Siamo a Noto, capitale del barocco e patrimonio mondiale dell’UNESCO, tra chiese, monumenti, palazzi nobiliari, musei. Tra questi il Convitto delle Arti. Qui la Sicilia in tutte le sue sfumature: a raccontarla oltre 200 pittori in una mostra che ripercorre 900 anni d’arte, da Fausto Pirandello a Piero Guccione.
Ci sono “I cachi caduti” di Nino Cordio, dipinto del 1984 quando Cordio aveva ormai lasciato l’isola e viveva tra Roma e Todi. Andrea Camilleri definì questo quadro talmente potente da avere la sensazione che la cornice non riuscisse a contenere la forza della natura. C’è “Sortilèges de la mer” di Jean Calogero opera del 1967, del periodo in cui l’artista si riavvicina alla Sicilia dopo la parentesi francese, fase di grande sperimentazione in cui esprime l’aspetto cromatico e materico dei luoghi.
C’è “Messina” di Giulio D’Anna, un olio su tavola dove la città appare distrutta dal terremoto. C’è “Arsura, donna alla fonte”, un nudo sensuale dipinto da Topazia Alliata, la madre di Dacia Maraini. La pittrice era molto amica di Renato Guttuso e spesso i due lavoravano insieme in uno studio ricavato nelle antiche stalle della Villa Valguarnera di Bagheria. Lì, lei si esercitava per ore, cosciente di avere imparato in accademia la tecnica pittorica ma di non avere raggiunto ancora uno stile personale. Guttuso in un articolo espresse su di lei un giudizio lusinghiero, sottolineando l’abilità della giovane pittrice “nella rappresentazione astratta di emozioni, sentimenti, stati d’animo”. In alcuni disegni, ancora oggi, non è facile distinguere la mano del maestro da quella dell’allieva.
C’è un olio su masonite che ritrae la signora Piotrowski, di Salvatore Fiume. Ci sono “Gli emigranti” di Incorpora, i bronzi di Francesco Messina: la “Venere del Brenta” e “Lezione di ballo”. E poi ancora la moderna e originale ricerca ceramica di Giacomo Alessi e Nicolò Morales.
Ci sono “Mattino di luglio a Sampieri”, con il mare apparentemente calmo, di Piero Guccione, e il suo pastello “Ombra su Noto”, e la barca illuminata di Domenico Pellegrino, un’istallazione che racconta una tonnara. La mostra finisce con uno dei quadri più iconici della Sicilia “La Vucciria” di Renato Guttuso che esplode imperiosa. Del maestro anche “Donna con collana rossa” e “Modella nello studio”. Poi ancora un tripudio di altri autori del ’900: Fausto Pirandello, Carlo Accardi, Caruso, Arturo di Modica.
La mostra “Novecento – Artisti di Sicilia. Da Pirandello a Guccione”, a cura di Vittorio Sgarbi, è un tributo alla Sicilia, ai siciliani e alla sicilitudine. “Un secolo di arte siciliana vuol dire, in larga misura, un secolo di arte italiana – afferma Vittorio Sgarbi -. Non è lo stesso per quasi nessun’altra regione, non per l’Emilia-Romagna, nonostante Morandi e de Pisis, non per la Toscana, nonostante Soffici e Rosai; non per Roma, nonostante le due scuole romane. La Sicilia del Novecento, sia in letteratura sia nelle arti figurative, ha dato una quantità di artisti e scrittori che hanno contribuito in modo determinante a delineare l’identità prevalente della cultura italiana. Da Giovanni Gentile a Leonardo Sciascia, da Vitaliano Brancati a Tomasi di Lampedusa, da Federico De Roberto a Lucio Piccolo, da Gesualdo Bufalino a Manlio Sgalambro, con una intensità e una densità di proposte che non hanno paragone. Alla verifica delle arti figurative si ha un analogo risultato, con momenti altissimi di pittura civile e introspettiva, in un lungo percorso che si tenta qui di delineare partendo dai maestri più antichi”.
La mostra, che si terrà fino al 30 ottobre 2020, è sotto il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali, della Regione Siciliana e del Comune di Noto. Prodotta da Mediatica, è organizzata da Sicilia Musei.
Clementina Speranza
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“ (…) oggi “va” l’alta tecnologia, che rende possibili forme attraenti e complesse, generalmente di alta efficienza strutturale ma spesso poco attente alla sostenibilità (il discorso sarebbe lungo, ma chi calcola, il costo ambientale delle fusioni in alluminio e delle detrazioni di quegli eccellenti esempi che si vedono sulle riviste, ammesso che i consumi dichiarati siano convenienti?…).
Con tutti i distinguo che si possono fare tra un involucro di un aeroporto o di una fiera, e quello di una normale edilizia, questo potere attrattivo dell’high-tech distrae il mondo della progettazione da un approccio “altro”.
È infatti in ombra, culturalmente assente nella generalità della cultura architettonica (con poche eccezioni), un approccio morbido, di alto impegno di contenuto di progetto, ma con uso modesto della tecnologia, che richiama una scuola di pensiero presente da decenni bel governo dei grandi sistemi della civiltà postindustriale, trasporti, energia, alimentazione (…) ”.
Giuseppe Biondo, Tecniche modeste per un mondo complicato, maggio 2005
La chiave di lettura di molti lavori di ricerca e di realizzazioni progettuali che hanno delineato il quadro dell’architettura più recente, su grande e piccola scala, è quella di riacquisire una conoscenza primitiva rispetto all’architettura e alle sue tecniche. Lungi dal voler cavalcare l’onda di revisionismo maturata nei confronti dell’high-tech, appare utile, se non necessario, alla luce delle odierne problematiche del settore delle costruzioni, riappropriarsi non tanto di tecniche costruttive tradizionali, quanto del rapporto, proprio di quella prassi costruttiva, tra obiettivo e strumenti, che in architettura si traduce nella locuzione, ormai entrata nel dibattito scientifico, di “tecnologia appropriata”.
A essere rifiutata, nell’approccio high-tech, non è la ricerca dell’innovazione quanto la sua involuzione di significato, che l’ha vista passare da strumento del progetto di architettura a obiettivo dello stesso.
Qualunque sia la terminologia con cui testimoniare il cambiamento di rotta rispetto all’approccio appena descritto, “architettura vernacolare”, “clever – tech”, “architettura a basso costo” e così via, univoco è il principio di fondo, ovvero la volontà di dimostrare che fare architettura non è funzione della complessità delle tecnologie messe in campo quanto funzione della complessità del progetto, in cui il termine “complessità” descrive il convergere in un solo oggetto, il manufatto appunto, di fattori, esigenze e ambiti disciplinari diversi, la cui integrazione deve essere l’obiettivo cui tendere, anche attraverso la scelta delle soluzioni tecniche che, tale integrazione rendono possibile. La corrispondenza tra obiettivo e soluzione tecnica è funzione di una serie di variabili, da quella meramente funzionale a quella ambientale, economica e sociale, che conferiscono alla soluzione individuata l’attributo di sostenibile.
Lo spunto per verificare queste considerazioni è fornito dal sempre maggiore interesse mostrato dagli operatori del settore per interventi che non possono certo essere ascritti tra le grandi opere, come gli impianti museali o i centri direzionali, ma rispecchiano esigenze contingenti, divenute pressanti per l’esasperarsi di alcuni caratteri della società contemporanea e del ruolo che l’abitare ha assunto in essa. Il concetto di abitazione sta subendo una radicale trasformazione ad opera di processi come la mobilità, le catastrofi naturali e antropiche, e la necessità di far fronte con soluzioni compatibili alle esigenze abitative peculiari dei paesi del terzo mondo, per citare solo alcune delle tendenze diffuse. Già da molti anni è possibile leggere sulle riviste di settore di interventi di edilizia temporanea e/o a basso costo, di tecniche costruttive a basso impatto, ecc.; così come è stato emblematico e significativo del rinnovato contesto, l’attribuzione di quello che viene considerato l’Oscar dell’Architettura a un architetto come Glenn Marcutt, che ha fatto dell’uomo e delle sue necessità, del contesto e delle risorse, i principi generatori della sua architettura, nella quale si può leggere la ricerca di un equilibrio tra materiali disponibili a livello locale, esigenze, capacità tecnica, risorse e ambiente. Ciò che accomuna tutte le esperienze citate è la volontà da parte dei progettisti, per usare le parole di Imperadori, di “(…) mostrare come sia possibile, (…), spingere l’impegno progettuale a produrre “innovazioni” d’uso o “implementazioni” d’uso di materiali e concetti costruttivi. Il che significa mettere in evidenza come l’architettura, la sua percezione estetica ma anche funzionale e prestazionale, non dipenda necessariamente dall’uso di materiali preziosi e costosi e dalla definizione di nodi costruttivi “super-tech”. (…) in luogo di un’architettura fatta di abile collocazione materica, frutto di un cocktail tra basso costo e alto (anche nel senso più nobile del termine) investimento progettuale (e culturale)”.
Un esempio emblematico di questo approccio ecosostenibile e “appropriato” è rappresentato, oggi più che mai, dal settore delle costruzioni in legno che dalla tradizione ha saputo cogliere gli spunti per un’innovazione dell’abitare consapevole dell’ambiente e delle risorse messe in campo. Infatti, questo sistema costruttivo mostra alcuni significativi vantaggi rispetto ai sistemi costruttivi più diffusi, ovvero la rapidità di esecuzione, la stabilità, la sostenibilità e il risparmio energetico; non a caso le costruzioni in legno devono rispondere a tutta una serie di normative nel campo del comfort ambientale.
La rapidità in fase di esecuzione è connessa alle tecniche di lavorazione “a secco” (le parti che costituiscono un edificio in legno sono generalmente assemblate facendo uso di viti, bulloni e piastre metalliche), che unite alla parziale prefabbricazione dei componenti utilizzati in cantiere consentono di ridurre i tempi di costruzione.
La sostenibilità, invece, di questa tipologia edilizia è discorso più complesso, da ricondurre a due aspetti, ovvero la natura del materiale impiegato e le performance energetiche assicurate da quest’ultimo.
Infatti, per quanto riguarda il primo aspetto, il legno rappresenta un materiale totalmente riciclabile e rinnovabile, le cui lavorazioni comportano un ridotto uso di energia e un basso livello di emissioni nocive per l’ambiente, ed è caratterizzato da una fase di smaltimento a basso impatto ambientale.
Per quanto concerne il secondo, non trascurabile, aspetto, il legno è di per sé un materiale con elevate caratteristiche di isolamento termico e acustico, inoltre entra nella composizione (attraverso la lavorazione dei suoi derivati) di pacchetti isolanti altamente performanti, permettendo di creare ambienti abitativi salubri e confortevoli.
Tutti gli aspetti citati hanno sicuramente concorso nel far divenire le costruzioni in legno un settore estremamente rilevante nel comparto della bioedilizia. Uno studio del 2018 mette in evidenza come in Europa l’edilizia in legno sia cresciuta del 5% rispetto all’anno precedente, con un fatturato da 724 milioni di euro a fronte di 3200 abitazioni ecofriendly.
Anche l’Italia gioca un ruolo fondamentale nel settore, ponendosi al quarto posto in Europa, secondo quanto rilevato dall’ultimo rapporto Case ed Edifici in legno condotto da Federlegno–Assolegno, grazie anche all’opera di realtà progettuali importanti come La GS case in legno e bioedilizia.
L’azienda si è imposta nel mercato della bioedilizia grazie a un approccio integrato tra progetto dello spazio abitativo e progetto del sistema costruttivo in legno, permettendo di diffondere tale tecnologia anche in ambiti legati alle tecnologie tradizionali delle costruzioni in cemento o acciaio. Essa infatti, oltre a fornire un supporto al progettista, è in grado di utilizzare le principali tecnologie costruttive della prefabbricazione in legno: a telaio o in X-Lam, che costituiscono rispettivamente il 55% e il 38% della produzione.
Un esempio è la realizzazione di un nuovo progetto di architettura ecosostenibile a San Giorgio in Salici, sul Lago di Garda, per il quale la GS ha collaborato per la parte impiantistica con MyDATEC – marchio Telema che propone sistemi innovativi per la climatizzazione e il controllo della qualità dell’aria, nell’ottica di ottimizzare la risposta in termini di comfort ambientale degli spazi abitativi.
Si tratta di un’abitazione di 230mq, progettata dall’Arch. Demetrio Viviani, nella quale il sistema MyDATEC Air4One, in abbinamento alla VMC Smart V 200, la soluzione ideale, in grado di rispondere con un’unica soluzione alle esigenze di ventilazione, riscaldamento, raffrescamento, filtraggio e deumidificazione degli ambienti.
Il progetto abitativo è, quindi, il frutto di un connubio attentamente progettato tra le strategie di sostenibilità insite nelle realizzazioni in legno e i sistemi di climatizzazione meccanica di ultima generazione, allo scopo di dare vita a edifici con un’elevata performance energetica, classificabili in classe A, cioè l’eccellenza sotto il profilo dell’abbattimento dei consumi e della tutela dell’ambiente (una casa in classe A è un’abitazione a impatto energetico quasi pari a zero).
Nella costruzione di un edificio in legno è necessario rispettare le NTC08 (DM 14 gennaio 2008) per assicurare l’adeguata idoneità statica e antisismica. Le norme infatti contengono ben tre paragrafi dedicati alla progettazione di strutture di legno. Devono essere rispettati anche i parametri in materia di normativa antincendio, in base alla tipologia del fabbricato; ad esempio per edifici residenziali sarà necessario rispettare il DM 246/1987 e il DPR 151/2011.
In tema di efficienza energetica gli edifici in legno devono rispettare i nuovi requisiti minimi di efficienza previsti dal DM 26/06/2015. Infine nella gestione del cantiere bisogna seguire le procedure per la sicurezza previste dal Dlgs 81/2008.
Maria Rita Grasso
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La discussione intorno ai materiali dell’architettura è spesso incentrata sui grandi temi dell’innovazione dei sistemi e delle tecniche, e su alcuni momenti topici come il passaggio dalla tecnologia storica delle costruzioni in muratura portante ai sistemi puntuali (trave-pilastro) o, per restare nel campo dei materiali, dal mattone al cemento armato, all’acciaio.
Accanto a questi grandi temi, con la stessa valenza e dignità, si pongono settori considerati complementari, che invece nascondono una storia antica e che spesso si sono dimostrati terreno fecondo per la sperimentazione e l’innovazione. Ad esempio il settore della produzione legata al vetro, un materiale antichissimo, la cui peculiarità è quella di rinnovarsi continuamente grazie all’innovazione delle tecniche di produzione, complici le sue caratteristiche fisico-meccaniche, ma soprattutto grazie al fascino esercitato in epoca moderna sui creativi del settore dell’architettura e dell’arredamento.
Nelle parole di Vittorio Livi fondatore della Fiam, azienda nata nel 1973: “Il vetro è un materiale totalmente riciclabile e naturale, che nel tempo mantiene intatte le sue caratteristiche. Non c’è giorno in cui non si possa fare qualcosa con esso, e credo che sia il materiale più importante dell’era moderna”. La storia della Fiam si sviluppa parallelamente alla storia dell’innovazione della produzione nel settore del vetro, ed è la testimonianza di come essa abbia non solo saputo coglierne i cambiamenti, ma valorizzarli, soprattutto attraverso la collaborazione con designer di fama affermandosi, negli anni ’70, come punto di riferimento per la produzione di prodotti in vetro curvato.
La produzione di questa azienda è costellata di pezzi iconici: dalla poltrona Ghost firmata Cini Boeri, passando per la linea Waves disegnata da Ludovica+Roberto Palomba, fino a una delle realizzazioni più recenti, il tavolo Coral Beach di Mac Stopa.
Questi oggetti di design testimoniano un approccio estremamente moderno in cui i diversi momenti dell’innovazione tecnica e tecnologica sul materiale e del progetto creativo non sono subordinati l’uno all’altro, ma ciascuno diviene stimolo e indirizzo per l’altro. Come nella produzione della citata serie Waves, in cui Ludovica e Roberto Palomba non solo applicano il sistema DV-GLASS® ma traggono ispirazione da esso per creare un total living dalla progettualità plastica e tridimensionale.
Il sistema brevettato ed esclusivo DV-GLASS® nasce dalla volontà della famiglia Livi di produrre lastre di vetro di elevato spessore, razionalizzando e rendendo sostenibile il processo produttivo anche tramite l’utilizzo di lastre preesistenti accostate tra loro e fuse a elevate temperature, senza nasconderne le diverse trame.
Accade quindi, che, come avviene in un atelier di moda in cui la trama del tessuto fornisce allo stilista l’ispirazione per il modello, i designer danno forma a una serie di manufatti che valorizzano ed esaltano le caratteristiche del materiale.
La validità di questo approccio creativo è sancita già nel 2000 da un prestigioso riconoscimento ottenuto dall’azienda: il Compasso d’oro alla carriera. Un premio gestito dall’ADI, la massima autorità nell’ambito del design, che molto dice del ruolo che la Fiam ha rappresentato e rappresenta nel settore.
L’attività dell’azienda non si limita alla produzione, ma si impegna anche nel recupero del patrimonio storico. Nel 1992, infatti, la famiglia Livi acquista e restaura Villa Miralfiore, uno dei più celebri edifici storici di Pesaro, situata all’interno dell’omonimo parco cittadino e circondata da un bellissimo giardino “all’italiana”, facendone showroom permanente della FIAM, con la collaborazione di Rodolfo Dordoni. Questo spazio ospita, accanto a opere d’arte del passato legate al settore del vetro, i prodotti più rappresentativi dell’azienda, in un excursus storico e tecnico appassionante.
Maria Rita Grasso
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Uno stile di vita ecosostenibile comprende anche la scelta di arredi eco-friendly. L’arredamento e il design svolgono un ruolo fondamentale nella progettazione di uno spazio attento alla natura, ciascun complemento deve essere ricavato da materiali biologici o di recupero attraverso un sistema rispettoso dell’ambiente.
Legno, bambù e cartone non sono i soli prodotti naturali in grado di valorizzare abitazioni, appartamenti, uffici e giardini. Vi è anche il sughero, nuova frontiera green del design, che contribuisce alla salvaguardia del pianeta in quanto durevole, riciclabile infinite volte, padre della conservazione del vino e incredibile fissatore di anidride carbonica (CO2).
Greencorks®, la linea d’arredamento personalizzabile per interni ed esterni di Livingcap, è prodotta nel laboratorio artigianale di Vicenza con il supporto dell’architetto Manuel Cason dello studio Mca&Partners. Propone mobili dall’anima verde realizzati in sughero ricomposto mediante l’utilizzo di soli collanti naturali come il lattice di caucciù. Con il suo particolare profumo e la sua caratteristica morbidezza, il materiale naturale ricavato dalla corteccia degli alberi dona uno speciale tocco a ogni spazio, che sia una cantina o un caldo ambiente domestico.
La vera essenza di LivingCap è la collezione Cork. Piccoli pouf, tavoli, sgabelli e sedie rappresentano il miglior connubio tra forma e materiale, qualità estetica e qualità ambientale, incarnando perfettamente l’idea fondante del progetto: il riutilizzo del sughero. Le sedute infatti nascono dal recupero di 700 turaccioli, mentre per lo sgabello più grande (65 cm) ne servono 2.500. Con il loro insolito profilo a forma di tappo da spumante, gli innovativi oggetti di design completano l’arredamento di enoteche, ma anche di spazi privati, conferendo all’ambiente un tocco originale. Un chiaro esempio di creatività e personalizzazione sono i complementi Black Cork caratterizzati da una particolare tonalità scura ottenuta attraverso un processo di tostatura del sughero. Una lavorazione ad alte temperature che conferisce anche maggior leggerezza alla materia prima.
Oltre agli arredi Cork, il brand fornisce mobili e accessori dalle forme più svariate abbinati a ecopelle, metacrilico e PVC. Caratterizzate da un corpo cavo realizzato interamente in sughero naturale e da una lamina di chiusura trasparente che garantisce una perfetta diffusione della luce, le illuminazioni in versione a parete, sospese e a pavimento creano un’atmosfera calda e soffusa, mentre per dare a una cena un tocco raffinato e allo stesso tempo sostenibile, l’azienda realizza portabottiglie da tavolo e ghiacciaie ideali per la mescita di vino e di birra.Accessori disponibili in differenti dimensioni per soddisfare tutte le esigenze.
Fiori di sughero invece è il profumatore costituito da cotone greggio, granella di sughero, scaglie di legno e puri oli essenziali. “I granuli di sughero profumati sono frutto della rigenerazione del materiale rimasto dai processi di lavorazione, successivamente macinato e profumato con manualità artigiana”, spiega Alessia Zanin, sales manager di Livingcap.
Il costante impegno nello studio di accessori originali ha l’obiettivo di fare spiccare i prodotti nel mercato. La bottiglie in acciaio 100% riciclabile sono nate appunto per tale scopo. “La linea di bottiglie d’acciaio è certamente quella più apprezzata – afferma Zanin –. Il successo riscosso è veramente notevole e ci sta dando molte soddisfazioni”.
Gli arredi Livingcap sono distribuiti prevalentemente in Italia, negli stati della CEE, in Russia, Indonesia, Africa e Nord America, e c’è pure la possibilità di acquistarli online attraverso la sezione shop presente nel sito.
L’azienda vicentina è proiettata verso la massima tutela dell’ambiente. Creatività, versatilità, gusto estetico e la propensione per i materiali ecofriendly consentono di proporre arredi che comunicano l’importanza del riciclo.
Simone Lucci
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