico scenario l’uomo si avvale dell’aiuto di astronavi, droidi e macchinari per la ricerca di nuove risorse. La sua realizzazione è in continuo divenire in quanto di volta in volta si arricchisce di nuovi elementi unici e irripetibili creati dal costruttore che trae ispirazione oltre che dalla serie originale anche dalle più importanti saghe di fantascienza cinematografiche.

Grande Diorama City

Il Grande Diorama City (work in progress dal 2016) è la massima espressione del tema cittadino rappresentato da costruzioni uniche e irripetibili, realizzate interamente con mattoncini originali utilizzando sia tecniche di costruzione tradizionali sia tecniche anticonvenzionali: 200 mila pezzi.
I costruttori progettano e realizzano indipendentemente le loro opere usando modelli e stili diversi, utilizzando schizzi, disegni tecnici ma anche software di progettazione dedicati ai mattoncini Lego. La collezione di queste creazioni viene arricchita costantemente da nuove opere composte da migliaia di mattoncini e ricche di particolari.

L’assetto urbano viene definito usando software CAD più convenzionali; si delineano così quartieri del centro storico, tratte ferroviarie, zone verdi e aree ricreative.

Roma e i fori imperiali – Il foro di Nerva

Antonio Cerretti con un diorama di 80 mila mattoncini fa il Foro di Nerva o Transitorio, uno dei fori definiti come imperiali, un insieme di monumentali piazze che costituivano il centro della città di Roma in epoca imperiale. Iniziato dall’imperatore Domiziano, fu inaugurato dal suo successore Marco Cocceio Nerva nel 97 d.C.

La pianta del Foro di Nerva fu condizionata dallo spazio disponibile tra i complessi precedenti: la piazza ebbe una pianta stretta e allungata. Al centro del foro era presente il tempio di Giano, realizzato come arco quadrifronte. All’estremità la piazza era dominata da un tempio dedicato a Minerva dietro al quale era posizionata la Porticus Absidata, un ingresso monumentale all’area dei fori dal quartiere limitrofo. Il lato breve opposto al tempio, a ridosso del Foro Romano, aveva pianta curvilinea. Su questo lato doveva esistere un ingresso dal Foro Romano, forse identificabile con l’Arcus Nervae citato in alcune fonti medioevali.

Pirati

È ispirato alle avventure leggendarie nei lontani mari caraibici.
Le opere contenute hanno richiesto svariati tentativi e modifiche, di natura sia stilistica che strutturale. L’atollo di origine vulcanica è ritenuto il posto perfetto per nascondere i tesori di mille scorribande mentre gli indigeni sono pronti a difendere il proprio territorio. I gendarmi sono appostati per recuperare il bottino e imprigionare i malviventi.
Il kraken, mostro marino leggendario dalle dimensioni abnormi (5.350 pezzi) è stato progettato interamente in digitale con successive modifiche estetico/strutturali.

Il mito di questo animale (che infestava gli incubi dei marinai di tutto il mondo, di dimensioni abnormi, generalmente immaginato come un gigantesco cefalopode tipo calamaro con tentacoli così lunghi da avvolgere una nave) si è sviluppato soprattutto fra il Seicento e l’Ottocento. La nave pirata Sea Reaper è ispirata alla famosa nave HMS Victory, un vascello di prima classe, a tre ponti da 104 cannoni della RoyalNavy, costruita negli anni 1760. La paratia laterale è apribile, al fine di mostrare i ponti e le cabine arredate.

La nave pirata Snake Wing è di libera ispirazione e presenta ponte e cabine arredate. Le vele e i cordami sono realizzati con pezzi originali presi dai set della serie “Pirates”.

Nido dell’aquila

Ispirato alla saga A Song of Ice and Fire dello scrittore americano George R.R. Martin e alla pluripremiata serie tv Game of Thrones, l’inespugnabile roccaforte di Nido dell’Aquila (The Eyrie) è la residenza della casata Arryn, protettrice dell’Est.
Lo spettacolare progetto conta circa 300 mila mattoncini. Inizia a prendere corpo nella mente del progettista, Manuel Montaldo nel 2014, e dopo 2 anni di intenso lavoro viene esposta per la prima volta al “Lucca Comics and Games 2016” tra lo stupore del pubblico.

Lo scenario, a cui continuano ad aggiungersi nuovi dettagli anno dopo anno, occupa una superficie di quasi 3 metri quadrati, mentre la sommità del castello raggiunge 1,80 m di altezza. Per la sua realizzazione sono stati utilizzati oltre 300 mila pezzi, reperiti in oltre 3 anni di ricerca.

Grande Diorama Castello

Il diorama medievale nasce da un’idea di Marco Cancellieri e Jonathan Petrongari nel lontano 2011, partecipa alla costruzione anche Marcello Amalfitano. Vengono utilizzati 250 mila pezzi, soggetti a numerosi cambiamenti nel corso degli anni. Del progetto iniziale è rimasta soltanto l’imponente città fortificata che sorge nella parte sud; tutto il resto è stato costruito tra il 2013 e il 2015.

Questo diorama può raggiungere la superfice record di 27 metri quadrati.
Partendo da sud troviamo una piccola foresta abitata dai Forestman, un piccolo forte dei Black Falcons (personaggi della serie originale Lego® Classic Castle), e la città fortificata sviluppata intorno alla Basilica. Da questa parte il sentiero porta a un piccolo villaggio e all’entrata della foresta.
Oltre la foresta ci sono il villaggio alle porte di Winterfell e la dimora della casata Stark, ultimo castello presente nel profondo Nord, ispirato alla serie tv Game of Thrones. Nel Castello, il giardino con l’Albero Cuore.

Porto

Il diorama Porto nasce da un progetto di Andrea Battaglia, nel 2019, ed è composto da 150 mila moduli Lego.
In questa installazione viene riprodotta una porzione del porto antistante la città: i grandi palazzi si stagliano sul lungo molo dove approdano gli yacht delle celebrità e i motoscafi dei cittadini che si concedono un giorno di svago godendosi il mare.

Tra le navi più belle spiccano il catamarano “Queen Mary” da 3.800 pezzi, il “Nemesi” (quello con la chiglia verde) da 3.100 pezzi e il colossale “Prince Marie” (tutto nero) da 2.900 pezzi.

Per arricchire il mare sono stati utilizzati ben 75 milaplate tondi… posati a mano.

Poi in mostra “Legolize”, la pagina umoristica che crea installazioni comiche utilizzando proprio i LEGO. Fondata da tre ragazzi (Mattia Marangon, Samuele Rovituso e Pietro Alcaro) la pagina è nata nel 2016 e attualmente conta più di mezzo milione di fan su Instagram e altrettanti su Facebook.

I LOVE LEGO racconta l’incredibile evoluzione di quello che da giocattolo tra i più comuni e conosciuti, negli anni, si è trasformato in arte. È una mostra promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera in collaborazione con il Comune di Pontedera, PALP e Arte Per Non Dormire, ed è organizzata da Piuma in collaborazione con Arthemisia. Fa parte del progetto “Arte Per Non Dormire – Pontedera ed Oltre XXI Secolo”, l’ampio progetto di arte contemporanea per la Regia di Alberto Bartalini.

Dal 27 gennaio 2021, al PALP Palazzo Pretorio di Pontedera.

EMME22

 

 

 

 

 

MANUFATTI ARTIGIANALI DAL DESIGN INDUSTRIALE FIRMATI HENGE

MANUFATTI ARTIGIANALI DAL DESIGN INDUSTRIALE FIRMATI HENGE

Henge-Test-One Lampada da Tavolo e Hedge-Test-Tree Lampada da Terra sono i due nuovi arredi della collezione 2021 ideati da Ugo Cacciatori, designer che da diverso tempo collabora con il brand. La prima è una lampada da tavolo scultorea con elemento diffusore monolitico svuotato e collegato da ghiera rotante in ottone con funzione di interruttore realizzata in onice ghiaccio o in travertino di Rapolano, mentre la seconda è un’illuminazione da terra con silhouette composta da elementi diffusori in pietra collegati da snodi in ottone ricavati dal pieno, testa omnidirezionale con giunto sferico e ampia base con barre in ottone a croce creata in onice ghiaccio.

Henge non produce solo lampade, ma anche tavoli, sedie, divani, librerie e specchi made in Italy nati dalla passione di tante persone che uniscono la tradizione artigianale all’ausilio delle più moderne tecnologie. L’impegno del marchio, infatti, è di proporre collezioni che sappiano incarnare soluzioni d’arredo di alto profilo attraverso la scelta di materiali esclusivi, finiture di pregio, design ricercato e attenzione al dettaglio. Fondata nel 2007, l’azienda acquisisce il nome dalle pietre di Stonehenge: strutture preistoriche, enigmatiche ed espressive che rispecchiano la capacità umana di intervenire sulla materia e sullo spazio. Henge si ispira al loro fascino e, sin dal principio, impone un’identità ben delineata che rispecchia il design industriale riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Nel 2008, è stata presentata al Salone Internazionale del Mobile di Milano la prima collezione, disegnata dall’architetta Silvia Prevedello, che ha curato l’intero progetto esprimendo in forma emozionale gli intenti creativi del nuovo marchio e definendone le linee guida. I mobili della collezione d’esordio sono pervasi da gusto Déco ed eleganza, da uno stile in equilibrio tra rigore formale e libertà d’espressione. Materiali tradizionali come la pietra contrastano con la morbidezza di pelli, conciate artigianalmente, e con la lucentezza del metallo cromato.

L’anno successivo viene rinnovata la collaborazione con lo studio d’architettura Prevedello che dà vita alla collezione Diamond: una nuova lettura del concetto di lusso in chiave contemporanea, inteso come prezioso e delicato, mai prevaricante. Lo stesso anno, la collezione Whisper porta la firma dell’architetto Simone Micheli, che offre la sua personale interpretazione dello stile del brand: strutture modulari e rigorose a confronto con forme più plastiche e accoglienti, tutte rigorosamente accomunate da rivestimenti in pelle.

È il 2011 l’anno dell’evoluzione a opera di Paolo Tormena, CEO di Henge, e di Massimo Castagna, Art Director e Designer di Henge e di “Home Collection”, un progetto che non ha l’obiettivo di rispondere alle richieste di mercato, ma di capire intimamente le necessità del cliente e cercare di rispondere ai suoi bisogni in termini funzionali, emozionali ed estetici. Castagna lascia il suo segno inconfondibile con mobili senza tempo, unici, distanti da ogni formalismo o stile predeterminato. Concepiti con un atteggiamento anti-retorico, i pezzi incarnano la volontà di reinterpretare e rivalutare il quotidiano e l’ambiente domestico: forme e geometrie spesso inusuali, non scontate, in cui la materia, sempre trattata e lavorata in modo assolutamente artigianale, svolge un ruolo da protagonista. Lascia il segno anche la collaborazione di Emmanuel Babled, autore della tanto apprezzata June Chair.

Nel 2016, Henge presenta la speciale collaborazione con lo studio di progettazione internazionale Yabu Pushelberg. George Yabu e Glenn Pushelberg firmano la collezione Mushroom Tables, tavolini in metallo caratterizzati da una sorprendente leggerezza materica ed estetica dove i piani di appoggio sono di diverse dimensioni così da creare dinamiche e fluide composizioni multiformi. L’esclusivo processo di fusione, rivelato dalla forma, scopre una finitura lucida.

Nel presente, l’azienda ha deciso di puntare su una più attenta e costante ricerca dei materiali: legni, metalli, pietre naturali, pelli, dalla cui forza espressiva nascono progetti di notevole impatto, materie speciali e spesso di difficile reperimento, come il Rovere di palude, legno fossile elegante e sofisticato dall’indescrivibile colorazione grigio fumé, e la Pietra di Cappuccino, venata arabescata nei toni del bianco, del marrone e del grigio, con una esclusiva finitura superficiale idrosabbiata. Per ogni materia vengono realizzate finiture naturali che possono essere diversificate a seconda dello specifico pezzo o, addirittura, della specifica esigenza di personalizzazione, un valore che testimonia l’incessante attività di ricerca svolta nel campo delle lavorazioni per offrire agli acquirenti veri e propri manufatti e non prodotti industriali. Il sistema Emotional Lighting Control dimostra gli sforzi fatti in campo tecnologico. Grazie alla sua applicazione a prodotti come Light Ring e Tubular Light è possibile gestire in modo semplice ed elettronico i livelli di emissione di luce.

A ricerca, materiali, lavorazioni, artigianalità, tecnologia e personalizzazioni, Henge unisce una visione stilistica molto articolata e inusuale. Alla base di tutte le collezioni Home Collection c’è un’idea precisa: la casa è abitata da contrapposizioni, presenze formali, affiancate a pezzi più essenziali, di concezione più semplice e dalle funzionalità molteplici e, come scrive Massimo Castagna, “ciò che vive con noi è molto più di un mobile, è un compagno di viaggio”.

Simone Lucci

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Ugo Cacciatori è nato a Carrara nel 1970 da una famiglia di proprietari di cave di marmo e celebri scultori, sin da bambino mostra una particolare curiosità verso i materiali e uno spiccato senso delle forme e dei colori. Dopo gli studi scientifici, frequenta l’Università di Architettura a Firenze per poi trasferirsi a Londra approfondendo la propria esperienza presso importanti studi internazionali. Alla fine degli anni ’90 decide di dedicare il proprio talento alla moda presentando la sua prima collezione di abbigliamento a Milano. Chiamato da Maria Grazia Chiuri, collabora per alcuni anni con l’ufficio stile di Valentino e con numerosi altri marchi tra cui Giambattista Valli, Romeo Gigli, Marni e Fendi. Rientrato in Italia, si stabilisce a Lerici, un paesino di pescatori al confine tra Toscana e Liguria già luogo di ispirazione dei poeti romantici Byron e Shelley. Da qui inizia un percorso personale che darà vita all’identità stilistica ornata che ancora lo contraddistingue. L’esperienza raggiunta in più di vent’anni, la solida reputazione e il vasto network di relazioni personali gli permettono oggi di applicare il proprio stile ad argomenti diversi come dimostrato dai recenti progetti per il grande magazzino Century 21 di New York e per la residenza dell’attrice Zoe Saldana a Los Angeles. Con l’affermazione del proprio nome, le collaborazioni sono state limitate a progetti di responsabilità come la direzione creativa del marchio Santacroce del Gruppo Prada e il co-branding di accessori con Diesel. Dal 2014 Ugo Cacciatori si è stabilito in California, dopo aver diviso la propria vita tra Milano e New York per più di un decennio. Dalla sua casa-atelier, la nota Samuel-Novarro House di Lloyd Right, definisce lo scenario di un nuovo concetto di design contemporaneo.

LE SIGNORE DELL’ARTE E LA PASSIONE DI RICOLA, LA CARAMELLA SVIZZERA

LE SIGNORE DELL’ARTE E LA PASSIONE DI RICOLA, LA CARAMELLA SVIZZERA

Si chiama “Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ’500 e ’600” ed è una mostra tutta al femminile. L’obiettivo è esplorare l’universo “donna” in tutte le sue sfumature, in linea con il palinsesto I talenti delle donne, promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano.

C’è Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio, la cui arte rivaleggia con quella dei pittori dell’epoca. È la prima donna accolta all’Accademia delle arti del disegno, un prestigioso riconoscimento. Ottiene importanti commissioni dalle famiglie fiorentine (Medici compresi), stringe amicizia con Galileo Galilei, che nutre per lei grande stima, e con Michelangelo Buonarroti il giovane, il quale le commissiona una tela per celebrare il suo illustre antenato e intrattiene con lei una corrispondenza. Per l’accusa di stupro subita si è sottoposta a diverse visite mediche e ha anche accettato un interrogatorio sotto tortura (per questo ha rischiato di perdere le dita, danno incalcolabile per una pittrice della sua levatura) volto a verificare la veridicità delle sue dichiarazioni.

C’è la cremonese Sofonisba Anguissola, protagonista nella vita artistica delle corti italiane data anche la sua competenza letteraria e musicale. È citata nelle “Vite” di Giorgio Vasari grazie a Michelangelo Buonarroti che sosteneva avesse talento. Era stato il padre di Sofonisba a scrivere a Michelangelo e a mandargli i disegni della figlia. Fra quei disegni c’era anche “Fanciullo morso da un gambero”, nel quale la giovane artista aveva colto l’espressione del dolore infantile, che piacque molto al grande artista fiorentino. Quella smorfia di dolore fermata da Sofonisba la ritroviamo poi nel “Ragazzo morso da un ramarro” di Caravaggio. Nel 1559, Sofonisba approda alla corte di Filippo II di Spagna come dama di corte della regina Elisabetta e diviene la ritrattista della famiglia reale fino alla morte della sua protettrice, nel 1568. Un ritratto di Elisabetta di Valois conservato al Museo del Prado è attribuito a lei. Nel 1573, l’Anguissola sposa il nobile siciliano Fabrizio Moncada e si trasferisce in Sicilia nel palazzo dei Moncada a Paternò, dove continua la sua attività di pittrice e dove lascia la tela Madonna dell’Itria.

C’è Lavinia Fontana che a 25 anni sposa il pittore Giovan Paolo Zappi alla sola condizione di poter continuare a dipingere, e fa poi del marito il proprio assistente. Chiamata a Roma dal nuovo papa Gregorio XIII, suo conterraneo, grazie a tale alta protezione esegue innumerevoli lavori per l’entourage della corte papale, nobiltà romana e rappresentanze diplomatiche, tanto da essere soprannominata “la Pontificia Pittrice”. Nonostante le undici gravidanze, la sua produzione è corposa: oltre ai numerosissimi ritratti di nobildonne, diplomatici e personalità d’ogni sorta, Lavinia dipinge un centinaio di pale d’altare (ne sopravvivono 30 firmate e 25 con attribuzione contrastata) e realizza diverse sculture di uomini in battaglia. In mostra con 14 opere, tra cui l’Autoritratto nello studio (1579) degli Uffizi, la Consacrazione alla Vergine (1599) del Muséedes Beaux-Arts di Marsiglia, e alcuni dipinti di soggetto mitologico di rara sensualità.

 

La mostra porta il visitatore alla scoperta di 34 artiste, dalla più nota Artemisia Gentileschi fino a quelle meno conosciute ma non meno importanti, che tra il ’500 e il ’600 hanno saputo infondere vitalità e creatività al femminile all’interno del panorama artistico dell’epoca. Attraverso le circa 130 opere esposte, provenienti da 67 prestatori differenti, nazionali e non, tra le quali vi sono opere mai esposte prima, i visitatori potranno scoprire non solo il talento artistico, ma anche le vicende personali che hanno portato le protagoniste della mostra a distinguersi nel contesto artistico culturale in cui hanno vissuto.

Figlie, mogli, sorelle di pittori, o a volte donne di religione: la mostra Le Signore dell’Arte presenta attraverso 5 sezioni la grande abilità compositiva di queste pittrici e, tramite il racconto delle loro storie personali, guarda al ruolo da loro rivestito nella società del tempo, al successo raggiunto da alcune di esse presso le grandi corti internazionali, alla loro capacità di sapersi relazionare, distinguere, affermare, trasformandosi in vere e proprie imprenditrici. La mostra pone in evidenza una costellazione di giovani talentuose che, seppur con storie e percorsi differenti, fanno comprendere come il ruolo delle donne acquisito nel corso del XVI e XVII secolo non è legato solo a episodi sporadici o straordinari, ma è un fenomeno che abbraccia tutta l’Italia. Ognuna delle loro storie è un racconto avvincente, che parla di viaggi attraverso l’Italia e l’Europa o di lunghe clausure, di percorsi interrotti precocemente o di vite quasi centenarie, di produzioni artistiche prolifiche o limitate, di comportamenti trasgressivi o condotte morigerate. Autoritratti volitivi come segno della consapevolezza del loro ruolo di artiste, ritratti di intensa penetrazione psicologica, eroine dell’antichità come esempi di ribellione e forza d’animo, figure storiche mitologiche e allegoriche, composizioni naturalistiche o simboliche di fiori, frutti e animali, scene religiose e mistiche che riflettono il complesso dibattito del tempo: ogni soggetto è accuratamente indagato dall’occhio attento delle artiste. I misteri della psiche, le virtù femminili, l’eroismo intimo e quotidiano, ma anche il pathos del tradimento, dell’inganno, del pentimento: tutti i sentimenti sono svelati attraverso una poetica pittorica intensa e partecipata. 

Organizzata da Palazzo Reale e da Arthemisia (azienda leader nell’organizzazione di grandi mostre), la mostra è promossa dal Comune di Milano, con il sostegno di Fondazione Bracco. L’azienda Ricola, partner della mostra, continua a sostenere Arthemisia e le sue iniziative offrendo anche i propri prodotti: i visitatori potranno infatti assaporare le note caramelle messe a disposizione del pubblico.

L’amore per l’arte è nel DNA di Ricola, proprio grazie alla sua famiglia fondatrice: la Ricola Holding AG, infatti, colleziona sin dagli anni Settanta arte contemporanea svizzera che espone negli edifici della sede del Gruppo Ricola. Nel corso del tempo si è creata così una collezione di notevole spessore qualitativo che comprende anche opere giovanili di artisti ormai affermati. La collezione vanta dipinti di Richard Paul Lohse, Max Bill, Camille Graeser e Verena Loewensberg, divenuti famosi col nome di “Zürcher Konkrete”, e riunisce in particolare svariati dipinti costruttivisti e teorici, fotografie e lavori su carta, nonché opere di matrice espressionista che hanno il corpo come protagonista. Fra le acquisizioni più importanti si contano opere, o gruppi di opere, firmate da Christoph Büchel, Jacques Herzog, Bruno Jakob, Karim Noureldin, Vaclav Pozarek, Shirana Shahbazi, Anselm Stalder e Erik Steinbrecher. La famiglia Richterich condivide la sua passione per l’arte con i dipendenti dell’azienda e con i visitatori esterni che possono partecipare a visite guidate presso la sede.

“Sostenere Arthemisia per noi è un atto di grande valore, ora più che mai, in un momento di ripartenza così delicato. Arte e cultura sono alla base del benessere dell’individuo, e portare il gusto di Ricola ai visitatori per noi significa dimostrare che l’azienda ha a cuore il consumatore a partire dalle attività di qualità che decide di svolgere nel tempo libero. Le mostre di Arthemisia ne sono un chiaro e riuscitissimo esempio”, afferma Luca Morari,  Amministratore Delegato Divita srl, azienda che dal 2006 si occupa della distribuzione dei prodotti Ricola in Italia.

La mostra è stata prorogata fino al  22 agosto 2021.

Clementina Speranza

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GIOCATORI DI BASKET IN 3D

GIOCATORI DI BASKET IN 3D

Nel mondo dei videogiochi è conosciuto come Shuajota. Si distingue per il suo talento di designer, e ha attirato l’attenzione della rivista americana Forbes che ha messo in evidenza i volti dei suoi giocatori di basket disegnati in 3D e li ha definiti “il meglio che si sia visto in questo campo”.

“Il giornalista di Forbes, Brian Mazique, ha notato su Twitter i miei disegni circa un anno fa, un mio omaggio a Kobe Bryant (cestista statunitense considerato tra i migliori dell’NBA) dopo il suo fatale incidente. Così mi ha contattato e ha scritto diversi articoli su di me e sui miei ‘giocatori’. Ho collaborato con lui a diversi progetti”, ci racconta il giovane designer.

Forbes scrive di lui: “Shuajota si sta affermando come artista d’elite nella community modding NBA 2K”, mentre il periodico spagnolo La Callereal lo definisce “Un Michelangelo del XXI secolo”.

 

Ma chi è Shuajota?

Il suo nome è Adrián Cañada Cruz. Bello e gentile, ha 27 anni, è di La Línea (Spagna) ed è insegnante di lingue. “Mi appassiono al disegno sin da piccolo e soprattutto al basket, sport a cui mi dedico da quando avevo 4 anni – racconta il designer –. I miei ritratti a matita di personaggi famosi erano già stati condivisi su Internet e sui social media. Tre anni fa, poi, ho iniziato a disegnare in 3D. Ho usato il videogioco NBA 2K come base e ho cominciato con i volti dei giocatori di basket. Scatto una fotografia di riferimento, scolpisco digitalmente il cranio e il viso, lo modello, modifico i capelli in 3D e applico gli strati di pelle”. Una tecnica digitale complessa che rende Shuajota uno dei pochi in Europa in grado di svolgere questo lavoro.

Il sito web dove condivide le sue opere supera già i 20 milioni di visite e il suo canale YouTube vanta 6 mila iscritti. Attualmente questo è un hobby, ma lui sogna che possa diventare la sua professione.

Clementina Speranza

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APRE A MILANO IL PRIMO SHOWROOM ELIE SAAB MAISON

APRE A MILANO IL PRIMO SHOWROOM ELIE SAAB MAISON

Nel cuore del quadrilatero della moda milanese, all’angolo tra Via S. Andrea e Via della Spiga, in un elegante palazzo è stato inaugurato durante la settimana della moda il primo showroom ELIE SAAB Maison; un progetto nato dalla collaborazione tra il brand di Haute Couture Elie Saab e Corporate Brand Maison. “Milano è la città ideale per l’apertura del nostro primo showroom. Lo spazio scelto simboleggia il connubio tra moda e design, che ambisce a diventare il simbolo di un modo nuovo di creare valore, non soltanto attraverso i complementi di arredamento”, riferisce Massimiliano Ferrari, Presidente di Corporate Brand Maison.

Lo showroom ELIE SAAB Maison, infatti, possiede un impianto architettonico versatile, caratterizzato da volumi che permettono di ricreare in modo verosimile gli ambienti di una reale abitazione oppure di trasformarlo in uno spazio più neutrale che contenga i singoli elementi del retail. Il concept dello showroom è stato sviluppato da Carlo Colombo, Direttore Creativo di Corporate Brand Maison, insieme al suo team. Ogni dettaglio è studiato per esaltare l’ambiente espositivo, dalle pareti allo specchio bronzato, ai tendaggi, al pavimento in parquet di rovere con posa ungherese, ai paraventi girevoli a tutta altezza che possono essere sostituiti stagione dopo stagione.

La nuova collezione ha lo scopo di donare una personalità senza tempo agli ambienti della casa. “Per la realizzazione degli accessori siamo partiti dagli anni ’50, modificando lo stile essenziale tipico di questo periodo storico con l’aggiunta di riferimenti agli elementi della natura – spiega Colombo –. Nella fase ideativa abbiamo dato egual peso al lato estetico, e alla necessaria funzionalità di ciascun oggetto di uso quotidiano”.

La collezione Lighting comprende oggetti d’illuminazione. Il lampadario Narcisse è una scultura che, con delicati fasci luminosi verticali, crea un equilibrio poetico in ciascun ambiente, Diamond è un lampadario composto da una leggera struttura in acciaio che sorregge una moltitudine di applicazioni in vetro di Murano capace di dar vita a uno spettacolo di luce unico; mentre Light Pillar, lampada da terra o da tavolo, è ispirata al magico effetto creato dalla luce, in quello che viene definito fenomeno ottico atmosferico.

La Rug Collection, invece, propone una vasta gamma di accessori tessili prodotti dalle più raffinate manifatture artigiane. L’arte e la natura diventano fonti di ispirazione per tappeti di alta qualità dall’eleganza contemporanea. I colori dominanti sono creme delicate, sfumature di grigi e poi tonalità che creano contrasti inattesi. Una delle caratteristiche essenziali della collezione è rappresentata dalla valorizzazione dei simboli primari di ELIE SAAB, come il logo e il monogramma, interpretati nel design di alcune delle creazioni. Rug Collection è realizzata insieme a Sahrai, un partner che vanta duecento anni di tradizione artigianale persiana. Il viaggio di Sahrai inizia nel 1830 a Teheran; una passione di famiglia tramandata di generazione in generazione nel più assoluto rispetto della tradizione, unito alla continua innovazione su materiali, stile e tecniche produttive. La linea propone anche una vasta gamma di cuscini decorativi e plaid. Quest’ultimi creati dalle più prestigiose realtà artigiane italiane che hanno trasferito tecniche normalmente utilizzate per le lavorazioni del cashmere alla seta, il tessuto più nobile.

Entro fine anno, gli arredi dinamici, contemporanei e decisi adatti a ogni spazio della casa potranno essere ammirati nei nuovi showroom di Dubai, Londra e Beirut.

Simone Lucci

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