LA MODA SCENDE IN CAMPO CONTRO IL CORONAVIRUS

LA MODA SCENDE IN CAMPO CONTRO IL CORONAVIRUS

Sicuramente il binomio moda e Coronavirus è insolito, ma non così tanto come può sembrare. Sono tanti, infatti, i brand e gli stilisti che si sono mobilitati per supportare con iniziative benefiche la ricerca e il sistema sanitario.

Giorgio Armani è stato il primo a “chiudere” i suoi punti vendita, ristoranti, hotel e a sfilare a porte chiuse durante la Fashion Week. Dopo pochi giorni, l’imprenditore ha donato un milione e 250 mila euro per gli ospedali Sacco, Istituto dei Tumori, San Raffaele (Milano), Spallanzani (Roma) e per finanziare la Protezione Civile. Lo stilista ha deciso di dare il suo contributo anche all’ospedale di Piacenza, della Versilia e di Bergamo arrivando così a una donazione complessiva di 2 milioni di euro.

A sostegno della città di Bergamo, anche il Gruppo Trussardi ha attivato una raccolta fondi a favore di CESVI per sostenere l’acquisto di respiratori e ventilatori polmonari per l’Ospedale Papa Giovanni XXVIII. “Bergamo è il luogo dove tutto è iniziato. Dal 1911, quando mio nonno Dante Trussardi fonda l’omonima Premiata Fabbrica di Guanti – dichiara Tomaso Trussardi, Presidente del marchio –. La città ha sempre mostrato la sua vicinanza alla mia famiglia e ha contribuito alla nostra storia con creativi, artigiani e maestranze locali; un legame che dura da tre generazioni. Il nostro impegno ora è rivolto alla cura delle persone che rischiano la vita a causa del Coronavirus. Per perorare questa causa il 100% delle vendite su trussardi.com sarà devoluto a CESVI”.

I fratelli Della Valle hanno dato vita a un fondo gestito direttamente dalla Protezione Civile per supportare i familiari degli operatori sanitari deceduti affrontando il coronavirus nelle strutture ospedaliere e di ricovero dei malati. Al fondo la famiglia di imprenditori marchigiani ha destinato 5 milioni, mentre Mario ed Enrico Moretti Polegato, rispettivamente presidenti di Geox e di Diadora, hanno devoluto un milione di euro a beneficio della regione Veneto. Edizione Srl, holding della famiglia Benetton, invece ha versato 3 milioni di euro per sostenere quattro istituti ospedalieri, impegnati a contrastare l’emergenza.

Per avviare il progetto promosso dalle regione Lombardia che prevede la realizzazione di un ospedale con oltre 400 posti di terapia intensiva all’interno della ex Fiera di Milano, Moncler ha messo a disposizione 10 milioni di euro.

I brand Michael Kors, Versace e Jimmy Choo del gruppo del lusso Capri Holdings Limited hanno devoluto nel loro insieme più di 3 milioni di dollari in supporto alla lotta contro il Covid-19. A Milano, Versace ha donato 500 mila dollari per supportare la città. Questa donazione ripartita tra l’ospedale San Raffaele e l’iniziativa di CMNI Italia, We Are With You, si aggiunge a quella di un milione di RMB in favore della Chinese Red Cross Foundation e alla donazione personale di 200 mila euro fatta da Donatella Versace e sua figlia Allegra dell’ospedale San Raffaele di Milano. Poi c’è la famiglia Zegna che, insieme al top management del Gruppo, ha deciso di donare, a titolo personale, 3 milioni di euro alla Protezione Civile Italiana, per sostenere gli infermieri, i medici, i ricercatori e i volontari di tutta Italia che da settimane lavorano instancabilmente.

Importante è anche l’operazione di Damiani, che ha messo a disposizione della Protezione Civile i nuovi headquarters di 12 mila metri quadri a Valenza. L’edificio può essere utilizzato come ospedale da campo, ricovero per senzatetto, magazzino materiali o per ciò che le autorità riterranno utile.

La pandemia ha fermato il mondo: aziende chiuse, campagne annullate, ma la produzione tessile non si ferma. Il Gruppo Miroglio ha riconvertito parte della sua produzione per realizzare mascherine e rispondere alla carenza di dispositivi di sicurezza nella regione Piemonte. In due settimane, sono state confezionate circa 600 mila le mascherine in cotone ed elastan, trattate con prodotti idrorepellenti che si possono lavare e riutilizzare per una decina di volte, vendute al prezzo minimo che consenta di coprire i costi di produzione. Anche il Gruppo Calzedonia ha risposto all’appello delle istituzioni, mettendo a disposizione gli stabilimenti di Avio (Tn) e Gissi (Ch), per quanto riguarda il territorio italiano, e gli impianti croati di proprietà del gruppo veronese. La conversione è stata possibile grazie all’acquisto di macchinari speciali per la creazione di una linea semi-automatica, e alla formazione delle cucitrici al nuovo tipo di produzione. Questo nuovo assetto permette la produzione di 10 mila mascherine al giorno donate all’ospedale e al Comune di Verona.

A sua volta il gruppo veneto Plissé, proprietario dei marchi Beatrice.b, Sfizio e Smarteez, ha intrapreso la produzione di mascherine e camici da sala operatoria.

In Puglia, Tagliatore ha messo a punto in una settimana 12 mila mascherine per il Comune di Martina Franca, l’Ospedale San Giuseppe di Milano, mentre in Emilia Romagna la Marex ha aderito al progetto di Nuova Sapi per la creazione di mascherine idrorepellenti riutilizzabili fino a dieci volte.

Per garantire agli ospedali gli indumenti necessari per la protezione dal Covid-19 c’è anche la Herno di Claudio Marenzi (presidente di Pitti Immagine e Confindustria Moda). La produzione a titolo gratuito viaggia con ritmi in grado di garantire 10 mila camici e 25 mila mascherine al mese, distribuiti dalla Protezione Civile presso i presidi sanitari sul territorio.

La corsa alla solidarietà non si ferma, Luisa Spagnoli ha effettuato una donazione di mascherine all’ospedale S. Maria della Misericordia di Perugia e una donazione in denaro, per l’acquisto di apparecchiature necessarie al personale medico-sanitario.

100 mila euro all’ospedale Sacco di Milano da parte di Sergio Rossi, ma il un maestro della calzatura di lusso italiana viene a mancare dopo il ricoverato di diversi giorni all’ospedale Bufalini di Cesena, era risultato positivo al coronavirus.

Nell’esercito della moda anche Gucci (con una donazione di 1 milione di euro alla Protezione Civile) Salvatore Ferragamo, Fendi, Celine, Valentino (che ha devoluto 1 milione di euro all’unità di terapia intensiva del Sacco di Milano, e 1 milione per la Protezione Civile italiana), Serapian, Drome ed Ermanno Scervino hanno risposto agli appelli delle regioni. “Le nostre sarte erano a casa per precauzione e abbiamo chiesto loro se volevano fare volontariato per produrre mascherine, camici e cuffie – afferma Toni Scervino, amministratore delegato di Ermanno Scervino –. Hanno aderito tutte, per noi è un grande orgoglio”.

Prada, su richiesta della Regione Toscana, ha avviato la produzione di 80 mila camici e 110 mila mascherine da destinare al personale sanitario della regione. Gli articoli sono prodotti internamente presso l’unico stabilimento del Gruppo, Prada Montone (Perugia), rimasto operativo a questo scopo e da una rete di fornitori esterni sul territorio italiano. Miuccia Prada, inoltre, ha aderito al progetto della Lega Italiana per la lotta contro i tumori (LILT) di Milano e Monza Brianza per consegnare 5 ventilatori polmonari, 20 mila mascherine chirurgiche e mille mascherine filtranti (ffp2) all’Ospedale San Gerardo di Monza attraverso una donazione personale di 60 mila euro, facendo salire a 120 mila l’ammontare della raccolta. Anche Mara Maionchi, premio LILT for Women 2019, ha offerto il suo sostegno alla campagna amplificandola attraverso i suoi canali social. Sempre a sostegno dell’ospedale San Gerardo, il Gruppo Canali ha versato 200 mila euro tramite la Fondazione Canali Onlus “L’emergenza sanitaria ha chiuso le nostre porte ma non i nostri cuori – riferisce Marco Alloisio, il presidente di LILT Milano –. Grazie a tutti per la solidarietà a catena che si sta moltiplicando ora dopo ora. Solidarietà per chi soffre e per chi non può permettersi di interrompere terapie vitali come quelle oncologiche”.

Per tutto il mese di aprile, invece, il 10% delle vendite online dei marchi principali del gruppo OTB (Diesel, Maison Margiela, Marni) è devoluto alla Fondazione OTB, un’organizzazione no profit del gruppo impegnata nel sostenere aree del mondo in difficoltà attraverso iniziative a impatto sociale e in particolare all’approvvigionamento e alla distribuzione di materiali di protezione per il personale medico e paramedico in prima linea nella lotta al virus, e di strumenti di supporto ai malati di centri e strutture ospedaliere minori. Mentre fino al 12 aprile, i brand del Gruppo Aeffe: Alberta Ferretti, Philosophy di Lorenzo Serafini e Moschino destinano il 15% delle vendite online a supporto dell’Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna e dell’Istituto Clinico Humanitas Milano.

Chiara Boni ha disegnato la t-shirt unisex Smile for Italy. L’intero ricavato dalla vendita va a favore dell’Associazione Aziende Socio Sanitarie Territoriali della Regione Lombardia.

Cruciani C, invece, con la vendita 5000 braccialetti macramé, Furla con una significativa donazione a nome di tutti i suoi dipendenti e Leda Madera, il brand di bijoux creato da Giulia Tordini, con i profitti delle vendite del suo e-commerce sostengono Croce Rossa Italiana

Con l’iniziativa Prints For Good, Giampaolo Sgura ha messo in vendita una selezione di 18 immagini dal suo portfolio con stampe in edizione limitata firmate dal fotografo. Il 100% del ricavato dalla vendita su printsforgood.org è devoluto a supporto degli ospedali della Regione Puglia. Anche gOOOders si impegna a contrastare l’emergenza sanitaria con una mascherina speciale, realizzata e ricamata a mano a Napoli e i profitti delle vendite sono donati all’ospedale Cotugno di Napoli.

Coccinelle ha attivato una raccolta fondi online su GoFundMe.com, un esempio seguito anche da Elisabetta Franchi con la campagna di raccolta fondi chiamata #SEVUOIPUOI a cui la stilita ha donato 50 mila euro. La piattaforma è stata utilizzata anche da Chiara Ferragni e Fedez che hanno ricavato più di 3 milioni di euro destinati alla creazione di nuovi posti di terapia intensiva all’ospedale San Raffaele di Milano.

Dall’estero, Chanel ha donato 1,3 milioni di euro per supportare l’Italia, la somma è destinata alla Protezione Civile Italiana e agli ospedali Sacco di Milano e Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Mango dona 2 milioni di mascherine. Poi c’è Dior, che ha deciso di riaprire le porte del suo stabilimento Baby Dior a Redon, in Francia, per produrre mascherine protettive. Il gruppo francese Kering, che racchiude molti brand del lusso Made in Italy e non solo (Gucci, Bottega Veneta, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni, Pomellato e Kering Eyewear) ha donato 2 milioni di euro a favore degli ospedali italiani. La donazione aiuta molte strutture in Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio, regioni più attive nelle produzioni del gruppo.

Nonostante la sofferenza del settore fashion a causa della crisi dovuta al Coronavirus, molti brand e imprenditori si espongono personalmente per fronteggiare la situazione, con azioni concrete, positive e costruttive a sostegno della sanità, dimostrando di che stoffa sono fatti e da quali valori sono guidati.

Simone Lucci

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GIOIELLI ARTIGIANALI NEL CUORE DI MILANO

GIOIELLI ARTIGIANALI NEL CUORE DI MILANO

All’ingresso dell’atelier in via dei Piatti, un palazzo del XVI secolo dai soffitti a volta valorizzati con installazioni botaniche, un orafo al banco di lavoro smeriglia, salda, modella, assembla collane, orecchini, anelli, spille sotto gli occhi dei clienti ammirati per l’abilità e la manualità. Scalpelli, fili, seghetti e fiamma ossidrica sono gli attrezzi del mestiere. È questa l’originale accoglienza che ricevono gli acquirenti quando entrano nello store meneghino Daniela de Marchi.

Nata a Milano, la designer è una donna di media altezza, corporatura morbida, occhi brillanti, labbra sempre evidenziate con un rossetto acceso. Ha un sorriso contagioso, uno stile sofisticato e ricercato. Colpi di fulmine, stati empatici e amori a prima vista sono i motori che la muovono. “Per me gli stati empatici sono fondamentali. Quando compio azioni seguendo soltanto la testa commetto grandi errori”, confida. Difficilmente pianifica la vita, in quanto la sua esistenza è guidata dall’intuito e dal saper cogliere le occasioni.

La passione per i preziosi prende vita nel 1991, quando riceve una borsa di studio presso l’Istituto Europeo di Design (IED) e si laurea in Design del Gioiello, trovando così il canale con cui esprimersi. Poi, nel 1998, nasce il brand “ddm”, acronimo di Daniela de Marchi.

La carriera subisce un giro di boa quando una turista giapponese, dopo un veloce sopralluogo nell’atelier milanese, la contatta per farle presentare la sua collezione a Parigi. L’appuntamento è in uno showroom di Rue du Faubourg Saint-Honoré, dove ad accogliere Daniela de Marchi ci sono raffinate donne giapponesi. La signora Satomi-san ordina trenta pezzi della collezione, specificando che sono solo per il campionario. Dopo due mesi, la designer riceve il primo ordine da H.P. France, il gruppo giapponese incontrato a Parigi. Quasi mille articoli con la consegna in due mesi. “Ero felicissima. Da quel giorno non ho più ricevuto porte in faccia. Sì perché ne ho avute molte: inizialmente, gli orafi rifiutavano i gioielli realizzati in ottone bronzo e argento in quanto considerati di scarso valore. “Utilizzare metalli con un peso specifico molto inferiore a quello dell’oro mi permette di proporre preziosi con volumi importanti, ma leggeri”.

Nel 2014, la de Marchi apre “l’atelierino”, un piccolo spazio nel quartiere artistico di Brera. “L’idea nasce dall’esigenza di avere molti punti vendita monomarca – spiega l’imprenditrice –. L’atelierino è un ambiente che consente a me e ai miei collaboratori di far fronte alle singole esigenze dei clienti realizzando gioielli su misura. Vesto la parte più femminile di una persona. Non produco collezioni maschili, ma se un uomo ha una forte sensibilità femminile è possibile inventare un accessorio che rispecchi la sua personalità”.

Qualunque monile può essere adattato in base alle esigenze dell’acquirente. “L’artigianato è interessante quando è customizzato, con la possibilità di proporre un prodotto unico. Mi affascina l’idea che un prezioso calzi alla perfezione e sia comodo. E che sia speciale. La peculiarità dell’artigianato è: il difetto. L’imperfezione rende ogni articolo particolare e unico nel suo genere. Nei miei bijoux si trovano molti difetti, ed è per questa ragione che siamo bravi”, precisa Daniela de Marchi sorridendo.

Artigianato e made in Italy sono il fiore all’occhiello del brand. “La passione per il fatto a mano è nata quando ho compreso che riuscivo a produrre gioielli con facilità – riferisce la designer –. Ho avuto anche la fortuna e l’onore di lavorare fianco a fianco con due grandi artigiani: Carlo Ceccato e Giorgio Vigna, i miei maestri, uomini di gran gusto e raffinatezza. Ho bei ricordi di quel periodo”.

Nelle botteghe orafe, Daniela de Marchi impara la tecnica della cera persa, che consiste nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla o di silicone, sul quale si praticano due fori: uno in alto e uno in basso, per far uscire la cera scaldandola. Successivamente, si versa del metallo fuso che va a sostituire la cera e si ricava un monile identico. Un metodo conosciuto fin dall’antichità.

La produzione è supportata anche da un laboratorio di Arezzo, perché già nei primi anni della sua attività l’artigianato a Milano stava scomparendo.

Nelle officine di Daniela de Marchi, il lavoro artigianale è suddiviso in diverse fasi. Il primo step è il pensiero, il saper cosa fare. In un secondo momento, il pensiero diventa ricerca: l’idea viene trasformata in un progetto su carta con un disegno, e viene realizzato un modellino con la plastilina. Successivamente, si crea un campione di cera e lo si usa per la produzione di uno stampo di silicone. All’interno della matrice viene versato il metallo e realizzato il prototipo. “Lo studio del prototipo è una fase fondamentale al fine di ideare un accessorio portabile – precisa la de Marchi –. Il campione si prova, si indossa, con lo scopo di eliminare eventuali difetti di modellistica”. Se il modello è considerato valido, si procede con la produzione in serie.

Dall’impegno e dall’amore per la sperimentazione della creatrice di gioielli nasce la texture brevettata del Dropage, piccole sfere irregolari che ricoprono, in parte o nella loro totalità, le superfici delle sue collezioni. “La tecnica del Dropage ha origine da una delusione d’amore. In quel periodo della mia vita ero molto triste e, per non pensare ai miei problemi, ho iniziato a riprodurre delle piccole gocce di metallo, forgiate una a una. Adoro le bolle di sapone. Vorrei che al mio funerale ci fossero solo bolle di sapone!”.

Ciascun prezioso è una perfetta fusione tra metallo e pietre. Diamanti, quarzi, ametiste, avventurine, corniole, onice, labradorite sono le materie prime che provengono da diversi fornitori, principalmente dalla Cina e dall’India. “La labradorite è la gemma più richiesta. Possiede i riflessi delle squame dei pesci: grigio, verde, blu. È la pietra che preferisco in assoluto perché si adatta al colore dei miei occhi e dei miei capelli”, osserva Daniela de Marchi.

Le gemme naturali si possono accostare a una vasta scelta di smalti e bruniture dei metalli. Abbinamenti effettuati dalle sapienti mani degli artigiani che permettono di personalizzare il gioiello. “La smaltatura che applichiamo è stata inventata e sperimentata da me e dai miei collaboratori – afferma la designer–. Il metodo deriva da una tecnica impiegata nelle carrozzerie automobilistiche, una lavorazione complessa che offre un ottimo risultato”.

Ogni monile ddm può essere classificato in quattro macro collezioni:

D di Design rappresenta i preziosi scultorei,

D di Dropage racchiude gli accessori realizzati con le piccole bolle di metallo,

D di Simply D è la linea di gioielli piccoli,

D di Diamonds comprende anelli, collane, bracciali e orecchini abbinati ai diamanti naturali.

Per commercializzare monili di successo occorre avere le idee chiare e captare ogni stimolo. La realizzazione di una collezione è un processo impegnativo, in quanto è difficile soprattutto partorire l’idea di partenza – riferisce Daniela De Marchi –. I tempi di produzione di ciascuna collezione variano in base alla complessità dei preziosi, ma ogni sei mesi vengono inseriti nuovi bijoux alle linee già esistenti”.

Il marchio propone diversi tipi di gioie. “L’accessorio che prediligo è l’anello, mi piace indossarli in coppia – confida l’imprenditrice –. Alle mie clienti consiglio sicuramente di portare anelli e orecchini, perché sono preziosi in grado di trasmettere carattere, temperamento e femminilità. L’anello riccio con pietra con il codice N09 è il gioiello più apprezzato, e lo propongo a donne con un carattere deciso”. Il gioiello è inserito nella collezione Intramontabili. “La linea che comprende i gioielli maggiormente acquistati e ammirati di ogni collezione– riferisce Daniela de Marchi –. I preziosi storici del brand”.

Intramontabili, Segreti, Serpenti, Ghirigori, Corallo, Contaminazioni, Camelia, Parole Parole, e Little Secret sono alcune delle linee realizzate. Globe e “O” invece sono delle novità. La prima nasce dal concetto che la terra non ha confini, lo sguardo cerca nel cielo nuove galassie, e i pianeti lontani diventano, così, piccole sfere da indossare… mentre la seconda si ispira all’ellissi, una forma perfetta per realizzare gioielli voluminosi e allo stesso tempo leggerissimi. Tra il classico e il bon ton, questa collezione prende forza nell’anello “Marry Me”.

Molte collezioni ddm hanno un chiaro riferimento al mondo naturale. Il giardino botanico di Lisbona, gli animali, fiori, foglie e rami sono alcune delle fonti di ispirazione delle linee disegnate e firmate da Daniela de Marchi. Tutti elementi non casuali, in quanto la cura dell’ambiente è un tema a cui la designer è molto legata. “Fin da bambina, provo una particolare sensibilità verso la tutela ambientale, e la trasmetto attraverso le mie linee – spiega de Marchi –. Talvolta, per rispettare la natura basta avere buon senso e un po’ di civiltà. Camminerei per strada con le pinze per raccogliere i rifiuti, perché vorrei che la gente avesse più amore per il luogo in cui vive”.

Dal 2014, il brand ddm diventa un’azienda a Impatto Zero® grazie al progetto di LifeGate, un’impresa attiva sul territorio italiano che salvaguarda l’ecosostenibilità ambientale. La collaborazione fra le due realtà permette di compensare la produzione di CO2 generata dai diversi consumi dell’atelier milanese in termini di energia e materiali, come carta e acqua. A fronte del calcolo stimato di tali consumi, vengono creati e tutelati oltre 2200 mq in Madagascar e non solo: il piano operativo comprende anche la riqualificazione dell’area rurale vicina alla nuova foresta, in modo da preservarne il naturale ecosistema e poterne tutelare il mantenimento nel corso degli anni.

Il brand è presente in: Giappone, Francia, Olanda, Regno Unito, Turchia, Libano, Polonia, Russia, Canada, Ghana e Australia. Per stare al passo con l’evoluzione tecnologica e con i ritmi che caratterizzano la vita moderna, è inoltre possibile l’acquisto dei preziosi online, direttamente dal sito del marchio.

Il lusso, per il mio brand è una coccola. Creare un gioiello customizzato e poter fornire consigli all’acquirente al fine di realizzare orecchini, anelli o collane unici che rispecchino il suo gusto è impagabile”.

Ma cos’è il lusso per Daniela de Marchi? “Il lusso per me è avere accanto delle persone che mi aiutano, su cui posso fare affidamento. Avere una cuoca, perché la cucina mi mette ansia. E creare gioielli, per tutta la vita”.

Simone Lucci

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LA MODA UOMO 2020 SI VESTE DA DONNA

LA MODA UOMO 2020 SI VESTE DA DONNA

Si è conclusa da poco la prima tranche annuale di sfilate autunno/inverno, e le tendenze attuali del guardaroba maschile rispecchiano le dinamiche evolutive della nostra società. I temi principali? Sostenibilità e libertà di essere e apparire.

A Londra una nutrita schiera di designer ha fatto emergere il tema della sostenibilità e dell’ecologia esponendo collezioni di streetwear realizzate interamente con materiali riciclati e tecniche appunto “eco-conscious”.

Le passerelle di New York si tingono di colori audaci, borse a tracolla e abiti monocromo. Eleganti suit a torso nudo, camicie trasparenti e t-shirt tie-dye si introducono negli outfit classici da ufficio limando i lati spigolosi dell’abito e valorizzando il sex appeal.

A Parigi hanno sfilato abiti realizzati in patchwork, drappeggiati, e cappotti molto larghi. Milano è stata colorata con abiti naïf, pattern e peluche.

In generale possiamo dire che a Milano e a Parigi i riflettori vengono puntati sui temi sociali, le linee diventano più morbide e rilassate. Attraverso tagli sartoriali e estremizzazione di forme, volumi e insolite texture viene argomentata la diversità di genere e la diversità dell’essere.

L’inverno del 2020 mette in risalto un uomo che vuole slegarsi dallo streetwear ma soprattutto, a livello simbolico, tenta di abbandonare gli schemi patriarcali, mostrando le sue debolezze e il proprio lato ludico per sentirsi più leggero e libero.

Il rosa, il colore dominante in passerella, viene prediletto dagli uomini che tentano di contrastare il modello sociale che fin da bambini li ha relegati nel ruolo di “macho”, virile e dominante.

Si tratta di archetipi di genere assimilati nei secoli, ma fortunatamente qualche designer cerca di discostarsi dalla tradizionale visione dualistica portando alcuni elementi simbolici del guardaroba femminile negli outfit maschili, e contribuendo così a comunicare nuovi modi di apparire all’interno di una società che tende all’omologazione di massa.

Alessandro Michele, nell’ultima sfilata di Gucci, cerca di evocare la sensazione di libertà che si prova prima di diventare uomini adulti: riprende alcuni elementi che richiamano l’infanzia, attraverso collettini di velluto, calzini corti e scarpe in stile start rite.

Rick Owens cerca di rappresentare la diversità di genere facendo sfilare l’ennesimo uomo vestito da donna. Questa immagine di passerella ha guadagnato tanti like, ma leggendo i vari commenti sui social emerge l’opinione di chi stenta, per un motivo o per un altro, ad accettarne il messaggio:

– Qualcuno mi salvi da questo pazzo mondo!

oppure

– Mi piacerebbe vederlo entrare nel pub in quel modo…

e ancora

– Dove andrà a finire il mondo?

– Goodbye manswear.

e via via a crescere…

Questo rammarico è dovuto a un attaccamento emotivo al modo dualistico di interpretare cosa definisce un uomo e cosa definisce una donna, ma è anche sintomo del fatto che molte persone ignorano come funziona il mondo dell’abbigliamento attuale. Le case di moda in passato proponevano uno stile statico, un modello a cui bisognava ispirarsi, mentre adesso gli abiti vengono disegnati secondo i gusti della società e se la società cambia modo di pensare, cambia anche il modo di lavorare dello stilista. Le aziende e i grandi marchi oggi non investono più sulla vendita di un ideale statico e nemmeno sulla costruzione di un’icona, come poteva essere per esempio il lancio di una top model, ma al contrario traducono il modo di pensare delle persone e cercano di creare una relazione duratura investendo nel legame che si crea tra follower e influencer, perché più conveniente e immediato, ma soprattutto: autentico.

Succede però che a volte si crea una divisione di opinioni e da un lato i mondi fashion e mediatico cercano di rappresentare la diversità lavorando appunto in maniera differente rispetto al passato, mentre dall’altra parte la maggioranza delle persone rimane legata alla tradizione e risponde con sdegno alle proposte di cambiamento. La moda stessa è però sinonimo di mutamento. Lo diceva anche Carla Bruni quando ancora calcava le passerelle mondiali: in un’intervista degli anni ’90 sottolineò che la moda è passeggera, consapevole del fatto che il fenomeno delle top model, di cui lei faceva parte, era destinato a decadere per essere sostituito da qualcos’altro.

Così è stato, anche perché le top-model e i vecchi canoni di bellezza non esistono più, infatti la continua evoluzione dell’estetica, lo sviluppo di mass media informatici e dei supporti digitali hanno fatto emergere nuove figure e il concetto di modella o top-model, o nel caso delle sfilate maschili, il “super-uomo-maschio-alfa” è stato scalzato da instagrammer, youtuber e blogger che mostrano la loro vita reale in diretta, 24 ore su 24, rimanendo sempre presenti nella quotidianità dei follower.

Saper interpretare la moda attuale significa saper capire come lavorano le aziende, e quindi anche essere consapevoli del fatto che il ruolo della modella o del modello icona, in questo momento, viene messo in seconda linea lasciando spazio a personaggi di spicco che rappresentano la società odierna. Infatti in passerella sfilano vari tipi di persone, non più solo modelle o modelli ma: blogger, designer, vip, ragazze “plus size”, uomini effeminati, donne dai tratti mascolini, etc.

Queste persone, grazie alle possibilità di espressione umana che la moda può offrire, mostrano al mondo intero tanti svariati modi per ridefinire la propria identità.

Lo stilista attuale lavora prendendo spunto dai simboli riconosciuti socialmente, sia nel passato sia nel presente, e poi ridisegna l’intero contesto creando un nuovo modo di essere. Un po’ come ha fatto il sopracitato Rick Owens. Con uno sguardo poco attento e miscredente, il suo show viene aperto da un uomo che porta lunghi capelli biondi e indossa una tuta monospalla dal taglio femminile. A livello puramente estetico potrebbe sembrare soltanto un uomo vestito da donna, a livello tecnico lo stilista presenta un capo di maglieria dal gusto minimal grunge ispirato alle performing art dei primi anni 2000, mentre a livello simbolico, contemplativo e culturale, il lavoro di Rick Owens è stato quello di far sfilare l’instagrammer, blogger e designer Tyrone Susman con una tuta ispirata ai costumi di scena del noto cantautore britannico David Bowe.

Chiaramente il significato di molti dettagli può sfuggire, perché non si può avere conoscenza di tutto, ma nelle proposte uomo 2020 si nota il costante lavoro che industria e social media mettono in opera per rincorrere gli ideali di progresso e globalizzazione, i nuovi modi di essere e di apparire, l’accettazione del diverso, l’esigenza di uscire dagli schemi. Nonostante i numerosi like e i clienti affezionati, dai social emerge però il contrasto tra chi apprezza le nuove proposte e chi esprime disappunto perché legato emotivamente al dualismo dell’essere o dell’apparire uomo o donna. Nonostante non esistano leggi giuridiche che vietino agli uomini di indossare un abito rosa.

Maurizio D.

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ESTRO E COLORE CON ÁGATHA RUIZ DE LA PRADA

ESTRO E COLORE CON ÁGATHA RUIZ DE LA PRADA

Felpa azzurra con un grande fiore al centro, gonna a righe con fiori gialli, calze arancioni, in testa un cerchietto arancione con palline e infine una borsa blu e fucsia. Si presenta così Ágatha Ruiz de la Prada, la stilista spagnola colorata dentro e fuori. Il fucsia è il colore che la identifica e il nero non è mai presente nelle sue collezioni.

Sono nemica del nero. Mi fa paura e non capisco come possa andare tanto di moda a Milano – afferma –. La passione per i colori nasce da quando ero bambina. Ma i colori non bastano, tempo fa ero a Panama per una mostra e un giornalista mi ha chiesto se per me fosse più importante il colore o la forma. Nel mondo mi conoscono per il colore, ma reputo più rilevante la forma. E quella dei miei vestiti è rivoluzionaria”.

Non le piacciono pelle, pelliccia e tessuti artificiali. Predilige la seta e poi il cotone. “Quando ho incominciato usavo molto la seta, e con tessuti di altissimo livello, anche perché mi facevano un prezzo speciale. Ho avuto la fortuna di lavorare come stagista con Ratti, uno dei migliori fabbricanti di seta nel mondo”, ricorda De la Prada, e aggiunge: “Oggi è impossibile lavorare con tessuti di grande qualità a causa dei costi elevati”.

Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla” è una frase del grande pittore e scultore Salvator Dalì, cui la stilista si ispira. Ágatha Ruiz de la Prada, per disegnare le sue collezioni, guarda al movimento surrealista e vi aggiunge i colori più vivaci della Pop Art. “Trovo che la Pop Art sia il periodo più ottimista della storia della pittura, mi piace molto l’astrattismo, l’arte del ventesimo secolo mi incanta”.

Alcuni abiti della designer sono vere sculture, opere d’arte. È il caso dell’abito Piano e del vestito Gabbia, presenti nella collezione AW 2009/2010, omaggio a Salvador Dalì nell’anno della celebrazione dei vent’anni trascorsi dalla sua morte. “Avrei voluto fare la pittrice – confessa ÁgathaRuiz de la Prada –, ma dopo artisti del calibro di Dalì, Mirò e Picasso, sarebbe stato difficile emergere. Fare la stilista è più facile e trovo riscontro alle mie creazioni in modo immediato”.

Ha mai dipinto a mano capi della sua collezione?

Molti, molti, molti, mille. Di recente hanno sfilato in passerella tutti vestiti dipinti a mano. Ho trascorso la mia vita a dipingere sui tessuti: su seta, cotone…

Quale capo dovrebbe avere ogni donna nel suo armadio? E quale non può mancare nel guardaroba maschile?

Penso che l’uomo ha bisogno di più colore. Perché deve indossare sempre capi neri? È orribile no? E poi, le persone, uomini e donne, devono vestirsi con indumenti comodi. Le scarpe sono importantissime, e anche le calze colorate, io do molta importanza alle gambe.

I capi delle sue collezioni sono sempre molto estrosi. Quali peculiarità caratteriali deve avere chi indossa i suoi abiti?

La donna de la Prada deve essere coraggiosa. Molto coraggiosa.

Tra le molte collezioni che ha realizzato ce n’è una alla quale è particolarmente legata?

La prima. La prima è come il primo amore, è una cosa che nella vita non dimentichi. La canzone della prima sfilata l’ho sentita tutta sulla pelle. La prima volta è favolosa. La ricordi per sempre. È stata spettacolare anche la prima volta che ho sfilato a Parigi, dalla strada vedevo la Tour Eiffel. Un’emozione impressionante. Poi una delle ultime sfilate: per i 30 anni della mia carriera ho voluto ripercorre i 30 anni del brand. Una retrospettiva, ho lavorato sul dipinto a mano, sulle stampe…

Fiori giganteschi, cuori, macro bolle, labbra rosse, nuvole bianche e mani che avvolgono la silhouette di chi indossa il capo sono solo alcune delle stampe. Sembra di essere in una favola, come fa a coltivare la sua creatività senza ripetersi mai nel corso degli anni?

Ho una bella squadra, con molta gente giovane che mi aiuta.

Apple, Audi, Barbie, Swatch, Camper, Lacoste, Unicef, Nestle, Kleenex, sono solo alcuni dei brand con cui ha lavorato. Come sceglie con chi collaborare? Con quale brand ha vissuto l’esperienza più stravagante?

Facilmente dico di sì, ma ci sono cose a cui dico di no: pelle, pellicce, tabacco.

Un’esperienza insolita: ricordo una ditta italiana che mi ha ordinato una collezione di porte blindate. È stato difficile, ma sono stata felice del risultato: sono state vendute in tutto il mondo, e poi ho realizzato un’altra collezione di porte, per un altro fabbricante.

Sono nati i profumi e i balsamo labbra da lei firmati. Come nasce l’idea? Tra i progetti futuri vi sarà la possibilità di ampliare la linea?

Io penso che l’ossessione di ogni designer sia creare un profumo. Era il mio sogno e ne ho realizzati più di 18. Sono stata fortunata, perché ho collaborato con professionisti competenti ed esperti. Il mio produttore di profumi è bravissimo: è il terzo o il quarto nel mondo. Per la moda il profumo era importantissimo, ma ora tutto è fondamentale: le collezioni per la casa, per i bambini…

Com’è nata la passione per la moda?

Volevo fare la pittrice però, a 14/15 anni, nel momento in cui una ragazza desidera particolarmente essere bella, ho pensato che la moda dà una felicità immediata, mentre quello dell’arte è un cammino molto solitario, molto difficile, molto duro. Conoscevo abbastanza bene il mondo dell’arte, ed essere una grande artista dopo Picasso era difficile. Essere una grande stilista era più facile.

Quali studi ha intrapreso?

Io sono abbastanza autodidatta. Ho iniziato a 20 anni alla Escuela de Artes y Tècnicas de la Moda di Barcellona, che però non mi piaceva, ci sono rimasta un anno. Non ero una brava studentessa, se lo fossi stata ora sarei un architetto.

Lei ha tenuto diversi incontri presso le Università nel mondo. Cosa consiglia ai giovani che si avvicinano al settore della moda?

Consiglio di avere molta pazienza, perché il bello di questa professione è la professione in sé, molti vogliono raggiungere il successo subito. L’importante è amare il proprio lavoro, giorno dopo giorno, ed essere felici giorno dopo giorno.

Qual è per lei il concetto di lusso?

Mi reputo una designer molto democratica, per me il lusso è la cultura, la musica, l’intelligenza, gli amici, il cibo. Se tu esci felice e ben vestito, è fatta.

Dal 2006 ÁgathaRuiz de la Prada è attiva per Unicef nella campagna Frimousse de Crèateurs e crea bambole di pezza che vengono battute all’asta per finanziare molteplici progetti.

La designer si ispira al mondo dei più piccoli e inventa per loro una linea su misura che ne cattura l’ottimismo e la spensieratezza.

La stilista vive nel suo mondo colorato: “Vesto sempre con i miei abiti perché sono lo specchio di quello che io sono”.

Clementina Speranza e Simone Lucci

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ANELLI ECO FRIENDLY E BIODEGRADABILI NATI DAL RICICLO

ANELLI ECO FRIENDLY E BIODEGRADABILI NATI DAL RICICLO

Il futuro pensa con uno spirito verde e sostenibile per migliorare la circolarità della produzione, incentivare i sistemi di riciclo e inventare nuove tecnologie ecologiche attente alla natura.

Anche Road to Green 2020, un’associazione No Profit fondata a Roma nel 2016 da Dionisio Graziosi e Barbara Molinario, nasce con lo scopo di promuovere l’educazione ambientale, sensibilizzare le persone verso lo sviluppo sostenibile e accrescere la cultura green facendo leva sull’enorme patrimonio storico, culturale, artistico e gastronomico italiano. Dal 2017, lo sponsor ufficiale dell’associazione è Sbottonando, il brand di accessori ecosostenibili creato da Michela Monaco che da tempo supporta progetti amanti dell’ambiente.

Sbottonando è nato anni fa da un anello realizzato per gioco – racconta la designer –. Negli anni, ho prodotto migliaia di gioielli ricavati da centinaia di lampo, scarti di laboratori sartoriali, bottoni inutilizzati. Un minuzioso lavoro artigianale volto a valorizzare l’unicità di ogni pezzo”.

Questa volta, per promuovere modelli di vita green, Michela Monaco presenta la nuova linea di gioielli eco friendly TRIuSo con un evento presso il salone di bellezza Franco e Cristiano Russo.

TRIuSo è una linea molto diversa dalle precedenti, ma unita a esse dal concetto di ecosostenibilità e dal recupero di materiali che altrimenti resterebbero inutilizzati – precisa Monaco –. Tutto nasce lo scorso anno quando Legambiente mi ha chiesto di ideare dei bijoux per una campagna di raccolta fondi. Avevo bisogno di bottoni di un materiale attento all’ambiente, con una forma che ricordasse il carapace della tartaruga, e di un’azienda che potesse supportarmi nella realizzazione. Così ho scelto Essequadro, un’azienda che produce occhiali, infatti la linea TRIuSo mostra come è possibile recuperare gli scarti industriali della produzione di occhiali, le cui dimensioni ridotte non ne consentirebbero il riutilizzo per la produzione di altri modelli”.

Gli anelli TRIuSO, 100% made in Italy, sono realizzati con un particolare acetato di cellulosa ricavato dalla pianta del cotone e dalle fibre del legno, composto da una maggiore percentuale di elementi ottenuti da fonti rinnovabili rispetto a quello tradizionale. Anche il plastificante, necessario per la realizzazione di una lastra di acetato, è di origine vegetale. Il risultato, dunque, è un materiale assolutamente naturale.

La straordinarietà della lavorazione consiste nel meticoloso lavoro artigianale che si cela dietro ciascun anello, ognuno lucidato, spazzolato e rifinito a mano. I gioielli diventano un vero e proprio accessorio eclettico, con colorazioni trasparenti, monocrome o variegate e dai sorprendenti effetti estetici. Un accessorio moda, con forme e spessori differenti, che può essere indossato singolarmente o in originali tris componibili.

Simone Lucci

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IL FILATO STRETCH CHE CONQUISTA LE AZIENDE DEL FASHION

IL FILATO STRETCH CHE CONQUISTA LE AZIENDE DEL FASHION

I tessuti elasticizzati hanno creato una vera e propria rivoluzione nel settore tessile. Dagli anni ’60 i filati stretch hanno fatto la loro comparsa nel mondo fashion conquistando stilisti come il tunisino Alaïa con i suoi miniabiti tutte-curve, ed Emilio Pucci che ha brevetto Emilioform, un tessuto elasticizzato in shantung di seta utilizzato per realizzarei fuseaux con le ghette. Una moda che ha avuto il suo massimo successo negli anni ’80, in coincidenza con la diffusione della fitness-mania, incoronando Jane Fonda star della forma fisica. Un trend sempre attuale e in continua evoluzione.

La nascita delle nuove fibre ROICA™ Premium Stretch Fiber ha elevato il concetto dello stretch a un nuovo livello con lo scopo di fornire ai consumatori capi contemporanei che combinano elasticità, qualità e prestazione, per un guardaroba che si orienta verso le ultime tendenze proposte in passerelle. ROICA™ trasforma la funzionalità degli abiti: da basico a speciale, da ordinario a ingegnoso, da standard a smart, con una vestibilità che raggiunge nuovi parametri di comfort.

I filati ideati da Asahi Kasei sono utilizzati per confezionare intimo, maglie, calze, capi sportswear, da tempo libero e per l’athleisure che rappresenta la nuova frontiera d’indossare anche in occasioni formali abiti sportivi e casual. Gli stilisti hanno iniziato a creare abbigliamento sportivo, leggings, T-shirt in cashmere, pantaloni da yoga, da indossare anche in altre occasioni.

Marimekko, Brugnoli, Eusebio Spa, FukuiWarpKnitting, Jackytex, Maglificio Ripa e Wolford sono alcuni brand che hanno utilizzato i tessuti ROICA™. Wolford e ROICA™ hanno intensificato la loro partnership, presentando l’ultimo prototipo di calzetteria e underwear high-tech sostenibile. Questa innovazione è stata progettata con un mix di materiali innovativi. Il Modal al biopolimero Infinito® è unito a ROICA™ smart stretch, un filo che, a fine ciclo di vita, si deteriora senza rilasciare sostanze nocive, come attestato dal certificato di compatibilità ambientale Hohenstein. Tale progetto è stato analizzato, accreditato e verificato come totalmente sicuro attraverso un Material Health Assessment condotto da EPEA in Svizzera, per la certificazione “Cradle to Cradle™”.

Simone Lucci

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