LE SNEAKER CON L’OCCHIELLO VERDE SONO A IMPATTO ZERO® E SOSTENGONO L’AMBIENTE

LE SNEAKER CON L’OCCHIELLO VERDE SONO A IMPATTO ZERO® E SOSTENGONO L’AMBIENTE

Riciclo ed ecosostenibilità sono parole entrate nel vocabolario della moda che si traducono nell’utilizzo di abiti e accessori totalmente green. Grandi firme hanno creato collezioni impiegando materiali biologici e riciclabili. In passerella si possono ammirare outfit che hanno l’obiettivo di ridurre energia e uso di materie prime. La sostenibilità ambientale è un concetto importantissimo anche per Gianni Dalla Mora, titolare dell’azienda calzaturiera WOMSH, nata nel 2014.

“I miei genitori possedevano negozi di scarpe e io ho sempre lavorato in questo settore – racconta Dalla Mora –. Sono un fanatico delle calzature e così ho realizzato sneaker a Impatto Zero® in collaborazione con LifeGate, quindi prodotte con energia derivante da fonti sostenibili. Un progetto a cui ha aderito anche la rockstar Vasco Rossi per la realizzazione del tour ‘Buoni o Cattivi’ nel 2004”. Impatto Zero® è un progetto che calcola, riduce e compensa le emissioni di anidride carbonica (CO2) generate dalla fabbricazione, l’impiego e i consumi dei principali elementi e risorse, la spedizione del prodotto e lo smaltimento a fine vita. “L’idea è nata in seguito alla lettura di un libro di Marco Roveda, presidente di LifeGate – spiega Dalla Mora –. Un romanzo ricco di speranza dove si mostra come fare economia rispettando l’ambiente”.

Per ogni collezione realizzata, l’impresa contribuisce alla creazione di nuove aree boschive in Italia, Costa Rica, Madagascar, Bolivia, Panama e alla salvaguardia delle aree verdi già presenti. Womsh prende parte anche a Foreste in Piedi, un progetto sempre di Lifegate che tutela 560 ettari di foresta amazzonica in Brasile. L’obiettivo finale è di prevenire e combattere deforestazione, incendi, caccia illegale e altri crimini ambientali.

Etica e sostenibilità sono una priorità per Womsh e coinvolgono tutti, dai consumatori ai fornitori. Questo è il motivo per cui il packaging è plastic free, realizzato in cartone riciclato e rivestito da carta Crush: una carta prodotta sostituendo fino al 15% la cellulosa con gli scarti della lavorazione del mais. L’involucro è creato dall’impresa italiana Favini che condivide i valori riguardo all’ambiente e al concetto di economia circolare.

“WOMSH è un’impresa con un livello qualitativo e un design elevato – dichiara Gianni Dalla Mora –. La società ha lo scopo di creare un prodotto che coniughi lo stile italiano e la sostenibilità ambientale”. Le scarpe sono fabbricate totalmente in Italia, a Stra, in provincia di Venezia, nel distretto calzaturiero della Riviera del Brenta. “Per me il Made in Italy è molto importante sia per etica, sia per ambizione personale – precisa con orgoglio –. Made in Italy significa buon gusto, buona capacità manifatturiera e attenzione ai dettagli”.

Le calzature WOMSH originali si identificano tramite un occhiello verde posto sulla tomaia. Sette sono le linee nella collezione donna: Bask, Concept, Kingston, Snik che si distinguono per la silhouette essenziale; poi ci sono Wave, e un modello più chunky, Runny; la nuova arrivata è Futura, ultima proposta della scorsa stagione.

Tutte interpretano le tendenze moda del momento, e il bianco è sempre il filo conduttore e il tratto distintivo. Sei sono, invece, le linee per la collezione maschile. Hector, Kingston e Snik hanno profili minimalisti, mentre Wave e Futura hanno un profilo più importante e over.

“La vera novità è la linea femminile di boots impermeabili adatti per le giornate di pioggia, per uno styling contemporaneo e rock, in pelle Vegan Appleskin – precisa Dalla Mora –. Apple skin è un materiale fatto col 50% di scarti essiccati dalla lavorazione industriale delle mele e col restante 50% di poliuretano. Il nuovo materiale è stato realizzato da FrumatLeather, un’azienda italiana che ha vinto nel 2018 il Premio Technology and Innovation al Green Carpet Fashion Awards”.

La linea Vegan coinvolge anche i modelli Futura, Wave, Runny donna e uomo, e si caratterizza per l’impiego nella tomaia, nei lacci e nelle etichette di un tessuto ricavato dal PET postconsumo, cioè dalle bottiglie di plastica riciclate. Viene, inoltre, sfruttato solo cotone riciclato, meno impattante sul suolo, per le fodere interne e per le shopping bag.

“Il brand si rivolge a ogni uomo, donna, ragazzo che si senta giovane mentalmente e nello spirito – precisa l’imprenditore –. Un target dallo spirito attento, curioso, viaggiatore, urban, istruito; una persona, insomma, che vuole comprare con consapevolezza”. Le scarpe possono essere acquistate sul sito internet o presso alcuni punti vendita.

Le WOMSH nascono come scarpe passaparola: World Of Mouth Shoes significa questo. Il cliente che compra le scarpe sul sito diventa promoter e può diffondere il suo codice invito per far acquistare le sneaker anche ad amici.

Le calzature usurate possono essere riciclate. “L’azienda incoraggia i clienti a restituire le vecchie paia in cambio un buono di 10€ per un acquisto successivo – informa Dalla Mora –. Il recupero viene svolto dall’impresa Esosport, società di Opera, che riutilizza la tomaia delle scarpe per la realizzazione di tappeti per palestre e imbottiture di palloni”. Con la suola si produce invece un agglomerato di gomma usato per pavimenti anti trauma e ad assorbimento d’impatti. Pavimentazioni atossiche e resistenti alla corrosione di oli, acqua e luce, sono utilizzate per i parchi giochi: “I Giardini di Betty”, presenti a Milano, Opera, a Firenze e a Roma. “Un’iniziativa nata in onore di Betty Salvioni Meletiou, moglie del Managing Director di ESO Nicolas Meletiou – chiarisce il dirigente –. Un progetto a cui il titolare di Esosport tiene in modo particolare, in quanto i coniugi,entrambi maratoneti, cercavano una soluzione per riciclare le sneaker consumate dopo le gare”.

L’azienda è nata con l’idea di esportare le calzature all’estero. “Sono state attivate due agenzie nel centro nord Europa, dove vi è maggiore sensibilità per i temi ambientali – spiega l’imprenditore –. Il mercato estero è un po’ la salvezza delle imprese. Lo scopo aziendale è di inserirsi nel mercato a 360°”.

Come afferma Gianni Dalla Mora, “WOMSH non nasce con lo scopo di cambiare il mondo. Il suo fine è migliorarlo e sporcarlo di meno, sperando di sottolineare l’importanza della sostenibilità ambientale e promuovendo la diffusione di sistemi di riduzione di COin tutti gli ambiti lavorativi”.

Simone Lucci

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L’ARTIGIANATO E I GRANDI DELLA MODA

L’ARTIGIANATO E I GRANDI DELLA MODA

Il lockdown 2020 ha contribuito alla chiusura di molte attività commerciali, ma allo stesso tempo ha permesso ad alcune realtà di emergere e di evolvere.

Nel periodo in cui tutto sembra sospeso c’è più tempo disponibile e lo si investe in creatività e in ricerca, così molte piccole aziende hanno creato opere particolarmente originali.

Su instagram sono predominanti le immagini di lavori d’autore, di artisti e di prodotti artigianali: dai cibi e dal design, fino alla moda e all’arredamento, non manca l’elemento artigianale.

Maria Grazia Chiuri, per esempio, ha omaggiato questo sentiment del saper fare in Puglia, suo paese natale. Per la realizzazione della collezione “Cruise21” di Dior sono state coinvolte realtà locali che producono pizzi e tessuti tipici, impiegati soprattutto per il taglio delle giacche. Sulla pagina Runaway di Vogue America il look N.30 della Cruise 21 di Jil Sander mostra un chiaro patch con motivo monocromatico di rose, realizzate in pibiones sardo, cioè una tipica tecnica sarda.

Vincolate dal lockdown e dai decreti emessi durante questo travagliato periodo, molte grandi aziende coinvolgono le più piccole, le quali, avendo una struttura flessibile, si ingegnano come possono per soddisfare le esigenze del mercato, continuando fino a oggi, nel 2020, a mantenere tradizione e tratti folkloristici in ogni opera creata.

L’artigianato è un tesoro che sembrava perso nei meandri del consumismo frenetico, sarà forse il “rinascimento” dei manufatti o si tratta soltanto di un fenomeno modaiolo passeggero? Ancora non possiamo dirlo, ma godiamoci il presente, che anche grazie ai social ci fa conoscere ogni giorno artisti e artigiani nuovi.

Produttori di manufatti e piccole realtà lavorative acquisiscono maggiore ‘credibilità’ social e grazie ai sistemi semplificati di spedizione estendono le loro relazioni e raggiungono nuovi clienti.

Che vengano venduti al mercato rionale o nelle grandi boutique, i manufatti vengono comunque acquistati: per valore estetico, per la storia personale dell’artigiano o per quella del prodotto.

La motivazione principale riguarda l’etica della sostenibilità; è risaputo infatti che le produzioni artigianali sono decisamente più ecologiche e sostenibili rispetto alla grande distribuzione e soprattutto non inquinano quanto i sistemi produttivi industriali.

I distretti artigianali vengono spesso coinvolti dall’industria. Aziende come Loewe, Jacquemus, Antonio Marras o Dolce&Gabbana affidano la produzione delle proprie linee alle eccellenze locali creando nuove collaborazioni e maggiore fluidità economica.    

In questo periodo, maggiore consapevolezza negli acquisti e più attenzione alla qualità divengono i nuovi trend moda, rafforzando il legame tra industria e artigianato.

Maurizio D.

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DIGITAL FASHION WEEK

DIGITAL FASHION WEEK

Il post-covid ha reso necessario un adeguamento organizzativo di tutti gli apparati economici del sistema.

Anche il settore della produzione tessile e quello della comunicazione di moda hanno dovuto trovare strategie adeguate per restare connessi con i propri clienti, accelerando, come non mai, i processi della “digitalizzazione aziendale”.

La maggior parte delle imprese ha deciso di fare investimenti sempre più sostanziosi sul versante del marketing digitale che rappresenta lo strumento giusto per affrontare il presente e sarà utile in futuro per aumentare redditività e crescita economica.

La fashion week del classico calendario viene annullata, si chiudono i saloni, vengono cancellati fiere, eventi, presentazioni e sfilate con rischi di assembramento.

Viene annullato il Pitti di Firenze, e poi la Milano Fashion Week Uomo di giugno viene sostituita dalla prima edizione della Milano Digital Fashion Week, sperimentata nel periodo post-covid asiatico durante le sfilate di Tokyo e Shanghai. (L’unico imprenditore italiano che ha partecipato è stato Pietro Negra, presidente di Pinko).

In Italia, la digital fashion week è stata resa operativa con le infrastrutture del gruppo Accenture e il know-how di Microsoft.

Sensori, realtà aumentata, effetti ottici e un fondale ChromaKey hanno reso possibili le sfilate virtuali.

Sono 37 le aziende che hanno deciso di presentare le nuove collezioni in streaming, molte delle quali hanno implementato il sistema del see-now-buy-now, rendendo immediato l’incontro tra domanda e offerta.

Per quattro giorni, le sfilate sono state trasmesse direttamente dal sito della Camera Nazionale della Moda e sono state rese fruibili 24 ore su 24 per poter essere lette, viste, ascoltate e per incuriosire chiunque, in qualsiasi parte del pianeta e in qualsiasi momento.

Si tratta della trasformazione della realtà materiale in realtà virtuale, in cui gli abiti, gli accessori e le proposte del mercato non possono essere toccate o viste dal vivo se non dopo l’acquisto.

Le aziende, a tal proposito, sviluppano un nuovo modo di comunicare dando la possibilità al fruitore di farsi coinvolgere emotivamente dallo story telling e consentendogli di acquistare rapidamente, nell’immediato.

I produttori e gli artigiani, più presenti sui social, divengono particolarmente sensibili a problemi sociali quali quello della sostenibilità.

Dalla prima Digital Fashion Week emerge un numero ridotto di proposte che tramite film e cortometraggi hanno raccontato coinvolgenti storie che rimandano a un lusso nostalgico, che richiamano sentimenti antichi, dove si propongono valori come la difesa dei più deboli, l’accettazione della diversità e l’inclusività.

La pandemia ha cambiato gli scenari del fashion system e i brand rispondono con la ricerca, la comunicazione del saper fare italiano e con il riferimento a valori che oggi la società tende a dimenticare.

 Anche i modelli a cui aspirare sia in termini estetici che morali non saranno più gli stessi; in Cina per esempio le nuove “top Model” sono ragazze digitali, avatar e influencer virtuali che dovranno imparare a convivere con le modelle in carne e ossa.

 Maurizio D.

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LA CAMICIA ITALIANA HA LA “B” DI BAGUTTA

LA CAMICIA ITALIANA HA LA “B” DI BAGUTTA

Per Bagutta la camicia bianca è il mito delle origini, un fattore identitario profondo”, afferma con orgoglio Antonio Gavazzeni, AD di Bagutta.

I migliori cotoni egiziani lavorati da tessiture italiane: Albini, Canclini, Monti… Lino, garze e mussole sono i tessuti più richiesti in estate.

Popeline tutto l’anno. E anche Pin Point: un misto di popeline e di Oxford, realizzato con fibre di cotone extra-lunghe con fili di ordito colorati.

Per il “Su Misura” proposto da Bagutta, un capo su misura, anche se non prettamente sartoriale, si scelgono collo, polsino, tessuto, cifratura, ampiezza e lunghezza della manica.

Mentre per le camicie realizzate in sartoria si prendono al centimetro le misure necessarie, il “Su Misura” Bagutta si basa su un prototipo modificato a seconda delle esigenze del cliente, che potrà finalmente chiedere una camicia taglia 40 con circonferenza del collo corrispondente alla 38. Il servizio offre inoltre la possibilità di selezionare i tessuti e di realizzare modelli che variano nel collo (6 le opzioni: italiano, francese, botton-down, ecc.), nel polso (5 tipi, tra cui: smussato, arrotondato, doppio bottone), nella lunghezza e nell’ampiezza della manica e del torace. E il cliente ha facoltà di scelta anche per tasca, carré e iniziali.

Asole, impunture, giro manica rifiniti a mano, e tessuti esclusivi per la First Dressing Choice, particolarmente incentrata sulla qualità delle materie prime e su una lavorazione sartoriale.

Bagutta è un brand appartenente al gruppo CIT S.p.a (Confezioni Italiane Tessili). “L’impresa di famiglia, Cit nata nel 1939, nel 1975, grazie all’incontro tra mio padre Pino e Giorgio Armani, decide di puntare sulla camiceria uomo e donna come core business – racconta Antonio Gavazzeni –. Nasce così Bagutta, oggi gestita da me e da mio cugino Andrea, terza generazione della famiglia, e nipoti del maestro Gianandrea Gavazzeni, celebre direttore d’orchestra. Con Armani collaboriamo ancora producendo quasi tutte le camicie delle sue collezioni”.

Dal 2019, designer per Bagutta Donna è Vanna Quattrini, con all’attivo collaborazioni con l’ufficio prodotto di Alessandro Dell’Acqua, designer di MSGM e poi di Dondup. Oggi veste la nuova donna Bagutta, sofisticata, elegante, contemporanea, attraverso collezioni senza tempo. Con Vanna Quattrini si assiste all’introduzione del total look donna. Gonne, pantaloni pijama, e un’ampia offerta di abiti dialogano con partner importanti per incrementare la visibilità e la distribuzione da parte di nuovi showroom.

Pietro di Matteo è il product manager uomo, per Bagutta e per i marchi in licenza. Dopo l’esperienza in Lardini giunge in azienda.

Con lui l’introduzione della giacca-camicia, capospalla che apparentemente si allontana dal mondo di Bagutta ma che in realtà lo amplia, proponendo tessuti morbidissimi e pregiati su doppiopetto destrutturati.

Dalla P/E 2020 il marchio Bagutta donna viene distribuito dal noto showroom internazionale Elisa Gaito. Questo nuovo showroom va ad aggiungersi agli altri partner storici del brand, già consolidato in territori come Giappone, USA, Scandinavia, Germania e Belgio. A Milano la boutique si trova in via San Pietro all’Orto 26, a pochi passi da via Montenapoleone.

E per il futuro? “Si profila un uso sempre più integrato dei canali social ed è sul tavolo la possibilità di realizzare un e-commerce ragionato, attività che verranno sviluppate nei prossimi anni e che andranno di pari passo con la movimentazione del monomarca nel quadrilatero della moda, che dopo il rinnovo dei locali di via San Pietro all’Orto vede animare i propri spazi con eventi e mostre in collaborazione con gallerie d’arte, configurandosi come un’importante vetrina culturale e di stile”, conclude Gavazzeni.

B di camicia”, e nessuna incoerenza quando B significa Bagutta, sinonimo di alta qualità.

Clementina Speranza

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POMELLATO E I SUOI GIOIELLI PRÊT-À-PORTER CREATIVI E COLORATI MADE IN MILANO

POMELLATO E I SUOI GIOIELLI PRÊT-À-PORTER CREATIVI E COLORATI MADE IN MILANO

Un’antica leggenda araba narra di una pietra normale che amava travestirsi da gemma preziosa perché voleva essere speciale. Si camuffava da smeraldo, rubino, zaffiro o acquamarina, ed era così abile che nessuno notava il suo travestimento. Un giorno, un bambino iniziò a giocare con la pietra, ma dopo un po’, stanco del nuovo passatempo, la gettò via; la pietra cadde sul pavimento e si ruppe. Si scoprì così che al suo interno era nascosto un diamante, la pietra regina non solo per il suo valore, ma per la caratteristica di rifrangere la luce in riflessi cristallini e bagliori magici.

Oltre alle gemme, anche la forma, la texture, il design e il colore rendono un gioiello unico e capace di suscitare emozioni differenti, proprio come una piccola scultura dalle proporzioni perfette. Tutti questi elementi sono i fiori all’occhiello degli inconfondibili preziosi della maison Pomellato, nata a Milano nel 1967 dall’intuizione di Pino Rabolini, discendente da una famiglia di orafi e pioniere della filosofia del gioiello prêt-à-porter.

Pomellato si è affermato come portavoce della maestria artigiana italiana e si impegna per valorizzare le straordinarie abilità e potenzialità degli orafi incoraggiando l’innovazione e aiutandoli a perfezionare le loro competenze mediante programmi di formazione approfonditi. Ogni giorno, infatti, nell’atelier di Milano oltre 100 orafi ricorrono all’antica tecnica della microfusione (o fusione a cera persa). Il procedimento consiste nel creare un modello di cera e utilizzarlo per fare uno stampo di gesso o di silicone che lo racchiuda; sullo stampo si praticano poi due fori: uno in alto e uno in basso, per far uscire la cera scaldandola. Successivamente, si versa nello stampo ormai vuoto del metallo fuso che va a sostituire la cera, e si ricava così un monile identico al modello. Dopo ore di lavoro all’insegna della precisione, la microfusione consente di ottenere linee morbide, forme voluminose e permette di incastonare pietre preziose e semi-preziose sempre più rare, chiamate anche le nuove gemme preziose, provenienti da tutto il mondo.

Pietre colorate e metalli preziosi, in particolar modo l’oro rosa emblema del marchio, danno vita a bracciali, collane, anelli, pendenti e orecchini delle varie collezioni di Pomellato. I gioielli esprimono il loro spirito originale e all’avanguardia attraverso combinazioni ricercate, tagli speciali e ensemble rivoluzionari e per questo sono amati dalle donne e fotografati da professionisti famosi del calibro di Helmut Newton, Gian Paolo Barbieri, Michel Comte, Paolo Roversi, Javier Vallhonrat, Sølve Sundsbø, Jean-Baptiste Mondino e del duo Mert and Marcus.

Il brand è anche attento al benessere del pianeta e della natura, infatti monitora e valuta il proprio impatto ambientale attraverso il conto economico pubblicato ogni anno da Kering, il gruppo mondiale del lusso che nel luglio 2013 sostiene e promuove lo sviluppo di Pomellato e di alcuni tra i più rinomati marchi di moda, pelletteria, gioielli e orologi: Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni, Boucheron, DoDo, Qeelin, UlysseNardin, Girard-Perregaux e KeringEyewear.

L’azienda Pomellato ha ottenuto la certificazione del Responsible Jewellery Council e ha raggiunto l’obiettivo di garantire un approvvigionamento di oro 100% sostenibile grazie al programma RESPONSIBLE Gold Framework. A questa priorità si accompagna la costante ricerca di fonti di argento sostenibili e la tracciabilità dell’approvvigionamento trasparente di diamanti e pietre colorate.

Da oltre 50 anni, i preziosi del brand lasciano un segno indelebile nella moda femminile e forgiano un’identità forte e innovatrice, imponendosi così come icone della gioielleria a livello nazionale e internazionale.

Simone Lucci

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CALZE E LINGERIE DIVENTANO NUTRIMENTO PER IL PIANETA

CALZE E LINGERIE DIVENTANO NUTRIMENTO PER IL PIANETA

La lingerie e le calze possono trasformarsi in nutrienti per il pianeta. Ingredienti, coloranti, sostanze chimiche sicure e non tossiche permettono ai filati di entrare a far parte di un ciclo produttivo senza scarti. Questo è il risultato ottenuto dal team di Product Development di Wolford attraverso uno studio di tre anni.

Per i cicli biologici, la lingerie e i collant sono realizzati in tre filati: Infinito® di Lauffenmühle, Lenzing Modal ®, una fibra cellulosica derivata dalla silvicoltura sostenibile con un polimero biodegradabile a base di olio appositamente modificato, e uno speciale filato premium ROICA™ che, oltre alle prestazioni elevate, non produce sostanze nocive durante il processo di biodegradazione. Tutti questi componenti, conformi alle norme di sicurezza per i cicli biologici, hanno permesso di presentare i primi prototipi di collant e lingerie bio a Parigi.

Lo sviluppo dei capi e dei materiali necessita di un’attenta ricerca sui coloranti, sui prodotti chimici tessili e accessori, che sono in fase di certificazione come prodotti sicuri per i cicli biologici nell’ambito del Material Health Assessment supportato dal valutatore accreditato, EPEA Svizzera, per la certificazione Cradle to CradleCertified ™.

“Come membri del network delle industrie di tessile intelligente, ci siamo impegnati a ripensare e ridisegnare il nostro core business in termini di collezioni sulla base dell’approccio Cradle to Cradle®, che può contribuire a generare sostanze nutritive sia per cicli biologici che tecnici – precisa Andreas Roehrich, Direttore Sviluppo Prodotto &TextileSourcing –. Con tale innovazione, ci siamo impegnati a sviluppare articoli utilizzando materie prime non tossiche, prodotti chimici e coloranti che siano sicuri per il consumatore, la società e l’ambiente”.

La Wolford si distingue per i processi ecocompatibili, per l’uso attento delle risorse, e perché utilizza misure specifiche per proteggere e preservare gli ecosistemi. La sostenibilità infatti è parte della responsabilità globale dell’azienda da oltre 60 anni, un impegno ecologico esteso anche fuori dagli impianti di produzione.

Wolford collabora con un consorzio di 15 società, tutte situate nella regione del Vorarlberg in Austria, ciascuna delle quali produce componenti singoli Cradle to Cradle® necessari all’industria del legwear e della lingerie. Il consorzio, chiamato COIN (Cooperation Innovation), è supportato dall’Austrian Research Promotion Agency (FFG) ed è stato creato per promuovere la cooperazione tra le imprese e gli istituti di ricerca per tradurre l’expertise in prodotti innovativi.

“L’abilità porta responsabilità – spiega Ashish Sensarma, CEO di Wolford –. È importante prendere l’iniziativa e fungere da catalizzatore per accelerare il cambiamento necessario nel settore della moda”.

Simone Lucci

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Wolford nasce nel 1950 a Bregenz (Austria), presentando con grande orgoglio le prime calze di nylon senza cuciture, che segnano l’inizio di una ricerca orientata al massimo comfort e alla qualità più raffinata. Nel 1969 viene proposto il primo paio di calze trasparenti estremamente elastiche dalla perfetta vestibilità. E otto anni dopo, vengono realizzati i primi collant trasparenti con funzione di supporto caratterizzati dall’area della mutandina ad azione modellante e da una funzione di supporto a compressione graduata, perfetta per le gambe. Nel tempo, Wolford realizza vari modelli di collant: SATIN TOUCH, le calze trasparenti e luccicanti; il bestseller migliore di sempre, FATAL TIGHTS, i primi collant completamente privi di cuciture, frutto della conoscenza e della comprensione delle esigenze femminili; e STAR(C)K NAKED. STAR[C]K NAKED, una combinazione innovativa di calze e abiti a tubo sviluppata in collaborazione con il designer delle star Philippe Starck. Nel 2011 nasce la lingerie modellanteSHAPE & CONTROL che dona una silhouette perfetta. Wolford introduce anche una nuova gamma di legwear dalle cuciture invisibili e dalla sensazione tattile della seta: PURE 50 TIGHTS, insignito di vari riconoscimenti, e PURE 10 TIGHTS. Wolford propone pietre miliari innovative stagione dopo stagione, anno dopo anno.

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